Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20850 del 15/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 20850 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA

sul ricorso 17448-2011 proposto da:
CAVALLARO

SALVATORE

C. F.

CVLSVT45A01C091A,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE
MAZZINI 123, presso lo studio degli avvocati GIORGIO
LEONE e LUCIANO GIANNINI, rappresentato e difeso
dall’avvocato AURELIO LEONE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
2964

nonchè contro

ISTITUTO VIGILANZA CITTA’ DI ROMA S.R.L.;
•we

– intimato –

avverso la sentenza n.

2630/2010 della CORTE

Data pubblicazione: 15/10/2015

I

D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/06/2010 R.G. N.
8705/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/06/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANA

DORONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato UMBERTO CANTELLI;

Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 18 giugno 2010, la Corte d’appello di
Roma, in riforma della sentenza resa dal Tribunale della stessa sede,
condannava l’Istituto di Vigilanza “Città di Roma” s.r.l. al pagamento in
favore di Salvatore Cavallaro di somme dovute a titolo di ricalcolo della
13a e 14a mensilità, per effetto dell’inclusione delle indennità speciali
diurna e notturna, oltre accessori di legge. Confermava la statuizione del
Iribunale nella parte in cui aveva rigettato le ulteriori domande del
lavoratore e, in accoglimento dell’appello incidentale proposto
dall’istituto, rigettava la domanda del lavoratore avente ad oggetto la
condanna della datrice di lavoro al pagamento dell’indennità di disagio
dominicale per il periodo 1996-1999. Condannava infine l’Istituto di
vigilanza al pagamento di un terzo delle spese di entrambi gradi del
giudizio, mentre compensava i restanti due terzi.
2. Contro la sentenza il Cavallaro propone ricorso per cassazione,
sostenuto da cinque motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.
L’istituto di vigilanza non svolge attività difensiva.
Ragioni della decisione
In via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile la costituzione
dell’avv. Umberto Cantelli in sostituzione del precedente difensore
dell’odierno ricorrente, contenuta nella memoria ex art. 378 c.p.c. Si
deve invero osservare che nel giudizio di cassazione – diversamente da
quanto avviene con riguardo ai giudizi di merito – la procura speciale non
può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal
controricorso, poiché l’art. 83, comma 3, c.p.c., – nel testo precedente alla
riforma introdotta dall’art. 45, comma 9, lett. a) 1. n. 18 giugno 2009, n.
69, applicabile ratione temporis al giudizio in esame, in quanto
introdotto prima del 4 luglio 2009 – nell’elencare gli atti a margine o in
calce ai quali può essere apposta la procura speciale, individua, con
riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati. Pertanto,
se la procura non viene rilasciata su detti atti, è necessario che il suo
conferimento si realizzi nella forma prevista dal citato art. 83, comma 2,
cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti
riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle
parti e della sentenza impugnata. A quest’ultima conclusione deve
pervenirsi anche con riferimento all’ipotesi in cui sopraggiunga la
sostituzione del difensore nominato con il ricorso (o controricorso), non
rispondendo alla disciplina del giudizio di cassazione, dominato
dall’impulso d’ufficio a seguito della sua instaurazione con la notifica e il
deposito del ricorso (o controricorso) e non soggetto agli eventi di cui
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agli artt. 299 e segg. cod. proc. civ., il deposito di un atto redatto dal
nuovo difensore (nella specie denominato “atto di costituzione”) su cui
possa essere apposta la procura speciale (Cass. 24 novembre 2010, n.
23816; Cass., 24 gennaio 2012, n. 929; Cass., ord., 9 febbraio 2015, n.
2460).
/.Con il primo motivo di ricorso il Cavallaro censura la sentenza per
omessa pronuncia sul primo motivo d’appello, relativo all’accoglimento
da parte del tribunale dell’eccezione di prescrizione, in violazione
dell’art. 112 c.p.c. (art. 360,n. 4, c.p.c.). Rileva, sotto un primo profilo,
che la sentenza del tribunale aveva accolto l’eccezione di prescrizione
quinquennale sollevata dalla società, dichiarando estinti i crediti relativi
al periodo anteriore al quinquennio precedente alla notificazione del
ricorso introduttivo del giudizio (e quindi fino al 18 settembre 1995,
essendo la notificazione nel ricorso avvenuta il 18 settembre 2000),
senza considerare che la società aveva eccepito la prescrizione solo fino
al 25 luglio 1995: il giudice di primo grado non poteva pertanto
estenderla oltre la data indicata dalla parte interessata. Osserva, sotto un
secondo profilo, che vi erano state ulteriori lettere che avevano interrotto
la prescrizione. Infine, la stessa datrice di lavoro, nel liquidare tutte le
somme in busta paga in via provvisoria, aveva di fatto riconosciuto il
diritto e quindi interrotto la prescrizione ex art. 2944 c.c.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione dei contratti e degli accordi collettivi nazionali e territoriale
di lavoro, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. Assume l’erroneità della
sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la quota integrativa territoriale
prevista dall’art. 9 del C.C.N.L. del 1995 fosse stata esattamente
corrisposta dall’azienda, e ciò nonostante la società resistente avesse
ammesso di averla pagata solo dall’ottobre 1998. Il motivo contiene
ulteriori profili di censura relativi all’ammontare di tale emolumento (alla
luce del citato art. 9 e della relazione della Commissione paritetica
nazionale del 18 aprile 1994 1 e all’esclusione di tale quota integrativa
soltanto in caso di assenza per malattia o infortunio del lavoratore, e non
anche di permessi retribuiti o sindacali, sicché la decurtazione operata in
suo danno nei mesi di novembre e dicembre 1998, gennaio, febbraio,
aprile, luglio, agosto e novembre 1999 non era giustificabile alla luce
delle buste paga da cui risultavano con esattezza i giorni di malattia e di
assenza nei mesi di riferimento. Tanto doveva indurre ad una rettifica dei
conteggi.
3. Anche con il terzo motivo lamenta la violazione e la falsa applicazione
dei contratti e accordi collettivi, nazionali e territoriali, e in particolare
del contratto integrativo provinciale relativamente all’indennità di rischio
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e di lavoro notturno, che la Corte territoriale ha erroneamente
interpretato escludendo la cumulabilità delle indennità previste nell’art.
39 del C.C.N.L. del 1995 con quelle previste dal contratto integrativo
provinciale. La Corte non aveva tenuto conto della contrattazione
collettiva di categoria del 1991 che aveva istituito altre indennità
giornaliere, Vaggiungersi a quelle speciali già erogate a livello locale.
L’articolo 39 del C.C.N.L. del 1995, nel disporre l’aumento
dell’indennità giornaliere, si riferiva a quelle esistenti localmente non
anche a quelle speciali. Ne conseguiva che ad esso ricorrente spettavano
entrambi ttipi di indennità per l’intero ammontare. In ogni caso non gli
era stato corrisposto l’adeguamento ex art. 39 del c.c.n.l. dell’indennità di
rischio antirapina e per piantonamento fisso a partire dal gennaio 1996,
come emergeva dalle buste paga depositate.
4. Con il quarto motivo denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione
circa un fatto decisivo per il giudizio, asserendo di aver censurato la
sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto non allegati e
provati i giorni in cui egli aveva effettuato il turno di vigilanza presso gli
istituti bancari, rispetto ai giorni già remunerati nei prospetti paga. La
sentenza d’appello, nel motivare sul punto, aveva erroneamente
ricostruito il fatto storico relativo ai giorni in cui egli era stato addetto al
servizio presso istituti bancari con interruzione del servizio, ulteriori
rispetto a quelli risultati pagati nelle buste paga. Dalla verifica del
numero dei giorni in cui egli aveva percepito l’indennità speciale diurna
era agevole desumere che l’indennità di pausa non era stata corrisposta in
misura corrispondente.
5. Con il quinto motivo il ricorrente reitera la denuncia di violazione e
falsa applicazione dei contratti e degli accordi collettivi nazionali e
territoriali, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., nonché l’insufficiente
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in
relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. Censura la sentenza nella parte in cui,
nell’accogliere l’appello incidentale spiegato dalla società, ha escluso il
suo diritto di percepire l’indennità per disagio domenicale, in quanto
previsto solo a far tempo dall’8 gennaio 2002. Per contro, tale indennità
era vigente anche prima di tale data non avendola il contratto collettivo
riservata al solo personale del ruolo amministrativo, come era desumibile
dagli artt. 37 C.C.N.L. del 1991 e art. 39 C.C.N.L. del 1995, che non
operavano alcuna distinzione tra 1 due categorie di lavoratori. Peraltro,
essa era sempre stata riconosciuta anche al personale del ruolo tecnico
operativo, come emergeva dalle buste paga allegate al ricorso e ciò
costituiva una condizione di miglior favore per i lavoratori, ovvero un
diritto acquisito anche dal personale tecnico-operativo.
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6. Il primo motivo è inammissibile. Posto che la sentenza impugnata,
nell’esaminare i motivi d’appello, non tratta la questione della
prescrizione dei crediti avanzati dal lavoratore e la parte deduce l’omessa
pronuncia su tale motivo di appello, era onere di quest’ultima, per il
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare gli esatti
termini in cui tale questione è stata sottoposta al giudice dell’appello, con
la specifica trascrizione del motivo sottoposto al giudice del gravame e
sul quale egli non si sarebbe pronunciato, essendo in tal caso
indispensabile la sua puntuale conoscenza (cfr. Cass., 17 agosto 2012,
n.14561).
La parte, inoltre, non trascrive il contenuto delle missive che avrebbero
determinato l’interruzione della prescrizione, non riporta i termini
dell’eccezione di prescrizione, come sollevata dalla controparte (e che
secondo il suo assunto sarebbe stata limitata solo sino al 25 luglio 1995),
né riporta, neppure nelle sue parti salienti, il contenuto dei documenti da
cui risulterebbe il riconoscimento del debito da parte della società datrice
di lavoro. Di questi ultimi, non offre neppure precisi riferimenti per il
loro reperimento nei fascicoli di parte o d’ufficio. Non rispetta, invero, il
principio di autosufficienza il ricorso per cassazione la parte che,
denunciando l’ omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado,
sulle doglianze mosse in appello alle ragioni esposte davanti al
Tribunale, non espone quelle specifiche circostanze di merito che
avrebbero portato all’accoglimento del gravame, e così impedisce al
giudice di legittimità una completa cognizione dell’oggetto, sul quale,
peraltro, ove non fossero necessari ulteriori accertamenti, potrebbe
decidere nel merito; né al principio di autosufficienza può ottemperarsi
per relationem mediante il richiamo ad altri atti o scritti difensivi
presentati nei precedenti gradi di giudizio (Cass., 13 dicembre 2006, n.
26693).
7. I restanti motivi, che si affrontano congiuntamente presentando
obiettivi profili di connessione logica e giuridica, sono anch’essi
inammissibili per difetto di autosufficienza. La parte non trascrive le
norme contrattuali richiamate, né deposita unitamente al ricorso per
cassazione i contratti collettivi, nazionali e territoriali, e le buste paga su
cui fonda le sue censure, né offre quanto a queste ultime precisi
riferimenti in ordine alla loro attuale collocazione. Ciò costituisce
violazione delle regole imposte dagli artt. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., e
369, comma 2, n. 4, c.p.c.
Si tratta di norme che consacrano il principio di autosufficienza del
ricorso per cassazione – corollario del requisito di specificità dei motivi
di impugnazione – il quale comporta che, quando siano in gioco atti
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processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba
essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art
360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o di un
error in procedendo, ai sensi dei numeri 1, 2 e 4 della medesima norma,
è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o
documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata
l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte,
rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità
(Cass., 6 novembre 2012, n. 19157; Cass., 23 marzo 2010, n. 6937; Cass.
civ. 12 giugno 2008, n. 15808; Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12239).
Non è superfluo in proposito ricordare che le Sezioni Unite di questa
Corte, pur avendo chiarito che l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369
c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006,
n. 40, art. 7, — ed applicabile al ricorso in esame, dovendosi aver riguardo
alla data di pubblicazione della sentenza, successiva al 2 marzo 2006 -, di
produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i
documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è
soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di
parte, mediante la produzione dello stesso, e, quanto agli atti e ai
documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della
richiesta di trasmissione, presentata alla cancelleria del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di
visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, hanno tuttavia precisato che
resta ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di
inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, del contenuto degli atti e dei
documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari al loro
reperimento (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726).
La parte si limita ad un generico richiamo alle norme dei C.C.N.L. e dei
contratti integrativi provinciali, senza specificarne il contenuto e senza
neppure precisare se il loro deposito nelle precedenti fasi del giudizio
abbia riguardato il testo integrale o solo un estratto delle norme citate. Al
riguardo, deve ricordarsi che, nel giudizio di cassazione, l’onere di
depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di
improcedibilità del ricorso, dal citato art. 369, secondo comma, n. 4, cod.
proc. civ., nella formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – può
dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto
collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della
Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone
ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c., né, a tal fine, può considerarsi
sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di
parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del
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documento nell’elenco degli atti. (Cass., 4 marzo 2015, n. 4350; Cass.,
7 luglio 2014, n.15437; Cass. ord., 15 ottobre 2010, n. 21366; 13 maggio
2010,n. 11614).
Tali omissioni impediscono anche esaminare le censure riguardanti i vizi
motivazionali, peraltro prospettati in modo assai generico, non indicando
con esattezza il fatto controverso decisivo per il giudizio non esaminato o
non sufficientemente valutato dalla corte territoriale.
8. In definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nessun
provvedimento deve essere adottato sulle spese, stante il mancato
svolgimento di attività difensiva da parte della società intimata.
P. Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; nulla sulle spese.
Roma, 24 giugno 2015
Il Presidente
Dott. Federico Rositelli

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