Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20849 del 11/09/2013
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20849 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO
SENTENZA
sul ricorso 27284-2007 proposto da:
CAGNETTA SABINO C.F.CGNSBNO3H21E054A, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA VIRGINIO ORSINI 19, presso
lo studio dell’avvocato MAESTRI VITTORIO,
rappresentato
e
dall’avvocato
difeso
SANTORO
FRANCESCO;
– ricorrente contro
MORGESE ENRICA C.F.MRGNRC65D49L109B, MORGESE STELLA
C.F.MRGSLL62M47L109P,
VALLARELLI
TERESA
C.F.VLLTRS36P6OL109V, elettivamente domiciliati in
Data pubblicazione: 11/09/2013
ROMA, VIA ALBERICO II, 13 INT. 3, presso lo studio
dell’avvocato DI ROSA LUCIO, rappresentati e difesi
dall’avvocato PIACENTE VITO;
– controri correnti –
avverso la sentenza n. 664/2007 della CORTE D’APPELLO
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. CESARE
ANTONIO PROTO;
udito l’Avvocato D’Onofrio Giancarlo con delega
depositata in udienza dell’Avv. Santoro Francesco
difensore del ricorrente che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso con condanna alle spese.
t
di BARI, depositata il 12/06/2007;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 2/9/1994 Vallarelli Teresa, Morgese
Enrica e Morgese Stella, quali proprietarie di una casa
destinata ad abitazione, convenivano in giudizio
Cagnetta Sabino, proprietario di un terreno confinante
alto tre metri e non intonacato in violazione delle
prescrizioni del R.E. che impone l’intonacatura e di
ogni manufatto e aveva costruito un capannone in totale
difformità della concessione edilizia, violando, con
entrambe le costruzioni, la destinazione urbanistica a
verde agricolo stabilita dal programma di
fabbricazione.
Sulla base di tali premesse chiedevano la condanna del
convenuto al risarcimento dei danni per il minor
godimento della loro unità immobiliare e per il minor
valore della loro proprietà, conseguente al deturpante
complesso immobiliare così realizzato.
Il Cagnetta si costituiva contestando le domande
avversarie anche con riferimento al danno lamentato e
deducendo che, a loro volta, le attrici avevano
costruito il loro immobile in contrasto con la
destinazione urbanistica di zona.
Il
Tribunale
di
dopo
Trani,
l’acquisizione
di
documentazione prodotta dalle parti e consulenza
3
sul quale il convenuto aveva eretto un muro di cinta
con sentenza del 21/10/2003
tecnica di ufficio,
accoglieva le domande attrici e liquidava il danno
nell’ammontare
di
24.330,00,
euro
sensibilmente
inferiore rispetto alla richiesta di euro 100.000,00
Il Cagnetta proponeva appello al quale resistevano le
La Corte di Appello di Bari con sentenza del 12/6/2007
riformava solo parzialmente la sentenza appellata
riducendo all’importo di euro 21.970 la somma dovuta a
titolo di risarcimento.
La Corte di Appello, per quanto qui ancora interessa in
relazione ai motivi di ricorso, rilevava:
– che il Cagnetta contestava la risarcibilità del danno
assumendo che la costruzione delle attrici era
illegittima, ma il motivo di appello era infondato
perchè l’art. 61/18 delle N.T.A. del P.d.F. del Comune
di Terlizzi, con riferimento alla zona nella quale
erano ubicati gli immobili, consentiva la realizzazione
della casa di abitazione delle attrici in quanto era
espressamente prevista la possibilità della costruzione
di
case
isolate e
addirittura di
insediamenti
residenziali, purchè concentrati in piccoli nuclei;
– che, invece, non era conforme alle prescrizioni
urbanistiche la costruzione realizzata dal Cagnetta che
aveva costruito un capannone destinato a centro
4
attrici che proponevano appello incidentale.
commerciale
per
l’edilizia
in
difformità
della
destinazione urbanistica e in difformità degli standard
urbanistici per i quali il convenuto avrebbe potuto
realizzare una costruzione del volume complessivo di
219 metri cubi, mentre ne aveva realizzati 10.242;
due diversi danni, quello del minore valore del bene e
quello della lesione del godimento del bene in termini
di diminuzione di amenità e comodità;
– che la realizzazione di opere in violazione di norme
di edilizia o di tutela ambientale è fonte di
responsabilità risarcitoria sia in relazione al minore
valore del bene sia in relazione alla lesione dei
godimento del bene in termini di diminuzione di amenità
e comodità;
– che non potevano essere accolti i motivi di appello
concernenti al sussistenza e la liquidazione dei danni
perché:
a) il danno da deturpazione ambientale era stato
correttamente liquidato con riferimento al valore della
casa delle attrici prima e dopo l’illecita costruzione
del Cagnetta e sulla base delle valutazioni del CTU
fondate sulle caratteristiche della zona e sul valore
degli immobili in condizioni analoghe;
5
– che il danno subito dalle attrici era costituito da
b) il danno derivante dalla riduzione del godimento del
bene in termini di amenità e comodità era stato
correttamente liquidato in considerazione delle
dimensioni esorbitanti del capannone che andavano ad
incidere sulla godibilità degli ambienti realizzati al
in pari misura dalla presenza di serre o dalla
vicinanza di opifici industriali tenuto conto che il
capannone del confinante non era solo vicino, ma
addirittura a ridosso; neppure la vicinanza del
cimitero escludeva la minore amenità dell’immobile come
conseguenza dell’illecita costruzione;
– che il danno da riduzione del godimento del bene in
termini di amenità era stato liquidato secondo equità e
la quantificazione di tale danno non era stata neppure
oggetto di uno specifico motivo di gravame.
Cagnetta Sabino propone ricorso affidato a cinque
motivi.
Resistono con controricorso Vallarelli Teresa, Morgese
Enrica e Morgese Stella.
Motivi della decisione
l. Con il primo motivo il ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 61/18 N.T.A.
del P.d.F. del Comune di Terlizzi e degli artt. 872,
2043 e 1223 e ss. c.c. richiamati dall’art. 2056 c.c. e
6
primo piano della casa delle attrici, non compromessa
sostiene che la Corte di Appello avrebbe erroneamente
applicato le norme urbanistiche (art. 61/18 N.T.A. del
P.d.F. del Comune di Terlizzi con riferimento alle zone
tipizzate E2 – verde agricolo) e che, se le norme
fossero state correttamente applicate, la Corte di
ritenuto, che la casa delle attrici non poteva essere
realizzata ed era abusiva perché costruita in
violazione delle norme suddette, con la conseguenza che
non poteva essere liquidato il danno subito per la
perdita di valore di una costruzione abusiva.
In particolare,
il
ricorrente
sostiene
che
la
previsione delle N.T.A., secondo la quale potevano
essere costruite anche case isolate e chalet, doveva
essere coordinata con il vincolo dell’intero territorio
a verde agricolo e con la previsione dell’ultima parte
della norma locale che, pur ammettendo parziali
utilizzazioni residenziali da concentrarsi in piccoli
nuclei, impone ai proponenti la lottizzazione, di
utilizzare la parte di terreno non utilizzata per la
destinazione residenziale alla destinazione agricola.
Formulando il quesito di diritto ai sensi dell’art. 366
bis c.p.c.
ora abrogato,
temporis, chiede:
7
ma applicabile
ratione
Appello avrebbe dovuto ritenere, diversamente da quanto
se l’art. 61/18 N.T.A. del P.d.F. del Comune di
Terlizzi, nella parte in cui recita “In tale zona sono
permesse costruzioni inerenti all’attività agricola e
allo sviluppo dell’agricoltura in generale_ omissis
nonché case isolate, chalet, casette con annesso vano
a realizzarsi in quella zona una finalizzazione di
carattere agricolo;
se la violazione della richiamata norma sia
compatibile con gli artt. 872, 2043, 1233 e 2056 del
codice civile.
1.1 Con riferimento al
secondo quesito occorre
premettere che la giurisprudenza di questa Corte ha
effettivamente affermato che il danno subito da un
immobile costruito abusivamente
“ancor prima che
ingiusto è inesistente in quanto il bene abusivo non è
suscettibile di essere scambiato sul mercato”
(Cass.
21/2/2011 n. 4206); questa giurisprudenza richiama
principi in tema di espropriazione per pubblica utilità
secondo i quali gli immobili costruiti abusivamente non
sono suscettibili di indennizzo, a meno che alla data
dell’evento ablativo non risulti già rilasciata la
concessione in sanatoria. (Cass. 14/12/2007 n. 26260).
Nella fattispecie, tuttavia, tali principi non sono
applicabili in quanto le attrici avevano ottenuto la
8
per l’attività artigiana_” imprime a tutti gli immobili
concessione in sanatoria (come documentato nel giudizio
di merito) perché la costruzione era conforme alle
norme urbanistiche.
Dal
motivo
è
tuttavia
desumibile
l’ulteriore
affermazione di una persistente illegittimità della
concessione
poteva
essere
assentita
attesa
la
destinazione agricola della zona all’interno della
quale la costruzione era stata realizzata e in tal
senso deve essere interpretata la censura di falsa
applicazione delle N.T.A. del Comune di Terlizzi.
Anche sotto questo profilo la censura è infondata
perché, in via generale, la destinazione agricola della
zona non era incompatibile con una destinazione
residenziale se rispettosa di determinati presupposti
sia connessi alla cubatura, sia connessi al tipo di
costruzione e al suo impatto sul territorio (case
isolate, come appunto quella dell’attrice, chalet,
casette con annesso vano per le attività artigiane)
come correttamente evidenziato dalla Corte di Appello
che, con condivisibile motivazione, ha rilevato che la
tipizzazione impressa dallo strumento urbanistico non
resta compromessa dalla costruzione di case isolate.
Questa considerazione di carattere più generale trova
riscontro nella specifica previsione della possibilità
9
L
costruzione in considerazione del fatto che nessuna
di costruire case isolate, chalet e casette con annesso
vano per le attività artigiane, attività che, quindi
non sono agricole, con ciò confermandosi la valutazione
in termini non già di esclusività della destinazione
agricola, ma di regola, suscettibile di deroghe, purchè
conclusione ulteriormente avvalorata dalla prevista
possibilità di
“insediamenti residenziali purchè
concentrati in piccoli nuclei”.
In conclusione,
l’interpretazione della Corte di
Appello appare conforme alla lettera e alla ratio delle
norme in questione, oltre che confermata dalla
successiva concessione in sanatoria, mentre appare
contrastante con la
ratio
delle previsioni
urbanistiche, oltre che irragionevole ) la pretesa di
escludere in assoluto una limitata possibilità di
costruzioni solo residenziali, quella proposta dal
ricorrente.
La normativa come correttamente interpretata dal
giudice di appello e la concessione in sanatoria
esclude, in ogni caso, la rilevanza della censura ai
fini del rigetto della domanda risarcitoria, posto che
l’immobile, in quanto sanato, non può più essere
considerato incommerciabile e pertanto neppure
l’iniziale abusività scaturente non dalle previsioni
10
L.
mantenute negli stretti limiti consentiti dalla N.T.A,
urbanistiche,
ma
dalla
difformità
dall’iniziale
concessione, ormai non più sussistente, potrebbe
pregiudicare il diritto al risarcimento per il
diminuito valore commerciale.
Pertanto al primo quesito occorre dare risposta
motivo di ricorso deve essere rigettato in quanto
infondato.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa
motivazione e la violazione e falsa applicazione delle
norme civili sul risarcimento del danno.
Il ricorrente sostiene di avere dedotto con l’appello
che l’immobile era stato solo parzialmente condonato e
nel ricorso aggiunge che dagli atti dovrebbe risultare
che non sarebbe stato condonato quanto ad una
superficie di 50 metri quadrati tenuto conto
dell’estensione del terreno e dell’indice di
fabbricabilità che avrebbe consentito la realizzazione
di una cubatura minore di quella realizzata, mentre le
superfici oggetto della richiesta di condono erano
inferiori rispetto a quelle realizzate.
Con riferimento al vizio di motivazione, il ricorrente
sostiene che la Corte di Appello non avrebbe motivato
sulla censura di condono solo parziale; con riferimento
alla violazione di norme, sostiene che la costruzione,
contraria a quella auspicata dal ricorrente e il primo
in quanto ancora abusiva, non avrebbe valore di mercato
essendo incommerciabile.
Formulando i quesiti di diritto chiede:
– di accertare se l’eccedenza di cubatura della
costruzione rispetto all’indice di fabbricabilità della
e quindi illecita la costruzione;
– di stabilire se la parziale o totale illiceità della
costruzione incida sul valore di mercato.
2.1 n motivo, quanto al vizio di omessa motivazione ex
art. 360 n. 5 c.p.c. è inammissibile perché, dopo
l’affermazione che la censura era stata sollevata con
il motivo di appello senza trovare evasione, la
censura doveva essere proposta non come vizio di
motivazione, ma come omessa pronuncia ex art. 112
c.p.c.
Inoltre il motivo muove dal presupposto dell’esistenza
di
documenti
acquisiti
al
processo
(concessioni
edilizie e concessioni in sanatoria, ossia
provvedimenti amministrativi che, tra l’altro, non sono
tecnicamente equipollenti al condono che a differenza
della sanatoria rende possibile sanare anche interventi
non permessi dalla normativa vigente) rispetto ai quali
non viene indicato con specificità il contenuto; non è
a tal fine sufficiente la semplice allegazione della
12
zona e la mancanza del condono edilizio rendano abusiva
consulenza tecnica di parte che costituisce semplice
allegazione difensiva, priva, come tale di autonomo
valore probatorio (cfr.,
ex multis,
Cass. 29/1/2010 n.
2063).
Infine, il motivo è inammissibile per difetto di
la censura come oggi proposta sia stata formulata con
l’atto di appello, posto che l’obbligo di motivazione
del giudice di appello è limitato (ex art. 342 c.p.c.)
a quanto specificamente dedotto con il motivo di
appello non essendo sufficiente affermare che
l’immobile non era stato integralmente condonato quando
il primo giudice aveva invece affermato che l’abuso
edilizio era stato, invece, sanato.
I quesiti di diritto muovono da un presupposto, in
fatto (l’eccedenza di cubatura rispetto a quanto
condonato e la conseguente parziale o totale illiceità
della costruzione) non corrispondente agli accertamenti
in fatto dei giudici del merito e, quindi, sono
inammissibili, come è inammissibile il motivo nei
termini in cui è formulato, perché non attingono la
ratio decidendi
della sentenza impugnata che ha
accertato l’intervenuta sanatoria.
Il motivo deve pertanto essere rigettato.
13
autosufficienza in quanto non risulta in quali termini
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e ss. L.
n. 47/1985 e la mancata applicazione dell’art. 41
quater L. n. 1150/1942, come modificato dall’art. 16 L.
n. 765/1967, nonché degli artt. 872, 2043, 1223 e ss. e
Il ricorrente sostiene di avere ottenuto non già una
concessione in sanatoria, ma una concessione in deroga
ai sensi dell’art. 41
modificato dall’art.
quater
16 L.
L. n. 1150/1942, come
n.
ancorché
765/1967,
qualificata come concessione in sanatoria perché
rilasciata dopo la realizzazione dei capannoni; tale
concessione in deroga avrebbe mutato la destinazione di
uso rendendo così legittima la sua costruzione.
Formulando il quesito di diritto chiede se la
concessione di in deroga di cui all’art. 41
n.
1150/1942,
come modificato dall’art.
quater L.
16 L. n.
765/1967 esplichi i suoi effetti anche nei rapporti tra
privati diversamente dalla concessione in sanatoria di
cui alla legge n. 47/1985.
3.1 Il motivo è inammissibile per tre distinte e
autonome ragioni:
a) la questione, che presuppone la valutazione di
elementi documentali (nella specie, la concessione in
sanatoria
ottenuta
asseritamente
14
dall’odierno
2056 c.c.
ricorrente) non risulta proposta davanti al giudice di
appello e dunque è questione nuova, come tale non
deducibile in questo giudizio di legittimità;
b)
manca qualsiasi riferimento alla produzione del
documento sul quale è fondato il motivo, nelle fasi del
c) il quesito è inammissibile in quanto assolutamente
generico (cfr.Cass. Sez. Un. 5/1/2007, n. 36; Cass.
21/5/2007, n. 11682; Cass. 11/3/2008, n. 6420; Cass.
15/7/2008, n. 19348) e si risolve in un’enunciazione
tautologica (cfr. Cass. Sez. Un. 8/5/2008, n. 11210).
La formulazione corretta del quesito di diritto esige
pertanto che dapprima il ricorrente indichi la
fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema
normativo tipico, infine formuli il principio giuridico
di cui chiede l’affermazione (Cass. 27 gennaio 2009, n.
1944); in altri termini, il ricorrente deve domandare
alla Corte se,
in una fattispecie come quella
contestualmente e sommariamente in fatto descritta nel
quesito, si applichi la regola di diritto auspicata dal
ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella
sentenza impugnata (Cass. Sez. Un. 5/2/2008, n. 265
nello stesso senso, da ultimo, Cass. 2/4/2009 n. 8102).
15
merito;
4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce il vizio
di motivazione in relazione agli artt. 2043, 1223 e ss.
e 2056 c.c.
Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello, nel
riconoscere il danno da diminuzione del godimento (in
conseguenza dei capannoni abusivi di esso ricorrente:
– ha omesso di motivare in ordine all’esistenza, sul
confine tra le due proprietà, di una recinzione altra
tre metri e alla presenza, in prossimità del confine,
di alberi ad altro fusto, circostanza che sarebbe stata
sottoposta all’attenzione del giudice di appello e
documentata fotograficamente;
–
non ha considerato che i capannoni avevano la
medesima altezza sia che fossero adibiti a serre, sia
che fossero adibiti a deposito e commercializzazione di
prodotti per l’edilizia;
– ha negato qualsiasi incidenza alla presenza di due
grossi insediamenti industriali nel raggio di 500 metri
dalla proprietà delle attrici, parimenti incidenti
sulla panoramicità e alla presenza di un cimitero alla
distanza di 200 metri.
Il ricorrente formula due quesiti che definisce quesiti
di diritto, chiedendo:
16
termini di godimento e panoramicità) dell’immobile come
- se la presenza di una recinzione alta tre metri posta
a confine tra la proprietà e di alberi di alto fusto
posti a ridosso della recinzione sia di ostacolo alla
visuale sul fondo limitrofo concretizzi un danno da
risarcire;
nelle vicinanze della proprietà Vallarelli-Morgese
pregiudichi l’amenità e la panoramicità della zona.
4.1 n motivo di ricorso, sotto il profilo del vizio di
motivazione è infondato perché è stato adeguatamente
motivato dai giudici del merito il pregiudizio subito
dagli attori e di conseguenza risulta insussistente la
dedotta
violazione
delle
norme
in materia
di
risarcimento del danno.
In diritto, non è contestato, in questa sede, il
principio di diritto affermato dalla Corte di Appello,
secondo il quale la realizzazione di opere in
violazione di norme di edilizia è fonte di
responsabilità risarcitoria verso il proprietario del
fondo limitrofo sia per il deprezzamento commerciale
del bene, sia per la limitazione del suo godimento in
termini di amenità.
Il principio così affermato, d’altra parte, è conforme
alla giurisprudenza di questa Corte che opera una
distinzione tra le violazioni in materia di distanze e
17
– se la presenza di opifici industriali e del cimitero
le
altre violazioni
della normativa urbanistica
affermando che la realizzazione di opere in violazione
di norme recepite negli strumenti urbanistici locali
diverse da quelle in materia di distanze, non comporta
un immediato e contestuale danno per i vicini il cui
nesso causale tra la violazione contestata e
l’effettivo pregiudizio subito; la prova di tale
pregiudizio deve essere fornita dall’interessato in
modo preciso con riferimento alla sussistenza del danno
ed all’entità dello stesso (tra le tante, Cass.
23/2/1999 n. 1513; Cass. 12/6/2001 n. 7909; Cass.
7/3/2002, n. 3341; Cass. 1/12/2010 n. 24387; Cass.
27/3/2013 n. 7752).
Ciò che
sussistenza
il
ricorrente contesta è la ritenuta
di
un
pregiudizio
all’amenità
e
panoramicità della zona (da intendersi, come
pregiudizio all’amenità e panoramicità di cui godeva
l’immobile prima della costruzione abusiva), tenuto
conto della presenza di un muro alto tre metri, di
alberi ad alto fusto, di un cimitero a 200 metri e
dalla presenza, nelle vicinanze, di una zona ad
insediamento industriale-commerciale.
Tuttavia, in linea di principio, non si può escludere
che un’immobile destinato a residenza, per quanto si
18
diritto al risarcimento presuppone l’accertamento di un
trovi
in una
zona nella
quale
sono presenti
insediamenti dalla cui mancanza deriverebbe una
maggiore amenità e godibilità del luogo, possa
egualmente subire un pregiudizio dall’aggravamento
costituito dalla realizzazione di un’altra costruzione
“in zona”, ma addirittura a ridosso della residenza(v.
pag. 8 della sentenza di appello); inoltre, il diritto
a conservare la gradevolezza dell’abitare del
proprietario nella sua casa non si arresta a ciò che si
trova all’interno della stessa, ma si espande a tutto
il luogo circostante la cui amenità, secondo la
valutazione di merito della Corte, è stata compromessa
dalla realizzazione, da parte del vicino di un
capannone di dimensioni esorbitanti rispetto a quanto
consentito dalla normativa urbanistica (v. pag. 7 della
sentenza di appello).
Per il resto, si tratta di una censura che attiene non
già alla mancanza, insufficienza o illogicità della
motivazione, ma esprime una mera non condivisione
sostenuta da argomenti che, come detto, non sono
decisivi e, quindi, si risolve in una censura della
valutazione di merito che si pone al di fuori dei
limiti del sindacato di questa Corte; neppure la
deduzione dell’esistenza di un muro dell’altezza di tre
19
che, come rilevato dalla Corte di Appello non è solo
metri e della presenza di alberi di alto fusto appare
un argomento rilevante, non risultando né provato nè
dedotto che la vista della costruzione abusiva dalla
casa fosse totalmente preclusa per la presenza del muro
Il motivo deve quindi essere rigettato.
5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la
violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt.
1223 e 2056 c.c.
Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello avrebbe
omesso una indagine critica circa la mancanza di prova
in ordine all’ammontare del danno rifugiandosi
acriticamente nelle conclusioni del CTU e nel ricorso
all’equità operato dal Tribunale sul presupposto che la
deminutio patrimonli relativa ad aria, luce, amenità e
godimento del paesaggio fosse
in re ipsa
e non
postulasse la prova dell’entità della stessa, mentre il
ricorso all’equità deve essere sorretto
dall’indicazione dei criteri ispiratori.
Formulando il quesito di diritto il ricorrente chiede
se l’indagine sull’incidenza dell’onere della prova sia
rilevante e necessaria in relazione a fatti decisivi
che il giudice non possa accertare
proba ta.
20
iuxta alligata
et
e degli alberi.
5.1 Il motivo è inammissibile sia per la genericità e
astrattezza del quesito che si risolve in una mera
affermazione di principio senza alcun collegamento con
le deduzioni e allegazioni delle parti, sia per la
genericità della censura stessa nella quale non si
argomentatamente recepita dalla Corte di Appello, come
risulta dalla mera lettura della pagina 7 della
sentenza e non attinge l’ulteriore motivazione secondo
la quale, quanto al pregiudizio derivante dalla
compromissione del godimento del bene, una volta
dimostrata l’esistenza del danno, non è censurabile la
liquidazione secondo equità
“non senza trascurare che
la quantificazione di tale voce di danno non è stata
neppure oggetto di uno specifico motivo di appello”
(pag. 9 della sentenza di appello); sotto questo
profilo si deve concludere che il motivo è altresì
inammissibile in quanto introduce una questione non
ritualmente proposta con uno specifico motivo di
appello.
6. Il ricorso va rigettato; le spese, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Cagnetta Sabino
a pagare alla parte controricorrente nelle persone di
21
deducono critiche specifiche alla consulenza
Vallarelli Teresa, Morgese Enrica e Morgese Stella, le
spese di questo giudizio di cassazione che liquida in
euro 3.000 per compensi oltre euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, il 26/6/2013.