Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20848 del 11/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20848 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 26431-2007 proposto da:
NUZZO

LUIGI

C.F.NZZLGU28E28H834N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, V.LE MAZZINI 121, presso lo
studio dell’avvocato VISCO FRANCESCO, rappresentato e
difeso dall’avvocato TERRACCIANO FELICE;
– ricorrente ”

2013
1761

contro
PASCARELLA GIUSEPPINA ELENA C.F.PSCGPP48M45H834V,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RODRIGUEZ
PEREIRA 208, presso lo studio dell’avvocato NUZZO
GIUSEPPE, che la rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 11/09/2013

– controrícorrente

avverso la sentenza n. 1466/2007 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. CESARE

udito

l’Avvocato

Visco

Francesco

con

delega

depositata in udienza dell’Avv. Felice Terracciano
difensore del ricorrente che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito

l’Avv.

Nuzzo

Giuseppe

difensore

della

controricorrente che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso.

ANTONIO PROTO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nuzzo Luigi con citazione del 10/1/1993 conveniva in
giudizio Pascarella Giuseppina, proprietaria di un
immobile confinante con quello di sua proprietà ed
assumeva che la convenuta, a seguito di lavori di

– aveva aperto delle vedute balconate sul confine a
distanza non regolamentare;

aveva

aperto,

sempre

sul

confine,

una

luce

ingrediente senza munirla di idonea inferriata;
– nel tinteggiare le pareti aveva spostato il confine
di circa 10 – 15 centimetri;

aveva eseguito altri lavori che avevano provocato

infiltrazioni di acqua e aveva sporcato di residui di
intonaco la parete dell’immobile dell’attore.
Tanto premesso, chiedeva:
– che fossero dichiarate illegittime le vedute;
– che fosse dichiarato illegittimo il lume ingrediente;

che la convenuta fosse condannata a rimuovere le

vedute, a ripristinare l’originario stato della parete
posteriore eliminando le cause delle infiltrazioni e a
ritinteggiare, sulla facciata anteriore, la linea di
confine delle pareti dei due fabbricati arretrandosi
per lo spazio arbitrariamente occupato.

3

ristrutturazione e soprelevazione della mansarda:

La convenuta contestava tutte le domande replicando che
i lavori erano ancora in corso e che aveva usufruito
della veduta dal terrazzo da oltre 30 anni; in via
riconvenzionale chiedeva il riconoscimento della
servitù di veduta per usucapione e formulava altre

cassazione.
Dopo l’espletamento di CTU il G.O.A. del Tribunale di
S. Maria Capua Vetere con sentenza del 13/2/2002:

dichiarava inesistente il diritto di servitù di

veduta e condannava la convenuta a eliminare la
balconata e la veduta della mansarda, nonché a
eliminare la luce ingrediente della mansarda o a
regolarizzarla ai sensi dell’art. 901 c.c.;

condannava la convenuta a eliminare lo strato di

tinteggiatura per 23 centimetri, ripristinando lo stato
dei luoghi;
– rigettava le domande riconvenzionali;

condannava la convenuta al pagamento delle spese,

comprese quelle di CTU.
La Pascarella proponeva appello al quale resisteva il
Nuzzo.
La Corte di Appello di Napoli con sentenza in data
8/5/2007

in

accoglimento

parziale

4

dell’appello

domande non oggetto del presente ricorso per

rigettava le domande del Nuzzo dirette alla condanna
della Pascarella ad eliminare la veranda-balconata e a
eliminare o regolarizzare la luce ingrediente della
mansarda; confermava, nel resto, la sentenza appellata
e compensava le spese di entrambi i gradi del giudizio

di CTU.
Per quanto interessa in relazione ai motivi di ricorso,
la Corte di Appello:
– accoglieva il sesto motivo di appello rilevando che
le costruzioni dei contendenti fronteggiavano la
pubblica via e che pertanto non era applicabile il
divieto dell’art. 905 c.c. in tema di distanze per
l’apertura di vedute dirette in considerazione della
deroga del terzo comma dell’art. 905 c.c. che esclude
il divieto quando tra i due fondi vi sia una via
pubblica, non essendo necessario che la via pubblica si
frapponga tra le due costruzioni, ma essendo
sufficiente che i due fondi si aprano sulla via
pubblica seguendone il filo;
– accoglieva il settimo motivo di appello con il quale
si censurava la condanna ad eliminare il lume
ingrediente, rilevando che non sussisteva un lume
ingrediente, ma una venduta consentita.

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ponendo a carico delle parti, in pari misura, le spese

Le spese di CTU erano poste in egual misura a carico di
ciascuna parte in considerazione che la consulenza era
stata espletata nel comune interesse di entrambe le
parti e le spese dei due gradi erano compensate per
giusti motivi e anche la fine della salvaguardia dei

Nuzzo Luigi propone ricorso affidato a sette motivi e
deposita memoria.
Pascarella Giuseppina resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.
sostenendo che, differentemente da quanto ritenuto
dalla Corte di Appello, egli aveva anche dedotto che la
sopraelevazione della mansarda non era stata
autorizzata così introducendo anche il tema della
violazione delle norme sull’edilizia; la violazione
delle norme edilizie era stata inoltre rilevata dal CTU
che aveva riscontrato la difformità dei lavori rispetto
alla concessione edilizia.
Tanto premesso il ricorrente sostiene che la Corte di
Appello avrebbe dovuto verificare la legittimità o
illegittimità delle vedute/balconate sotto il profilo
della violazione delle norme edilizie.

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rapporti di vicinato.

Formulando il quesito ex art. 366 bis c.p.c. ora
abrogato ma applicabile ratione temporis,
chiede

se

l’omesso

esame

di

il ricorrente

profili

difensivi

ritualmente introdotti dall’attore, funzionali
all’accoglimento della domanda integri la violazione

pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti
della stessa.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio
di

motivazione

riferimento

con

all’erronea

interpretazione della domanda.
Il ricorrente sostiene di avere dedotto che la
sopraelevazione non era stata autorizzata e di avere
chiesto la rimozione della veduta/balconata, mentre la
Corte di Appello, aveva invece ritenuto non dedotta
anche la violazione delle norme edilizie con
motivazione illogica e insufficiente.
3.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la

violazione dell’art. 872 commi l e 2 c.c. perché la
Corte di Appello non aveva considerato che la deroga
alle distanze delle vedute di cui al comma 3 dell’art.
905 c.c. non era applicabile perché le pretese del
proprietario del fondo contiguo derivavano anche dalla

7

dell’art. 112 c.p.c. e dell’obbligo del giudice di

violazione di norme edilizie che disciplinano e
limitano lo ius aedificandi.
Formulando il quesito di diritto chiede se il rigetto
della domanda volta ad ottenere la rimozione di
veduta/balconata costruita in difformità della

confine, essendo inapplicabile la deroga di cui al 905
comma integri violazione dell’art. 872 comma 1 e 2
c.c.
4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la
violazione o falsa applicazione dell’art. 905 commi l e
2 c.c. sostenendo che dovevano trovare applicazione le
disposizioni dei primi due commi in materia di distanza
per le vedute dirette e i balconi in quanto non poteva
trovare applicazione la deroga del terzo comma del
medesimo articolo essendo stato dedotta la violazione
delle norme di edilizia.
Formulando il quesito di diritto chiede se il rigetto
della domanda volta ad ottenere la rimozione di
veduta/balconata costruita a distanza non regolamentare
dal confine integri la violazione dei primi due commi
dell’art. 905 c.c. in caso di veduta diretta o, in
alternativa, in presenza di veduta laterale od obliqua,
dell’art. 906 c.c.

8

concessione edilizia e a distanza non regolamentare dal

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce il vizio
di motivazione sostenendo che il CTU aveva accertato
che i lavori di realizzazione della mansarda erano
difformi dalla concessione edilizia e che la Pascarella
esercitava una veduta non regolamentare; pertanto il

CTU, avrebbe dovuto fornire adeguata motivazione
6.

Con il sesto motivo il ricorrente deduce la

violazione e falsa applicazione dei primi due commi
dell’art. 905 c.c. e il vizio di motivazione.
Il ricorrente sostiene che l’irregolarità della luce
ingrediente era stata accertata dal CTU per
irregolarità della grata posta a protezione della luce
e che, siccome la veduta non era consentita perché in
violazione delle norme di edilizia, anche la domanda di
eliminazione di lume ingrediente doveva essere accolta.
Formulando il quesito di diritto chiede se il rigetto
della domanda volta ad ottenere l’eliminazione di lume
ingrediente irregolare integri la violazione dei primi
due commi dell’art. 901 in assenza dell’ipotesi di
veduta consentita.
7.

Con il settimo motivo il ricorrente deduce la

violazione o falsa applicazione dell’art. 91 primo
comma c.p.c. e il vizio di motivazione.

9

giudice di appello, disattendendo le conclusioni del

Il

ricorrente,

sul

presupposto

dell’integrale

soccombenza della Pascarella per effetto
dell’accoglimento dei motivi di ricorso, sostiene che
la Corte di Appello non avrebbe dovuto compensare le
spese, ma porle integralmente a carico della

Formulando in quesito di diritto chiede se la
compensazione delle spese per effetto di assunta
ricorrenza

di

giusti motivi,

integri

violazione

dell’art. 91 primo comma c.p.c. in presenza di vizi
suscettivi di indurre la cassazione della sentenza.
8.

I

sette

motivi

possono

essere

esaminati

congiuntamente in quanto i primi sei si fondano sul
presupposto, in fatto e in diritto, che l’odierno
ricorrente avesse dedotto violazioni di norme edilizie
con riferimento alla distanza regolamentare dal
confine(non si assume che siano state dedotte anche
violazioni di norme

in materia di ornato) e la

difformità della costruzione rispetto alla concessione
edilizia e che in presenza di tali violazioni e
difformità non sarebbe applicabile la deroga del terzo
comma dell’art. 905 c.c..
8.1 Tali presupposti sono infondati con la conseguente
infondatezza dei motivi che sugli stessi si fondano.

10

soccombente.

La Corte di Appello ha correttamente applicato la
deroga di cui all’ultimo comma dell’art. 905 c.c.,
secondo la quale le norme che prescrivono determinate
distanze per l’apertura di vedute dirette e balconi non
possono

trovare

applicazione,

per

espressa

la

vicini vi sia, come accertato dalla Corte di Appello,
una via pubblica; gli stessi principi valgono anche
quando la strada non separa i due fondi, non essendo
necessario che i due fondi si fronteggino essendo
sufficiente che essi siano confinanti con la via
pubblica,

indipendentemente

dalla

loro

reciproca

collocazione (Cass. 2390/1994; Cass. 4222/2009).
E’ pacifico che l’esenzione dall’obbligo delle distanze
legali, prevista dall’ultimo comma dell’art. 905 c.c.
per il caso in cui tra i due fondi intercorra una
strada pubblica, si riferisce alle distanze stabilite
dai precedenti commi della norma medesima per
l’apertura di vedute dirette e di balconi e non può,
quindi, interferire, nei rapporti fra proprietari di
fondi contigui o frontistanti rispetto alla pubblica
strada, sulle pretese che all’uno derivino, ai sensi
degli artt. 871 ed 872 cod. civ., dall’inosservanza da
parte dell’altro delle disposizioni dei regolamenti

11

previsione del terzo comma, quando tra i due fondi

edilizi

che

aedificandi”

e

disciplinano

limitano

lo

“ius

(Cass. S.U. 1508/1982) o anche delle norme

in materia di distanze tra pareti finestrate di cui
all’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, laddove sia
consentito l’affaccio (v. Cass. 19092/2012).

mai stata dedotta dall’attore, la specifica violazione
di norme edilizie in materia di distanze tra
costruzioni o tra costruzioni e confine non avendo,
l’attore, indicato quali norme edilizie sarebbero state
violate, né ha indicato gli elementi di fatto
astrattamente idonei ad integrare la violazione delle
norme edilizie in materia di distanze tra costruzioni
o tra la costruzione e il confine.
La motivazione è adeguata e ciò comporta l’infondatezza
del secondo motivo con il quale è censurata la non
corretta interpretazione della domanda nonchè di tutti
i motivi nei quali è dedotta la violazione di norme
edilizie.
Questo tema di indagine, che postula il richiamo, in
diritto, a specifiche norme edilizie, non può ritenersi
introdotto con la semplice deduzione dell’avvenuta
sopraelevazione non autorizzata della mansarda
(peraltro, secondo quanto riferito dal CTU, invece

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Tuttavia, come rilevato dalla Corte di Appello, non è

oggetto di concessione edilizia anche se realizzata in
difformità),

tenuto

conto

che

la

deduzione,

genericamente formulata, del tutto irrilevante in
mancanza dell’indicazione delle ragioni per le quali la
costruzione non risponderebbe alle prescrizioni del

Infatti,

in tema di distanze nelle costruzioni, il

principio secondo cui la rilevanza giuridica della
licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito
del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, senza
estendersi ai rapporti tra privati, va inteso nel senso
che il conflitto tra proprietari interessati in senso
opposto alla costruzione deve essere risolto in base al
diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive
dell’opera e le norme edilizie che disciplinano le
distanze legali, tra le quali non possono comprendersi
anche quelle concernenti la licenza e la concessione
edilizia, perché queste riguardano solo l’aspetto
formale dell’attività costruttiva; di conseguenza, così
come è irrilevante la mancanza di licenza o concessione
edilizia allorquando la costruzione risponda
oggettivamente a tutte le prescrizioni del codice
civile e delle norme speciali senza ledere alcun
diritto del vicino, così l’aver eseguito la costruzione

13

codice civile e delle norme speciali.

in conformità della ottenuta licenza o concessione non
esclude di per sé la violazione di dette prescrizioni e
quindi il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla
riduzione in pristino o al risarcimento dei danni
(Cass. 7563/2006; Cass. 17286/2011).

siano state indicate le specifiche ragioni per le quali
la costruzione non risponderebbe alle prescrizioni del
codice civile e delle norme speciali.
Occorre aggiungere che la violazione delle norme
urbanistiche non consentirebbe / comunque, ai sensi
dell’art. 872 c.c., una tutela ripristinatoria con
specifico riferimento alle vedute, ma esclusivamente,
in materia di luci e vedute e ai sensi dell’art. 905
c.c., una tutela risarcitoria.
Tutti i motivi nei quali è introdotto, a sostegno della
tesi dell’inapplicabilità del terzo comma dell’art. 905
c.c.,

l’argomento della difformità

rispetto

alla

concessione edilizia sono infondati perché la
costruzione in difformità della concessione edilizia
non integra di per sé la violazione di norme edilizie
sostanziali.

14

Nella specie, non risulta che nel giudizio di merito

8.2 Tanto premesso, passando all’esame di ogni singolo
motivo, si osserva (richiamandosi le considerazioni di
cui sopra) quanto segue.
8.2.1 Non può essere accolto il primo motivo perché con
la domanda non si deduceva la violazione di norme

è di per sé rilevante.
8.2.2 Non può essere accolto il secondo motivo (in
relazione alla deduzione di avvenuta ristrutturazione e
sopraelevazione della mansarda) perché attiene
all’interpretazione della domanda da parte del giudice
del merito che, come già riferito, è adeguatamente
motivata dalla Corte di Appello con il rilievo, non
contrastato dal ricorrente, dell’omessa indicazione, da
parte dell’attore, di norme edilizie o di ornato
pubblico.
8.2.3 Non può essere accolto il terzo motivo sotto il
profilo dell’erronea applicazione della deroga di cui
al terzo comma dell’art. 905 c.c. in presenza della
deduzione di violazione delle norme di edilizia, non
essendo stata idoneamente proposta la domanda di
accertamento della violazione delle norme edilizie,
presupposto per la condanna alla riduzione in pristino
ai sensi dell’art. 872 c.c.; la eventuale difformità

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edilizie e la violazione della concessione edilizia non

dalla concessione edilizia non integra di per sé la
violazione di norme di edilizia.
8.2.4 Non può essere accolto il quarto motivo sotto il
profilo della violazione dei primi due commi dell’art.
905 c.c. o, in alternativa, dell’art. 906 c.c. quanto

esposte sub 8.2.1, ossia perché non era stata dedotta
la violazione di norme di edilizia; in ogni caso, la
violazione di queste non consentirebbe, ai sensi
dell’art. 872 c.c., una tutela

ripristinatoria in

materia di vedute, ma solo risarcitoria; la censura di
violazione dell’art.

906 c.c. in tema di vedute

laterali od oblique è altresì inammissibile in quanto
non risulta che ai giudice del merito sia mai stata
posta la questione di vedute laterali od oblique.
Con la memoria ex art. 378 c.p.c. e con riferimento
alla

violazione

dell’art.

905

c.c.

viene

inammissibilmente ampliata, con valutazioni di puro
merito, per giunta mai avanzate nei due gradi del
giudizio, la materia del contendere, estendendola alla
questione,

di mero

fatto,

sulla possibilità di

prospectio e inspectio dalla strada pubblica.
8.2.5 Non può essere accolto il quinto motivo per vizio
di motivazione (omessa specificazione delle ragioni per

16

alle vedute laterali o oblique per le ragioni già

le quali la Corte di Appello ha ritenuto di discostarsi
dalle conclusioni del CTU quanto alla irregolarità
della veduta e alla difformità della costruzione dalla
concessione edilizia) per le ragioni esposte in
precedenza: la difformità dalla concessione di per sé

violazione mai era stata dedotta; pertanto la
motivazione per la quale non sono state né dedotte né
indicate violazioni di norme edilizie e di ornato
pubblico è assorbente sia rispetto alla valutazione del
CTU di irregolarità della veduta, sia rispetto
all’affermazione

di

difformità

della

costruzione

rispetto alla concessione edilizia.
8.2.6 Infine il sesto motivo (relativo al mancato
accoglimento della domanda di regolarizzazione della
luce ingrediente per violazione dei primi due commi
dell’art. 901 c.c., sul presupposto che la veduta non
fosse consentita) non attinge la

ratio decidendi della

sentenza impugnata secondo la quale l’apertura non
costituisce un lume ingrediente, ma una veduta
consentita ex art. 905 comma 3 c.c.
8.2.7 Il settimo motivo, relativo alla disciplina delle
spese processuali e alla mancata applicazione del
principio della soccombenza, risulta assorbito per

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non integra violazione di norme edilizie e tale

effetto dell’integrale rigetto del ricorso e la
conferma della sentenza di appello che ha correttamente
individuato nell’odierno ricorrente la parte
soccombente; la norma asseritamente violata è stata,
quindi, correttamente applicata.

la condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al
pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione
liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Nuzzo Luigi a
pagare a Pascarella Giuseppina Elena le spese di questo
giudizio di cassazione che liquida in euro 2.500,00 per
compensi oltre euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, il 26/6/2013.

9. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con

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