Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20850 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/09/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 30/09/2020), n.20850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet T – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10699/2015 R.G. proposto da:

MPS MEDIA PROMOTION SERVICE SRL, elett. dom. in Roma, Via Gregorio

VII n. 186, presso lo studio dell’avv. Sabrina Mariani, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 6090/14/14, del 30 settembre 2014, depositata il 15 ottobre 2014,

non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 novembre

2019 dal Consigliere Adet Toni Novik.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– MPS Media Promotion Service (di seguito, la contribuente) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (CTR), n. 6090/14/14, depositata il 15/10/2014, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso la sentenza di primo grado n. 130/22/13 che aveva rigettato il ricorso della medesima S.r.l. per l’annullamento degli avvisi di accertamento di maggiori ricavi Iva, Ires e Irap, e relative sanzioni, per l’anno 2005, in conseguenza del mancato riconoscimento di costi per fatture inesistenti emesse dalle società APF Applicazioni Pubblicità Futura S.r.l. e Piccola Società Cooperativa Allestimenti e Realizzazioni a.r.l.;

– il giudice di appello disattendeva le doglianze della contribuente, ripetitive di quelle già formulate in primo grado e respinte da quel giudice, e, nel merito, riteneva che le operazioni poste in essere erano oggettivamente inesistenti e i costi e l’Iva, portati in detrazione, erano relativi a fatture emesse da società cartiera;

– suffragava questo convincimento richiamando le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dagli amministratori delle società coinvolte, nonchè l’accertata incapacità operativa delle stesse, prive di beni strumentali e di qualunque organizzazione e documentazione contabile”;

– riteneva ininfluenti le “contrarie dichiarazioni successivamente rese dagli stessi, non si sa a chi ed a che scopo”;

– il ricorso è affidato a sei motivi;

– l’agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo di ricorso, la contribuente denuncia “difetto di motivazione della sentenza – violazione di legge – motivazione apparente in relazione all’art. 360 c.p.c.”;

– rileva che il giudice non si era pronunciato sui motivi di ricorso nè aveva esaminato i documenti prodotti dalla società; la sentenza aveva indicato circostanze – quali controlli incrociati ed acquisizione di documentazioni presso terzi, titoli di pagamento, accertamento induttivo – non aderenti agli atti ed alle contestazioni mosse alla ricorrente, riportando stralci di motivi di appello sui quali non fornisce motivazione, adeguandosi alle deduzioni dell’ufficio ed alla giurisprudenza da questi allegata;

– le censure afferenti alla motivazione apparente non hanno nessuna corrispondenza con la sentenza impugnata, nella quale non si rinvengono “stralci di motivi di appello”, titoli di pagamento o richiami ad un accertamento induttivo, risultando in essa, al contrario di quanto affermato, chiaramente espressi il convincimento del Giudice e le ragioni del decidere con motivazione congrua; che ha dato risposta ad ogni censura proposta; invero, secondo l’insegnamento di questa Corte, “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento);

– inoltre, poichè è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) la cui riformulazione, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7/04/2014, n. 8053);

– nella sentenza impugnata sono espressi il convincimento del Giudice e le ragioni del decidere – con motivazione congrua, ancorchè sintetica, laddove, invece, la ricorrente non individua neppure quali fatti storici, decisivi ai fini della decisione, il giudice di merito avrebbe omesso di prendere in esame, sottoponendo al Collegio soltanto supposte lacune motivazionali in thesi riscontrate nella motivazione resa, come tali inidonee a consentire l’esame delle doglianze da parte del giudice di legittimità.

– Con il secondo motivo di ricorso, deduce “violazione di legge violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, per aver la CTR omesso di pronunciare circa il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento opposto; l’agenzia delle entrate aveva recepito acriticamente le conclusioni della Guardia di Finanza ritenendo non deducibili i costi relativi al conto economico e qualificando come inesistenti “le operazioni eseguite dalla nei confronti della MPS s.r.l. e regolarmente fatturate”, senza esaminare accuratamente i risultati dei processi verbali redatti dalla GdF;

– si osserva che è sicuramente vero che la CTR ha omesso di pronunciare sulle doglianze riproposte dalla contribuente in appello e riprodotte in ricorso (sia pure con evidente incompletezza); la rilevata omissione non comporta, tuttavia, la cassazione della sentenza impugnata in accoglimento del ricorso; è utile rammentare al riguardo che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancanza di espressa statuizione sul punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (v. in particolare, Cass. n. 5351 del 2007, che ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame), ed inoltre che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, e dovendo pertanto escludersi il suddetto vizio quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione; il che non si verifica quando-la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti il rigetto di tale pretesa anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (tra le moltissime v. Cass. nn. 17145 del 2006, 2272 del 2007, n. 10636 del 2007); nel caso in esame, poichè i giudici di appello rigettarono l’impugnazione, con ciò stesso essi hanno statuito indirettamente anche sulla legittimità dell’avviso di accertamento; invero, la riscontrata fittizietà delle fatturazioni è in rapporto di reciproca esclusione con la deduzione posta a base del motivo pretermesso, che deve pertanto ritenersi rigettato per implicito; quanto alla sufficienza motivazionale di un atto impositivo che rinvii per relationem ad altro atto esterno, questa Corte ha affermato che “In tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria (nella specie relativo ad avviso di rettifica di dichiarazione IVA da parte dell’Amministrazione finanziaria) la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21119 del 13/10/2011; Sez. 5, Sentenza n. 30560 del 20/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018; Cass. sez. 5, ord. n. 24038 del 3/10/2018; Sez. 5, sentenza 435 del 17/10/2019);

– è ancora da precisare che è destituito di fondamento l’assunto secondo il quale, quando aderisce alle ricostruzioni, impostazioni, argomentazioni della GdF, l’ufficio deve poi necessariamente motivare le ragioni di tale adesione. L’adesione alle valutazioni dell’organo verificatore non impone che, in una sorta di circolo vizioso, siano esposti anche i motivi per i quali si siano condivise le dette valutazioni, posto che esse, se valide, sono idonee di per sè a sostenere la motivazione, senza che ne sia necessaria un’altra aggiuntiva che nulla di più potrebbe apportare.

– Con il terzo motivo si deduce “violazione di legge in relazione agli artt. 6,19 e 21 (del D.P.R. n. 633/72) in relazione all’art. 360 c.p.c.”, per aver la CTR violato il principio della neutralità dell’imposta; con argomentazioni non perspicue relativamente all’affermazione che l’amministratore della contribuente sia stato socio di fatto delle cartiere, si sostiene, con richiamo alla giurisprudenza comunitaria, il diritto dei soggetti passivi di imposta di detrarre dall’Iva da essi dovuta quella versata per i beni acquistati e i servizi loro prestati, salvo che non sia dimostrato che il diritto è stato invocato fraudolentemente;

– la censura è manifestamente infondata, avendo la CTR confermato l’inesistenza delle prestazioni fatturate, sicchè, in assenza del relativo presupposto, viene meno il diritto alla detrazione d’imposta; la giurisprudenza consolidata di questa Corte è nel senso che l’indetraibilità dell’I.V.A. figurante sulle predette fatture costituisce conseguenza all’accertata fattuale inesistenza degli scambi, che i menzionati documenti fiscali attestano (solo cartaceamente. In ipotesi di operazioni inesistenti, non si realizzano i presupposti del diritto alla detrazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 12, comma 1; peraltro, (cfr. Cass., n. 12353/05, n. 13605/03, n. 7289/02, n. 6341/02), la previsione del menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 – se, per un verso, viene, direttamente, ad incidere sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta (pur in assenza del suo ordinario presupposto) sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità – per l’altro, viene, indirettamente, ad incidere anche sul destinatario della fattura, confermandone, in combinato disposto con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1 e art. 26, comma 3, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in assenza del relativo presupposto (acquisto o importazione di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione).

– Con il quarto motivo si deduce “violazione di legge in relazione dell’art. (testuale) 2697 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. – mancanza di prova dell’accertamento – error in procedendo in relazione all’art. 360 c.p.c.”, per aver la CTR omesso di pronunciare sulle eccezioni della contribuente di carenza di prova dell’accertamento e di valutare che essa aveva legittimamente fatto-ricorso a terzi per la gestione dei cartelli-pubblicitari; non erano state considerate le diverse sentenze emesse dalle Commissioni romane su fattispecie similari, coinvolgenti le stesse società appaltatrici, che avevano assolto la società committente (MG Advertising s.r.l.), sul presupposto che essa aveva contabilizzato le fatture emesse dal fornitore e assolto i prescritti obblighi fiscali e contrattuali; non erano state effettuate riprese fiscali nei confronti delle società fornitrici, non era stata valutata l’attività poste in essere dalla contribuente, nè erano state disconosciute o contestate le entrate di cui alle fatture emesse nei confronti dei propri clienti;

– il motivo è infondato; il giudice di appello ha ritenuto raggiunta la prova della inesistenza delle operazioni fatturate in base a presunzioni gravi, precise e concordanti riportate nella parte in “fatto”, dalle quali, sulla premessa che “risulta pacifico che le due società che hanno emesso le fatture di in questione non hanno mai fatto versamenti di Iva, e che nulla in atti smentisce la circostanza che M.G. sia stato, nel periodo considerato, il vero dominus di tutte le operazioni riprese a tassazione (e amministratore di fatto delle tre società interessate)” ha tratto la logica conclusione che il risparmio d’imposta ottenuto detraendo l’Iva esposta delle fatture emesse per le operazioni oggettivamente inesistenti realizzavano un’attività illecita;

– la ricorrente, pur evocando anche un vizio di violazione di legge, richiamando non meglio specificate sentenze di merito, inoltre prive di definitività, in realtà censura la motivazione della sentenza invocando, in contrasto con il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, una diversa valutazione delle risultanze fattuali, come confluite nel PVC, il cui apprezzamento è riservato al giudice di merito, il quale, sulla base di argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici, ha espresso il proprio convincimento, insindacabile in sede di legittimità, in ordine alla ricorrenza nella specie, alla stregua degli elementi sopra indicati, di presunzioni gravi, precise e concordanti circa la sussistenza di fittizie operazioni di compravendita (definite soggettivamente inesistenti, ma trattate come oggettivamente inesistenti);

– va ribadito allora che “In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasmà) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. (Sez. 5 -, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018, Rv. 649610 – 01; conf., Sez. 5, Ordinanza n. 27554/2018 – Rv. 651216 – 01)”, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01); è superfluo precisare, trattandosi di principi generali in tema di prova, che la prova dell’inesistenza delle operazioni può ben consistere in presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012, cit.); pertanto, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; quest’ultima prova non potrà consistere, però, per quanto detto sopra, nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. nn. 15228 del 2001, 12802 del 2011).

– Con il quinto motivo si deduce “violazione di legge – violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, per aver la CTR omesso di pronunciarsi circa le eccezioni sollevate dalla contribuente relativamente alla mancanza di prova dell’accertamento basato sulle risultanze del PVC della Guardia di Finanza relativo a differente periodo; mancata verifica della effettività delle prestazioni riportate nelle fatture; omessa valutazione delle prove fornite dalla contribuente in relazione al rapporto svolto con le ditte appaltatrici nonchè “congruità degli studi di settore con costi e ricavi come dichiarati”; mancanza di prova dell’accertamento basato su dichiarazioni di soggetti interessati, successivamente ritrattate; omessa contestazione circa le fatture attive emesse nei confronti dei propri clienti; omessa valutazione del legittimo ricorso all’outsurcing (recte, outsourcing);

– la censura è inammissibile in quanto con essa la contribuente in realtà contesta la motivazione resa dal giudice di appello, in contrasto con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni. (Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330 – 01); in conseguenza, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, come è avvenuto nel caso in esame, avendo la CTR esposto le ragioni oggettive per cui le prestazioni rese dalle società appaltatrici erano relative ad operazioni inesistenti, correttamente utilizzando, ai fini della decisione, nel concorso di ulteriori elementi di giudizio, “le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice” (n. 8196/15; n. 20930/14; n. 8369/13); irrilevante ai fini di questo giudizio, relativo alla responsabilità della contribuente, è la, meramente affermata, circostanza che nei confronti delle società cartiere non sia stata iniziata attività di recupero del credito fiscale.

– Con il sesto motivo si deduce “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c.”, ribadendo, sotto l’aspetto motivazionale, le argomentazioni svolte con il quarto ed il quinto motivo relativamente al rinvio per relazione al verbale della GdF e all’omessa valutazione delle prove fornite dalla ricorrente;

– la censura è infondata per le ragioni esposte nell’esame dei precedenti mezzi di impugnazione: poichè è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) la cui riformulazione, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Nel caso, la sentenza rispetta tale consolidato e condiviso principio, in quanto in essa sono indicati i concreti elementi utilizzati nell’iter decisionale per giungere a considerare provata la insussistenza delle contestate operazioni commerciali. Quanto al recepimento delle conclusioni della Guardia di Finanza si osserva che “la motivazione dell’atto impositivo, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, neppure per asserita mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare un’economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti alla parte contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Cass. civ., sez. trib., 16-05-2014, n. 10767). Laddove, diversamente da quanto affermato nel ricorso, v’è pronuncia sugli effetti del superamento dei termini per la verifica.

– In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la contribuente condannata alla rifusione del spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, in complessivi Euro 6.000, oltre alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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