Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20859 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. I, 21/07/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 21/07/2021), n.20859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2336/2017 R.G. proposto da:

D.F.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Valeria Mondino,

con domicilio in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

F.T.;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Torino depositato il 17

giugno 2016.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 gennaio

2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.T. convenne in giudizio il coniuge D.F.M., per sentir disporre la modifica delle condizioni concordate con il verbale di separazione consensuale omologato dal Tribunale di Alessandria il 10 gennaio 2011, nella parte in cui poneva a carico dell’uomo l’obbligo di corrispondere un assegno mensile di Euro 300,00 per il suo mantenimento ed Euro 1.500,00 per il mantenimento dei figli N. e G., nonché l’obbligo di contribuire nella misura del 60% alle spese straordinarie necessarie per i figli.

Si costituì il D.F., e resistette alla domanda, chiedendo in via riconvenzionale l’esclusione dell’obbligo di corrispondere l’assegno per il mantenimento del coniuge e della figlia.

1.1. Con decreto del 10 luglio 2014, il Tribunale di Alessandria rigettò entrambe le domande.

2. Il reclamo proposto dal D.F. è stato parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Torino, che con decreto del 17 giugno 2016 ha disposto la revoca del contributo dovuto per il mantenimento della figlia, con decorrenza dall’11 novembre 2014.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti della figlia, essendo la stessa titolare di una legittimazione concorrente con quella della madre, in quanto maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente.

Nel merito, rilevato che era rimasta incontestata l’affermazione del reclamante, secondo cui la figlia, dopo aver frequentato la scuola infermieristica, aveva trovato occupazione, con uno stipendio netto di Euro 950,00 mensili, ha ritenuto fondata la domanda di revoca del contributo dovuto dal padre, ancorandone la decorrenza alla data di presentazione del reclamo, in considerazione della modestia del reddito percepito da G. fino a quell’epoca e del successivo consolidamento della sua posizione lavorativa.

Quanto al contributo dovuto per il mantenimento del coniuge, la Corte ha ritenuto non credibili le dichiarazioni rese dalle parti in ordine alla rispettive situazioni economiche, osservando che il D.F., oltre ad aver evidenziato di aver sostenuto spese mensili superiori alle entrate risultanti dalle dichiarazioni dei redditi, aveva costituito due nuove società, senza dimostrare che le stesse non avessero prodotto redditi, ed a seguito del licenziamento aveva stipulato con il proprio datore di lavoro una transazione, che prevedeva la corresponsione dell’importo di Euro 100.000,00, mentre la F. non era stata in grado di spiegare come avesse vissuto dall’epoca della separazione con il solo assegno riconosciutole, sopportando gli oneri economici connessi all’utilizzazione della casa familiare e tenendo contemporaneamente sfitto un altro alloggio. Ha sottolineato la mancanza di buona fede processuale delle parti, precisando che ciascuna di esse era tenuta a dimostrare le proprie condizioni di vita, ed affermando che, in mancanza di tale prova, non vi era motivo per disporre la modifica delle condizioni concordate in sede di separazione. Ha ritenuto infine inammissibili le prove testimoniali dedotte, in quanto vertenti su allegazioni inverosimili, rilevando, in ordine ai documenti, che alcuni di quelli prodotti in sede di reclamo avrebbero potuto essere depositati già in primo grado.

3. Avverso il predetto decreto il D.F. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi. La F. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 710,737,738 e 742-bis c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., osservando che, nel ritenere che le istanze istruttorie da lui formulate comportassero un allargamento del tema d’indagine, la Corte territoriale non ha considerato che le stesse erano volte a fornire la prova dell’avvenuto raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte della figlia. Premesso che nel rito camerale i mezzi di prova e i documenti possono essere dedotti e prodotti fino all’udienza di discussione, purché sugli stessi s’instauri un pieno contraddittorio, precisa che alcune delle dichiarazioni dei redditi non avrebbero potuto essere prodotte nel procedimento di primo grado, in quanto presentate successivamente alla conclusione dello stesso.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 111 Cost., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha revocato il contributo dovuto per il mantenimento della figlia con decorrenza dalla data di presentazione del reclamo, rigettando le richieste istruttorie da lui formulate, aventi lo scopo di dimostrare l’epoca in cui G. aveva raggiunto l’autosufficienza economica. Rileva che al riguardo la Corte d’appello ha fatto propria l’immotivata affermazione del Tribunale relativa alla misura del primo stipendio della figlia, limitandosi a dare atto della mancata contestazione di quanto allegato da esso reclamante, senza valutare le prove testimoniali dedotte e le dichiarazioni dei redditi prodotte in giudizio, né la circostanza, rimasta anch’essa incontestata, che G. aveva trovato occupazione fin dal mese di novembre 2012.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 147,148,337-septies, 438,440 e 2033 c.c., censurando il decreto impugnato per aver fatto decorrere la revoca dell’assegno dovuto per il mantenimento della figlia dalla data di presentazione del reclamo, anziché da quella in cui G. aveva trovato occupazione, e per aver escluso la ripetizione degl’importi indebitamente versati, in assenza della relativa domanda. Premesso che l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli cessa dal momento in cui gli stessi raggiungono l’autosufficienza economica, afferma che il venir meno dell’obbligo esclude l’irripetibilità delle somme versate, le quali perdono la loro natura alimentare. Aggiunge che, anche a volerne ammettere l’irripetibilità, dovrebbe comunque escludersi il diritto di procedere ad esecuzione forzata sulla base del provvedimento revocato, per ottenere il pagamento degli assegni relativi al periodo in cui lo stesso ha avuto efficacia.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., ribadendo che, nell’escludere il diritto alla ripetizione delle somme indebitamente versate, il decreto impugnato ha pronunciato in ordine ad una domanda che non era stata proposta, in quanto egli se ne era espressamente riservato la proposizione in separato giudizio.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 115,116 e 710 c.p.c. e dell’art. 156 c.c., nonché il travisamento delle prove e il difetto di motivazione, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha rigettato la domanda di revoca dell’assegno da lui dovuto per il mantenimento del coniuge. Premesso che incombeva alla F., che aveva chiesto la modificazione delle condizioni della separazione, l’onere di provare l’intervenuto deterioramento delle sue condizioni economiche, osserva che l’attrice non aveva fornito la prova né del tenore di vita goduto nel corso della convivenza, né del tentativo di trovare un’occupazione dopo la separazione, né dei mezzi con cui aveva provveduto al proprio sostentamento ed a quello del figlio, né infine del sopravvenuto miglioramento della situazione patrimoniale e reddituale e del tenore di vita di esso ricorrente, mentre egli aveva documentato l’evoluzione della propria situazione occupazionale ed economica negli anni successivi alla separazione. Sostiene che, invece di attenersi alle risultanze degli atti e dei documenti prodotti, la Corte d’appello ha immotivatamente preferito affidarsi a presunzioni, trascurando l’aiuto economico fornito ad esso ricorrente dalla donna con cui attualmente convive e l’insuccesso delle iniziative da lui intraprese per rendersi economicamente autonomo, ed incorrendo manifestamente in errore nell’accertamento della somma da lui percepita a seguito della transazione con il datore di lavoro.

6. Il primo motivo è inammissibile, in quanto, postulando che la dichiarazione d’inammissibilità dei documenti prodotti e dei mezzi istruttori dedotti dalla difesa del ricorrente sia stata determinata dalla tardiva allegazione delle circostanze che essa intendeva provare, non attinge la ratio decidendi del decreto impugnato, il quale, pur avendo escluso in linea di principio la possibilità di un ampliamento dei temi d’indagine in sede di reclamo, non ne ha tratto le dovute conseguenze: la Corte d’appello ha infatti preso ugualmente in esame la tesi sostenuta dal D.F., secondo cui la figlia si era resa economicamente autosufficiente, e l’ha ritenuta fondata, ma ha ritenuto irrilevanti, ai fini dell’accoglimento della stessa, le prove addotte in ordine all’avvenuto completamento degli studi ed al reperimento di una stabile occupazione da parte di G., in considerazione della mancata contestazione di tali circostanze da parte della F. e dell’accertamento dei fatti risultante dal decreto di primo grado.

7. Il giudizio in tal modo espresso relativamente alla rilevanza dei mezzi di prova costituisce un apprezzamento tipicamente riservato al giudice di merito, al quale spettano in via esclusiva l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, l’assunzione e la valutazione delle prove, il controllo dell’attendibilità e concludenza delle stesse e la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, nonché la facoltà di escludere, anche implicitamente, la rilevanza di una prova, non essendo egli tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero a precisare che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. Cass., Sez. lav., 13/06/2014, n. 13485; 15/07/2009, n. 16499; Cass., Sez. I, 23/05/2014, n. 11511). Nella specie, peraltro, la Corte territoriale ha specificamente motivato la propria scelta di non ammettere le prove, dando atto della mancata contestazione da parte dell’intimata dell’avvenuto raggiungimento della autosufficienza economica da parte della figlia, ma limitandone gli effetti al periodo successivo alla proposizione del reclamo, in virtù della ritenuta condivisibilità della decisione di primo grado, nella parte in cui aveva rigettato la domanda di revoca dell’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento, in considerazione della modestia del reddito all’epoca percepito dall’avente diritto. Tale richiamo deve ritenersi di per sé sufficiente ai fini dell’adempimento dell’obbligo di motivazione, il quale può essere assolto anche per relationem, cioè mediante rinvio alla decisione impugnata, a condizione che il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero dell’identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, in modo tale che dalla lettura della parte motiva di entrambe le decisioni possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (cfr. Cass., Sez. I, 5/08/2019, n. 20883; Cass., Sez. lav., 5/11/2018, n. 28139). L’accertamento compiuto in ordine all’esistenza ed al valore della condotta processuale tenuta dall’intimata, dal quale il decreto impugnato ha desunto la non contestazione dei fatti allegati dal reclamante, ai fini dell’espunzione degli stessi dal thema probandum, costituisce poi anch’esso un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, come quello relativo alla rilevanza delle prove, e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione (cfr. Cass., Sez. II, 28/102019, n. 27490; Cass., Sez. VI, 7/02/2019, n. 3680). Nel contestare tale duplice apprezzamento, il ricorrente si è peraltro limitato ad insistere sull’ammissibilità dei documenti da lui prodotti e delle prove dedotte, senza trascrivere nel ricorso i passi salienti della decisione di primo grado, integrativi della motivazione del decreto impugnato, e le censure proposte con il reclamo, dal cui raffronto con la predetta decisione avrebbero potuto desumersi le questioni specificamente sottoposte allo esame della Corte d’appello, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione della violazione di legge e del vizio di motivazione, una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel decreto impugnato, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257).

8. Il secondo motivo risulta pertanto anch’esso inammissibile, con la conseguente infondatezza del terzo e del quarto motivo, con cui il ricorrente ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui, per effetto dell’affermata decorrenza della revoca dell’assegno dalla data di proposizione del reclamo, ha escluso il suo diritto alla restituzione degl’importi corrisposti a tale titolo nel corso del procedimento di primo grado.

9. E’ infine infondato il quinto motivo, riguardante il rigetto della domanda riconvenzionale di revoca dell’assegno posto a carico del ricorrente a titolo di contributo per il mantenimento del coniuge.

Affinché sia configurabile la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non è infatti sufficiente che il giudice abbia male esercitato il proprio potere di valutazione delle prove, ma occorre che egli, contravvenendo espressamente o implicitamente alla prima disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di propria iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, ovvero che, nel valutare una prova o una risultanza probatoria, non abbia operato secondo il suo prudente apprezzamento, come previsto dalla seconda disposizione, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. Un., 30/09/2020, n. 20867; Cass., Sez. VI, 31/08/2020, n. 18092; 23/10/2018, n. 26769). Nessuno di tali vizi è riscontrabile nel decreto impugnato, il quale, nel rigettare le domande reciprocamente proposte dalle parti, si è correttamente limitato a prendere in esame le allegazioni in fatto delle stesse e la documentazione da loro prodotta, affermando l’inverosimiglianza dei rispettivi assunti difensivi, entrambi fondati sull’asserito peggioramento della situazione economica dei coniugi, sottolineando in particolare lo stato di semi-indigenza in cui l’intero nucleo familiare si sarebbe dovuto trovare qualora fossero risultate vere le circostanze allegate, ed escludendo quindi la sussistenza dei presupposti necessari per la modificazione delle condizioni economiche concordate in sede di separazione. Tale conclusione non costituisce il risultato di un ragionamento indiziario, non essendo la Corte territoriale pervenuta all’affermazione dell’esistenza di un fatto ignoto, attraverso un percorso logico di tipo inferenziale fondato sulla dimostrazione di un altro fatto, ma avendo semplicemente escluso l’attendibilità della documentazione prodotta e dei fatti riferiti dalle parti sulla base di regole di comune esperienza, dalle quali ha desunto, in particolare, che il D.F. non avrebbe potuto spendere per oltre sei anni somme mensili superiori alle entrate dichiarate e contemporaneamente avviare due nuove attività d’impresa, e che la F. non avrebbe potuto mantenersi con il solo assegno riconosciutole, rimasto peraltro insoluto da circa due anni, rinunciando perfino a dare in locazione un alloggio di cui era proprietaria. Nel censurare tale apprezzamento, il ricorrente non è in grado d’indicare lacune argomentative o carenze logiche del ragionamento seguito nel decreto impugnato, ma si limita ad insistere sulla propria valutazione dei fatti, non riesaminabile in questa sede, nonché a dolersi dell’errata applicazione dei principi in tema di ripartizione dell’onere della prova, senza considerare che, vertendosi in materia di modificazione delle condizioni stabilite in sede di separazione, domandata da entrambi i coniugi, spettava a ciascuno di essi la prova della sussistenza dei giustificati motivi a tal fine richiesti dall’art. 156 c.c., comma 7, ovverosia della sopravvenienza di circostanze idonee a determinare la modificazione della situazione sulla base della quale era stato stipulato l’accordo (cfr. Cass., Sez. VI, 28/11/2017, n. 28436; Cass., Sez. I, 8/05/2008, n. 11488; 22/11/2007, n. 24231): a tale regola si è puntualmente attenuto il decreto impugnato, il quale, nel rigettare sia la domanda di aumento dell’assegno proposta dalla F. che quella di revoca del relativo obbligo proposta dal D.F., ha correttamente rilevato che ciascuna delle parti non aveva fornito la prova dell’asserito deterioramento della propria situazione economica.

10. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimata.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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