Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20850 del 11/09/2013
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20850 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO
SENTENZA
sul ricorso 23553-2007 proposto da:
RADICCI
VITO
ROCCO
C.F.
RDCVRC46H24E038N,
elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO
9, presso lo studio dell’avvocato PALERMO GIANFRANCO,
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
DELLA CORTE COSTANTINO;
– ricorrente contro
PASTORE FRANCESCO C.F.PSTFNC60T30A662L, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA TRIONFALE N 5697, presso lo
studio dell’avvocato BATTISTA DOMENICO, rappresentato
,A
Data pubblicazione: 11/09/2013
e difeso dagli avvocati URSINI PIETRO, RICCARDI
LUCIO;
– contrari corrente –
avverso la sentenza n. 584/2007 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 23/05/2007;
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. CESARE
ANTONIO PROTO;
udito l’Avvocato Palermo Gianfranco difensore del
ricorrente che si riporta al ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso e alla condanna
delle spese.
2_
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 26/11/1991 Francesco Pastore
conveniva in giudizio Vito Rocco Radicci ed
esponeva che il convenuto, proprietario del piano
terra e di un annesso cortiletto sul quale
locale in violazione delle distanze legali dalla
sua proprietà posta al primo piano dello stesso
edificio e in violazione del suo diritto di servitù
di veduta.
Tanto premesso, chiedeva la condanna del convenuto
alla demolizione delle opere realizzate in
violazione delle distanze e della servitù di
veduta, nonché la condanna generica al risarcimento
del danno.
Il
convenuto
si
costituiva
contestando
le
violazioni a lui addebitate e chiedendo il rigetto
dell’avversa domanda.
Dopo l’espletamento di CTU il G.O.A. del Tribunale
di Bari con sentenza del 13/2/2004 condannava il
convenuto al ripristino dell’originaria altezza
dell’autorimessa che era stata sopraelevata e alla
riduzione dell’altezza del nuovo corpo di fabbrica
realizzato per il collegamento tra il piano terra e
3
insisteva una autorimessa, aveva ricostruito il
l’autorimessa; condannava inoltre il convenuto al
risarcimento dei danni da liquidarsi in separato
giudizio.
La sentenza era appellata dal Radicci; il Pastore
costituendosi chiedeva il rigetto dell’appello.
23/5/2007
rigettava
l’appello
con
integrale
conferma della sentenza appellata e condannava il
soccombente alle spese.
La Corte di Appello rilevava:
– che l’accertata sopraelevazione dell’edificio
preesistente (realizzata per ottenere maggiori
volumi e, in particolare, un soppalco) costituiva
nuova costruzione e come tale doveva rispettare la
disciplina delle distanze legali vigente al momento
della costruzione, disciplina che, invece, non era
stata rispettata perché, incontestatamente, non
erano state rispettate le distanze tra costruzioni
stabilite dall’art. 11 delle N.T.A. del vigente
P.R.G. (nella specie 10 metri, come risulta dalla
sentenza di primo grado, riportata integralmente
nel ricorso); conseguentemente doveva essere
ripristinata l’originaria altezza dell’edificio
4
La Corte di Appello di Bari con sentenza del
mediante demolizione limitata alla maggiore altezza
accertata;
– che il nuovo corpo di fabbrica per il
collegamento del piano terra con il locale
destinato ad autorimessa era stato realizzato in
veduta verso il fondo vicino, prescritta dall’art.
907 c.c. e conseguentemente doveva esserne ridotta
l’altezza fino a rientrare nel limite della
distanza di tre metri prescritta dall’art. 907
c.c.;
–
che
l’illegittimità
della
sopraelevazione
realizzata in violazione delle norme urbanistiche
sulle distanze tra costruzioni non veniva meno per
effetto della legge n. 122/1989 che consentiva la
costruzione di parcheggi in deroga agli strumenti
urbanistici e ai regolamenti edilizi sia perché la
deroga è consentita solo per i parcheggi nel
sottosuolo e non quando, come nella specie la
costruzione è realizzata al livello del piano di
calpestio dell’immobile, sia perché non è stata
costruita ex novo una autorimessa, ma è ne è stata
ricostruita una preesistente ad altezza superiore e
illegittima;
5
violazione della distanza minima di tre metri dalla
-
che
l’accertata illegittimità delle opere
realizzate dal Radicci era sufficiente a
giustificare la condanna generica al risarcimento
del danno, non generando alcun vincolo in ordine
all’accertamento dell’esistenza del danno.
motivi; resiste con controricorso Francesco
Pastore.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la
violazione degli artt. 873 c.c., 112 e 342 c.p.c.
Il ricorrente, premette:
–
che il consulente tecnico di ufficio aveva
evidenziato che il tetto del manufatto, inclinato
di 15 ° rispetto al piano orizzontale non poteva
essere assimilato ad una parete verticale;
– di avere dedotto, nell’atto di appello, che il
Tribunale aveva omesso di vagliare tutte le
risultanze della CTU.
Ciò premesso sostiene:
–
che la Corte di Appello,
per affermare
l’applicabilità dell’art. 873 c.c., avrebbe dovuto
esaminare se la parete del tetto a falda nel suo
6
Vito Rocco Radicci propone ricorso affidato a sei
punto terminale fronteggiasse o meno la proprietà
del Pastore, se il punto terminale fosse posto al
di sotto o al di sopra del piano di calpestio e se
fosse stata creata una intercapedine suscettibile
di produrre in indebito asservimento;
Tribunale avrebbe violato gli artt. 116 e 134
c.p.c;
–
che nella perizia non sarebbe indicata una
altezza, di metri 4,50 dal lato nord, invece
indicata dal Tribunale;
– che la deduzione, svolta nella conclusionale in
appello, con la quale si contestava l’applicabilità
dell’art. 873 c.c. perché non si sarebbe in
presenza di pareti e fronti esterni, non costituiva
un argomento nuovo, ma una questione naturalmente
compresa
nel
thema
decidendum,
in
stretta
connessione con il denunciato vizio di motivazione.
Formulando il quesito prescritto dall’art. 366 bi
c.p.c.
ora
abrogato,
applicabile
ma
ratione
temporis, il ricorrente chiede:
– se la norma dell’art. 873 c.c. sia applicabile
qualora
i
non
fabbricati
abbiano
pareti
contrapposte ovvero qualora tra le frontistanti
7
I
– che per la mancanza di questi approfondimenti il
facciate non sussista almeno un segmento tale che
l’avanzamento ideale di una o entrambe le facciate
porti al loro incontro;
– se costituisca errore di diritto avere definito
la controversia senza farsi carico dell’attività
essenziali;
– se sia privo di specificità il motivo di appello
proposto per avere il primo giudice omesso di
vagliare tutte le risultanze della CTU e le sue
conclusioni;
–
se l’avere evidenziato in conclusionale come
l’omessa analisi abbia rivestito carattere di
rilevante
gravità
avendo
pregiudicato
l’individuazione della fattispecie dia luogo ad una
irrituale formulazione del motivo di appello ovvero
costituisca sviluppo di quello già proposto.
1.1 n motivo, nel quale si deduce un errore di
diritto della Corte di Appello come conseguenza di
errata valutazione di elementi di fatto accertati
dalla CTU e di un errore di diritto del Tribunale,
nonché l’erronea applicazione dell’art. 342 c.p.c.
e
la
conseguente
omessa
pronuncia,
manifestamente infondato.
8
1
è
svolta dal consulente che abbia accertato elementi
E’ infatti assorbente rilevare che
il tema di
indagine, relativo all’inapplicabilità dell’art.
873 c.c. per l’assenza di pareti e fronti esterni
contrapposti, in quanto integrante un asserito
errore di diritto, coinvolgente anche questioni di
342 c.p.c. come motivo di appello (né è stata
dedotta la violazione dell’art. 345 c.p.c.) non
essendo sufficiente ad integrare un motivo di
impugnazione specifico, come richiesto dalla norma
processuale la generica affermazione che il
Tribunale aveva omesso di valutare
“tutte le
risultanze della consulenza tecnica di ufficio”
senza alcun riferimento alla problematica che
poteva porre, in punto di diritto, l’assenza di
pareti e fronti esterni, posto che tale assenza in
tanto poteva assumere rilevanza proprio in quanto e
solo in quanto l’art. 873 c.c. fosse interpretato
nel senso che il rispetto delle distanze tra
costruzioni sia subordinato all’esistenza di pareti
e fronti contrapposti e venga meno in caso di
dislivelli tra le costruzioni.
Il
primo
quesito
(se
l’art.
873
c.c.
sia
applicabile qualora i fabbricati non abbiano pareti
9
fatto, doveva essere dedotto, ai sensi dell’art.
contrapposte ovvero tra le frontistanti facciate
non sussista almeno un segmento tale che
l’avanzamento ideale di una o entrambe le facciate
porti al loro incontro), tra l’altro, ha già avuto
risposta nella costante giurisprudenza di questa
decisioni) che ha negato la necessità, ai fini del
rispetto delle distanze tra costruzioni, che le
pareti si trovino allo stesso livello (cfr. Cass.
15/7/2008 n. 19486).
Questa Corte ha infatti affermato il principio che
l’art. 873 cod. civ. trova applicazione anche
quando, a causa del dislivello tra i fondi, la
costruzione edificata nell’area meno elevata non
raggiunga il livello di quello superiore, in quanto
il rispetto delle distanze legali non viene meno in
assenza del pericolo del formarsi d’intercapedini
dannose.
Questa giurisprudenza si ricollega a principi già
in precedenza costantemente affermati, secondo i
quali:
–
ai fini delle prescrizioni che impongono
distacchi minimi è indifferente che i fondi siano
10
I
Corte (allo stato non contraddetta da contrarie
posti a dislivello o si trovino alla medesima quota
(Cass. 21 maggio 1997 n. 4511);
–
le relative misurazioni vanno effettuate sul
piano
virtuale
orizzontale,
prendendo
in
verticale delle sagome degli edifici e delle linee
dei confini (Cass. 24 novembre 1995 n. 12163);
– soltanto le costruzioni completamente interrate
rispetto al suolo in cui sono realizzate – o che
non ne emergono in misura apprezzabile, come
cordoli ai margini di un campo da tennis – non sono
soggette alla disciplina contenuta nell’art. 873
c.c. e ss., o a quella più restrittiva dettata dai
regolamenti locali (Cass. 1 luglio 1996 n. 5956).
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce
l’illogicità e la carenza di motivazione della
Corte di Appello sostenendo:
– che la sentenza del Tribunale era stata appellata
per la mancanza di una valutazione critica ancorata
alle
risultanze
processuali,
idoneamente
e
logicamente motivata e che il Giudice non aveva
indicato i parametri giuridici ed i criteri di
valutazione ritenuti idonei a giustificare una
11
considerazione, come su una mappa, le proiezioni in
decisione
contrastante
con
il
parere
del
consulente;
– che la Corte di Appello si sarebbe limitata ad
affermare che il G.O.A. aveva chiaramente enunciato
le ragioni che lo avevano indotto a raggiungere
– che invece la Corte di appello non avrebbe dovuto
limitarsi a richiamare genericamente le ragioni
enunciate dal primo giudice, ma avrebbe dovuto
esprimere le ragioni per le quali ha ritenuto di
confermare della decisione.
2.1 Il motivo è inammissibile in quanto l’oggetto
del giudizio di appello è delimitato dalle ragioni
specificamente espresse nei motivi di appello e,
solo in relazione a queste, il giudice di appello
deve valutare non già l’adeguata motivazione del
primo giudice, ma la fondatezza della domanda
attrice e delle difese del convenuto, né è
ammissibile in sede di legittimità, la questione
attinente alla logicità o sufficienza della
motivazione della sentenza di primo grado se la
Corte di Appello non sia investita di tale esame
con uno specifico motivo di appello, anche in
applicazione del principio secondo il quale, ai
12
conclusioni diverse da quelle formulate dal C.T.U.;
sensi dell’art. 161 c.p.c. coma primo, i motivi di
nullità della sentenza si convertono in motivi di
gravame.
La Corte di Appello non si è sottratta all’obbligo
di pronunciare su specifici motivi di appello, come
motivazione della sentenza, ma ha esaminato gli
specifici motivi di impugnazione nel merito e ha
congruamente motivato:
–
sull’accertata
sopraelevazione
dell’edificio
preesistente (realizzata per ottenere maggiori
volumi e, in particolare, un soppalco);
–
sulla natura di nuova costruzione della
soprelevazione, come tale soggetta alla disciplina
delle distanze legali vigente al momento della
costruzione, disciplina che, invece, non era stata
rispettata perché, incontestatamente, non erano
state rispettate le distanze tra costruzioni
stabilite dall’art. 11 delle N.T.A. del vigente
P.R.G.;
– sulla violazione della distanza minima di tre
metri dalla veduta verso il
fondo vicino,
prescritta dall’art. 907 c.c. quanto al nuovo corpo
13
risulta evidente dalla semplice lettura della
di fabbrica per il collegamento del piano terra con
il locale destinato ad autorimessa;
–
sull’irrilevanza,
rispetto
all’illegittimità
della sopraelevazione realizzata in violazione
delle norme urbanistiche sulle distanze tra
la costruzione di parcheggi in deroga agli
strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi sia
perché la deroga è consentita solo per i parcheggi
nel sottosuolo e non quando, la costruzione è
realizzata sul piano di calpestio dell’immobile,
sia perché non è stata costruita ex novo una
autorimessa, ma è ne è stata ricostruita una
preesistente ad altezza superiore e illegittima;
– sulla legittimità della condanna generica al
risarcimento del danno in presenza delle accertate
violazioni delle norme sulle distanze tra le
costruzioni e di quelle relative alle distanze
delle vedute non generando, la condanna generica,
alcun
vincolo
in
ordine
all’accertamento
dell’esistenza del danno.
Queste
rationes decidendi,
sono indubbiamente
sufficienti a sostenere la decisione di appello
indipendentemente dalla irrilevante (per le ragioni
14
costruzioni, della legge n. 122/1989 che consentiva
già espresse sub 1.1) considerazione del CTU che ha
osservato che il tetto del manufatto non può essere
assimilato ad una parete verticale, essendo invece
rilevante la considerazione che la soprelevazione,
nella sua globalità, costituisce nuova costruzione
violazione delle distanze.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 342
c.p.c. e il vizio di motivazione sostenendo che la
Corte di Appello avrebbe deciso, rigettandole, due
questioni che non avevano formato oggetto di
appello, ossia l’esonero dal rispetto delle
distanze legali che deriverebbe dal fatto che le
opere erano realizzate da un unico proprietario e
l’esistenza di un diritto di costruire che sarebbe
garantito dall’art. 112 c.p.c.
Il vizio di motivazione viene ravvisato dal
ricorrente per il carattere fuorviante della
motivazione rispetto al thema decidendum.
Formulando il quesito di diritto il ricorrente
chiede se costituisca falsa applicazione dell’art.
342 c.p.c. la reiezione di un motivo di gravame non
proposto.
15
I
e che tale nuova costruzione è stata realizzata in
3.1 Il motivo è inammissibile per carenza di
interesse, posto che dal suo accoglimento non
deriverebbe la riforma della sentenza fondata sulla
reiezione dei motivi invece proposti.
4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la
122/1989 e il vizio di motivazione sostenendo:
– che la legge n. 122/1989 in quanto /ex specialls
deroga all’art. 873 c.c. e tutela un interesse
pubblico
che,
amministrativa,
ove
riconosciuto
sarebbe
dall’autorità
prevalente
rispetto
all’interesse tutelato dall’art. 873 c.c.;
–
che, differentemente da quanto ritenuto dalla
Corte di Appello, con interpretazione che il
ricorrente definisce “radicalmente erronea”, l’art.
9 legge n. 122 del 1989 consente la realizzazione
di parcheggi anche se collocati in cortili di
pertinenza o in aree esterne, comunque adiacenti
senza necessità delle distanze dai confini e
richiama una decisione del 1995 del Consiglio di
Stato;
– che l’ulteriore argomento della Corte di Appello
secondo il quale la normativa speciale non sarebbe
applicabile in caso di ampliamento di autorimessa
16
violazione dell’art. 873 c.c. e dell’art. 9 legge
già esistente è un argomento solo ipotetico e
quindi privo della certezza necessaria per
rigettare il motivo di appello;
–
che l’affermazione della Corte territoriale
secondo la quale la sopraelevazione sarebbe stata
riscontrata da elementi acquisiti al processo.
Formulando il quesito di diritto chiede:
– se l’art. 9 della legge n. 122 del 1989 importi,
nei limiti segnati dal suo ambito di applicazione,
una deroga al disposto dell’art. 873 c.c. al punto
di
determinarne
l’inapplicabilità
in
misura
corrispondente al contenuto del provvedimento
concessorio emesso dalla Pubblica Amministrazione;
– se l’art. 9 sia da considerare applicabile anche
quando trattasi di parcheggio non situato nel
sottosuolo,
ma sullo stesso piano di calpestio
dell’immobile.
4.1 n motivo è manifestamente infondato e non è
certo la motivazione della Corte di Appello ad
essere “radicalmente erronea” come sostenuto dal
ricorrente.
L’art. 9 legge n. 122 del 1989 stabilisce che “I
proprietari di immobili possono realizzare nel
17
realizzata per realizzare un soppalco non sarebbe
sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al
piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare
a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche
in deroga agli strumenti urbanistici ed al
regolamenti edilizi vigenti. Tali parcheggi possono
anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne
al fabbricato, purché, non in contrasto con i piani
urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della
superficie sovrastante e compatibilmente con la
tutela dei corpi idrici_ omissis”.
Nel caso di specie è pacifico (come, del resto
risulta dal materiale fotografico inserito nel
ricorso dallo stesso ricorrente) che l’autorimessa
è stata realizzata non già nel sottosuolo
dell’edificio né nei suoi locali a piano terreno
(come sarebbe consentito dalla legge in questione)
bensì in area pertinenziale all’immobile; in tale
ipotesi, qui ricorrente, la deroga agli obblighi di
distanza è consentita solo se l’autorimessa è
realizzata nel sottosuolo.
Il dettato normativo è chiaro ed univoco e, proprio
perché introduce norma eccezionale derogatoria
rispetto all’ordinaria disciplina delle distanze,
18
I
essere realizzati, ad uso esclusivo del residenti,
non
ne
è
legittima
alcuna
interpretazione
estensiva.
La legge Tognoli, se pure è volta a favorire la
realizzazione di autorimesse, è contestualmente
intesa a fare salvo l’aspetto esteriore e visibile
realizzazione di parcheggi nel sottosuolo o al
piano terreno di un fabbricato preesistente,
proprio perché, ubicate nei modi previsti dalla
legge, tali strutture non comportano alterazioni
visibili del territorio; lo stesso argomento è
ovviamente valido per le autorimesse pertinenziali,
ma solo se sotterranee e quindi inidonee ad
alterare lo stato esterno dei luoghi.
Con riferimento alla giurisprudenza del Consiglio
di Stato, solo per completezza di argomentazione,
ulteriormente si osserva che nello stesso senso si
è espressa anche la più recente giurisprudenza
amministrativa secondo la quale la realizzazione di
autorimesse e parcheggi, se non effettuata
totalmente al di sotto del piano di campagna
naturale è soggetta alla disciplina urbanistica
dettata per le ordinarie nuove costruzioni fuori
terra (Con.St., IV 16/4/2012 n. 2185; IV 11
novembre 2006, n. 6065; V 29 marzo 2004, n. 1662).
19
del territorio, nel senso di consentire la
Nella decisione del Consiglio di Stato, Sezione IV
23 febbraio 2009, n. 1070 testualmente si legge
che:
“i
parcheggi devono essere realizzati, se non
vengono a ciò adibiti i locali del plano terra di
fabbricato ovvero nel sottosuolo di un’area
pertinenziale esterna_”.
In tal senso si risponde al secondo quesito
formulato, restando assorbito il primo quesito; per
tali ragioni non sussiste il dedotto vizio di
motivazione in quanto la motivazione è del tutto
conforme ai principi esposti, con la precisazione
che la circostanza che l’autorimessa sia posta a
livello del piano di calpestio dell’immobile non
rileva perchè l’autorimessa non è stata realizzata
al piano terra dell’immobile, tale essendo l’unica
condizione per la quale sarebbe stato possibile
realizzare un parcheggio senza il rispetto delle
norme in materia di distanze.
E’ parimenti conforme ai principi l’ulteriore
motivazione (autonomamente sufficiente a sorreggere
la decisione) secondo la quale la deroga è
consentita solo per le nuove costruzioni e non per
la sopraelevazione di una autorimessa già esistente
20
un fabbricato, o nel sottosuolo dello stesso
e anche sotto questo diverso profilo il motivo di
ricorso si rivela manifestamente infondato.
5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la
violazione dell’art. 112 c.p.c. e il vizio di
motivazione.
l’attore avrebbe richiesto solo la demolizione del
nuovo manufatto costituito dall’autorimessa per la
parte concretante violazione delle distanze legali
e non avrebbe, invece, chiesto la demolizione della
pensilina in metallo ondulato di collegamento del
piano terra con il locale autorimessa; pertanto la
Corte di Appello avrebbe errato nel rigettare la
censura di extrapetizione formulata in atto di
appello, avverso la sentenza del Tribunale con la
quale era stata anche la demolizione della
pensilina.
Il ricorrente inoltre sostiene che la Corte di
Appello, in motivazione ha osservato che in
citazione era stata dedotta anche la lesione della
servitù di veduta conseguente alla realizzazione
della nuova costruzione; questa motivazione sarebbe
illogica in quanto la contestazione dell’appellante
riguardava il bene oggetto della domanda e non la
21
Il ricorrente sostiene che con l’atto di citazione
natura del diritto fatto valere; la motivazione
sarebbe altresì carente perché la Corte di Appello
non avrebbe esplicitato le ragioni per le quali la
pensilina impedirebbe l’esercizio della servitù di
veduta.
costituisca vizio di extrapetizione sanzionabile ai
sensi dell’art. 112 c.p.c. avere emesso un ordine
di demolizione di un corpo di fabbrica non
contemplato dall’attore in sede di determinazione
dell’oggetto della domanda desumendone la
pertinenza al
thema decidendum
dalla particolare
natura del diritto soggettivo azionato.
5.1 n motivo è manifestamente infondato.
La Corte di Appello ha rilevato che la domanda
riguardava la nuova costruzione comprendente anche
l’opera realizzata per rendere comunicante il piano
terra con l’autorimessa in quanto era stata dedotta
sia la violazione delle norme sulle distanze tra le
costruzioni, sia la violazione del diritto di
servitù di veduta; siccome erano accertate entrambe
le violazioni (la violazione delle distanze per la
sopraelevazione dell’autorimessa e la violazione
della servitù di veduta per la annessa costruzione
22
\
,
Formulando il quesito di diritto chiede se
del collegamento) ha ritenuto di escludere che il
provvedimento ripristinatorio adottato per porre
rimedio alla violazione della servitù di veduta
dipendente dalla costruzione collegata
all’autorimessa,
potesse
essere
viziato
da
La
motivazione
è
del
sull’individuazione del
petendi
petitum
tutto
adeguata
e della
causa
che hanno consentito la riduzione
dell’altezza della pensilina.
La decisione della Corte di Appello non è viziata
di extrapetizione, posto che ha deciso su uno
specifico motivo di appello e la motivazione, come
detto non né carente né illogica; la motivazione
relativa alla violazione della servitù di veduta è
congrua perché la Corte di Appello ha richiamato
l’art. 907 c.c. (la cui violazione o falsa
applicazione non è dedotta né in questo motivo né
negli altri motivi di ricorso) e ha accertato che
la costruzione accessoria realizzata per attuare il
collegamento tra autorimessa e piano terra non
rispettava la distanza di metri tre prescritta
dallo stesso articolo che regola, appunto, la
distanza delle costruzioni dalle vedute.
23
extrapetizione.
6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce la
violazione degli artt. 949, 2043 c.c. e 278 c.p.c.
quanto alla condanna generica al risarcimento del
danno, sul presupposto che le opere che le opere da
lui realizzate non siano illegittime.
illegittimità delle opere; quanto all’esistenza di
un danno
in re ipsa
per la violazione delle
distanze tra costruzioni, la decisione impugnata è
conforme alla più recente giurisprudenza di questa
Corte che qui si condivide integralmente, secondo
la quale in tema di violazione delle distanze tra
costruzioni previste dal codice civile e dalle
norme integrative dello stesso, quali i regolamenti
edilizi comunali, al proprietario confinante che
lamenti tale violazione compete sia la tutela in
forma specifica, finalizzata al ripristino della
situazione antecedente al verificarsi
dell’illecito, sia quella risarcitoria ed il danno
che egli subisce (danno conseguenza e non danno
evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile,
dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio
fondo e, quindi, della limitazione del relativo
godimento, che si traduce in una diminuzione
24
rìu
6.1 Il motivo resta assorbito dall’accertata
temporanea del valore della proprietà medesima,
deve ritenersi “in re ipsa”,
specifica
attività
senza necessità di una
probatoria
(cfr.
Cass.
16/12/2010 n. 25475; Cass. 7/5/2010 n. 11196).
7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato
in quanto
soccombente, la pagamento delle spese di questo
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Vito Rocco
Radici a pagare a Francesco Pastore le spese di
questo giudizio di cassazione che liquida in euro
2.500,00 per compensi oltre euro 200,00 per
esborsi.
Così deciso in Roma, il 26/6/2013.
con la condanna del ricorrente,