Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20847 del 06/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 06/09/2017, (ud. 27/06/2017, dep.06/09/2017),  n. 20847

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29516/2014 proposto da:

C.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA GIOVINE ITALIA, 7, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

CARNEVALI, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO GIUSTOZZI;

– ricorrente –

P.E. C.F. (OMISSIS), CI.GI. C.F. (OMISSIS),

CI.FI. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA ALESSANDRIA 128-130, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO

PIRO, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIO MARTORELLI;

– contro ricorrenti e ricorrenti – incidentali –

avverso la sentenza n. 625/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 07/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2017 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’inammissibilità di quello incidentale;

udito l’Avvocato Carnevali, con delega, per il ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con atto di citazione notificato il 24 settembre 2003 C.A. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Fermo P.E., Ci.Fi. e Ci.Gi. per sentirle condannare, nella loro qualità di comproprietarie, all’arretramento di un manufatto adibito a legnaia e magazzino sito in (OMISSIS), realizzato su terreno di loro proprietà, a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 873 c.c., rispetto al limitrofo fondo dell’attore, o, in subordine al risarcimento del danno da quantificarsi in corso di causa.

Si costituivano le convenute deducendo di aver usucapito il diritto di mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale e che la costruzione era stata assentita dal dante causa dell’istante in considerazione del fatto che l’immobile avrebbe costituito un rafforzamento o contenimento della sua proprietà.

Il Tribunale condannava le convenute alla demolizione del manufatto nonchè alla rifusione delle spese di lite.

Secondo il giudicante la costruzione era stata eretta a distanza inferiore alla misura di 10 metri dal confine, imposto dal piano regolatore generale in vigore per la zona agricola in cui risultava inserita l’area in questione. Tale norma, nell’imporre distacchi dal confine, era da ritenersi integrativa dell’art. 873 c.c., precludendo l’applicazione del principio di prevenzione. Neppure ricorreva una delle ipotesi di deroga pur previste dalle disposizioni generali del piano regolatore che consentivano la possibilità di edificazione sul confine, ne conseguiva che l’intervenuta sanatoria dell’abuso compiuto così come la prospettata deroga convenzionale dovevano ritenersi irrilevanti, ciò era di ostacolo anche alla possibilità di accedere alla pretesa usucapione in forza di una non prospettabile servitù volontaria.

2.- Avverso tale decisione proponevano appello le convenute soccombenti che si affidavano a tre motivi, chiedendo: in via principale la reiezione della domanda proposta dall’attore; in via subordinata e riconvenzionale, l’intervenuta usucapione del diritto di servitù di mantenere l’immobile nell’attuale situazione; in via ulteriormente gradata la condanna all’arretramento del solo locale magazzino sino al rispetto della distanza legale.

La Corte d’Appello rigettava il primo motivo e accoglieva il secondo, dichiarando l’intervenuta usucapione del diritto di servitù di mantenere il manufatto a distanza inferiore a quella prevista dagli strumenti urbanistici del Comune di Falerone.

I giudici del gravame affermavano in primo luogo che il Tribunale si era conformato alla giurisprudenza di legittimità secondo cui, nel caso gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dalle costruzioni dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire in aderenza o in appoggio, la preclusione di dette facoltà non consente l’operatività della regola della prevenzione, mentre, nel caso in cui tali facoltà siano previste, si versa in un’ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dall’art. 873 c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente di costruire sul confine, ponendo il vicino che a sua volta voglia edificare nell’alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza, ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico.

Nel caso di specie il piano regolatore generale del comune di Falerone prevedeva la possibilità di costruire sul confine esclusivamente qualora ricorressero alcune specifiche ipotesi che, nel caso di specie, non sussistevano e, pertanto, non era possibile costruire al confine e non era applicabile il principio della prevenzione.

2.1- La Corte d’Appello, invece, accoglieva il secondo motivo di ricorso attinente al riconoscimento dell’usucapione del diritto a mantenere l’opera in violazione delle distanze. Secondo la Corte d’Appello l’usucapibilità del diritto a tenere un immobile a distanza inferiore da quella legale non equivale alla stipula pattizia di una deroga in tal senso, perchè risponde all’esigenza ulteriore della stabilità dei rapporti giuridici in relazione al decorso del tempo.

Si riteneva giustificato dunque un diverso trattamento da riservare da un lato agli accordi di deroga vietati e, dall’altro, al meccanismo dell’usucapione ammesso, fermo restando il potere per la pubblica amministrazione di agire per conformare la proprietà al modo previsto dalla legge.

In applicazione del suddetto principio si affermava che, nel caso di specie, il manufatto era stato realizzato nel 1980, mentre l’atto di citazione introduttivo del giudizio era stato notificato il 24 settembre 2003, con la conseguenza che risultavano decorsi oltre 20 anni di possesso idoneo all’usucapione. Per la peculiarità della fattispecie la Corte d’Appello compensava le spese di giudizio.

3.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona, sulla base di due motivi, propone ricorso C.A..

Resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale P.E., Ci.Fi. e Ci.Gi..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo di ricorso attiene alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 2697 c.c., oltre che della L. n. 15 del 1968, artt. 1 e 4 e del D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 2 e 47, in tema di prova del diritto fatto valere in giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 165 c.p.c..

In particolare il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello abbia fondato il proprio giudizio sulla dichiarazione del consulente tecnico d’ufficio il quale a sua volta ha fatto riferimento alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà sulla data di ultimazione dei lavori per la domanda di sanatoria presentata al Comune di Falerone nella quale si diceva che le opere erano state ultimate nel mese di giugno del 1980.

Secondo il ricorrente, ai sensi della L. n. 15 del 1968, art. 4 e della successiva legislazione in materia, in particolare del D.P.R. n. 403 del 1998, artt. 1 e 2, poi confluiti nel D.P.R. n. 445 del 2000, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà non può offrire la prova effettiva della circostanza posta a sostegno della decisione assunta dalla Corte anconetana.

Ciò anche in ragione delle diverse allegazioni in atti, anche delle stesse parti resistenti, in ordine alla mancata ultimazione dell’opera alla data del 8 ottobre 1983 e quindi in presenza di elementi probatori contrari o, quantomeno, contraddittori.

La dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ha attitudine certificativa e probatoria solo nei confronti della pubblica amministrazione e nessun valore probatorio, neanche indiziario, può essere attribuito nel giudizio civile caratterizzato dal principio dell’onere della prova, atteso che la parte non può far derivare elementi di prova a proprio favore da una propria dichiarazione al fine del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 c.c..

Le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e le dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà anche se recepite da una consulenza tecnica di ufficio non sono idonee a comprovare in giudizio nel contraddittorio tra le parti fatti a favore della parte che ha reso la dichiarazione, pertanto l’aver attribuito al dato storico emergente dalla dichiarazione sostitutiva allegata alla richiesta di sanatoria la valenza di prova certa della data di realizzazione e ultimazione della costruzione, violerebbe l’art. 2697 c.c., essendo in contrasto con il fondamentale principio in virtù del quale la parte non può derivare elementi di prova da proprie dichiarazioni.

In conseguenza di ciò la Corte anconetana avrebbe altresì omesso ogni esame circa un fatto decisivo del giudizio in relazione al diverso dato storico emerso nella relazione della mancata ultimazione delle opere in data successiva a quella risultante dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà.

Si chiede dunque alla Corte di stabilire se nel giudizio civile di cognizione in relazione alla fattispecie di cui all’art. 1158 c.c., l’onere probatorio, in presenza di elementi contrari, possa essere assolto dal contenuto della sola dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio sulla data di ultimazione dei lavori, rilasciata nel caso di specie in data 13 febbraio 1986 ed allegata alla richiesta di sanatoria.

2.- Il secondo motivo di ricorso attiene all’erronea e falsa applicazione degli artt. 873,1027,1031 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

I ricorrenti fanno riferimento alla scrittura privata che in data 8 ottobre 1983 avevano sottoscritto per autorizzare l’ultimazione delle costruzioni a ridosso del confine, tale scrittura era legata alla circostanza giudizialmente ammessa e documentata anche dalle parti resistenti che le opere mancavano delle finiture interne ed esterne ed erano in corso di ultimazione.

Pertanto a quella data la costruzione non solo non era ultimata ma non presentava neppure quelle opere quali le coperture e le finiture interne ed esterne, da cui desumere la sua collocazione come definitiva e non meramente transitoria.

Ai fini della determinazione del dies a quo per l’usucapione del diritto di servitù costituita dal mantenimento di una determinata opera a distanza legale deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione ma a quello nel quale questa è venuta ad esistenza con la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali i quali rivelino anche al titolare del fondo servente l’esistenza della situazione coincidente con quella del diritto reale di servitù.

Il requisito dell’apparenza della servitù si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente in modo da rendere manifesto che non si tratta di un’attività compiuta in via precaria, bensì di precisa opera a carattere stabile mediante la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali.

La Corte anconetana avrebbe erroneamente e falsamente applicato le norme di legge sussumibili nel caso di specie, individuando nell’anno 1980 l’inizio della costruzione, senza alcuna indicazione delle opere già presenti, idonee a conferire il requisito di permanenza richiesto affinchè possa decorrere il termine per l’usucapione ventennale.

In tal senso si evidenzia anche l’omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia in relazione alla documentazione allegata dalla parte resistente in ordine al fatto che alla data dell’8 ottobre 1983 la costruzione mancava delle opere strutturali essenziali così come attestato anche nelle memorie di replica conclusionali del 22 febbraio 2013, in cui a pagina 4 si individua la data di ultimazione del manufatto affermando che nel 1983 l’opera non ancora ultimata.

Si chiede dunque l’enunciazione del seguente principio di diritto “se, ai fini dell’individuazione del dies a quo per la verifica dell’iniziale decorso del termine per usucapire, il diritto al mantenimento di una distanza inferiore a quella di legge si debba far riferimento al diverso momento in cui detta opera sia ultimata e si presenti con aspetti strutturali essenziali che denotino caratteristiche definitive e li qualifichino quindi come permanenti tali da rivelare anche al titolare del fondo servente l’esistenza della situazione coincidente con quella del diritto reale di servitù”.

3.- P.E., Ci.Fi. e Ci.Gi. si sono costituite nel giudizio per resistere al ricorso proposto da C. e hanno proposto a loro volta ricorso incidentale. Nel controricorso si evidenzia che il C. non aveva mai contestato la data di ultimazione dei lavori con riferimento al 1980, nè in primo grado, nè nel giudizio d’appello, mentre avrebbe dovuto sollevare tale questione nel primo atto difensivo del giudizio di gravame pertanto sulla detta statuizione si sarebbe formato il giudicato interno.

Con un unico motivo propongono ricorso incidentale per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 872,873 c.c. e segg. e del regolamento edilizio del comune di Falerone, perchè, pur in presenza della previsione del progetto piano regolatore generale della facoltà di costruire sul confine come alternativa all’obbligo di rispettare una determinata distanza, viene esclusa la validità dell’accordo in deroga stipulato dalle parti in data 8 ottobre 1983 ovvero l’applicabilità dell’istituto della prevenzione

La sentenza impugnata si baserebbe su un errato presupposto di diritto relativo all’insussistenza delle condizioni previste dal piano regolatore per derogare alle distanze dal confine. Al contrario il regolamento comunale, dopo aver previsto le distanze minime, consente di costruire sul confine come alternativa all’obbligo di rispettare una determinata distanza, cosicchè si versa nell’ipotesi del tutto analoga a quella prevista dagli artt. 873 e segg., con la conseguente operatività della prevenzione della regola convenzionale.

Nel caso di specie quindi la prescrizione delle distanze contenute nel regolamento edilizio non deve considerarsi inderogabile nè tantomeno sottratta gli accordi tra i privati interessati.

4.- I due motivi del ricorso principale, che per la loro connessione devono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Il Collegio ritiene prioritario l’esame del secondo motivo di ricorso in quanto assorbente anche la violazione di legge evocata con il primo motivo.

Il ricorrente non si avvede che l’infondatezza del motivo discende proprio dal principio di diritto di cui chiede l’applicazione.

4.1- A tal proposito deve richiamarsi l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui: “al fine della determinazione del “dies a quo”, per l’usucapione del diritto di servitù costituito dal mantenimento di una determinata opera a distanza illegale, deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione, ma a quello nel quale questa sia venuta ad esistenza, mercè la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali, idonei a rivelare anche al titolare del fondo servente l’esistenza di uno stato di fatto coincidente con l’esercizio di un diritto reale di servitù” (Cass. 29- 12-2005 n. 28784; Cass. 201-2010 n. 934).

La ratio di tale principio, cui questo Collegio intende dare continuità, risiede nella necessità che l’opera sia apprezzabile dal titolare del fondo servente nella stessa sua completa entità e struttura. Orbene, nel caso di specie, la convenzione stipulata tra le parti e dichiarata nulla dal giudice di primo grado aveva ad oggetto, secondo quanto riferisce lo stesso ricorrente, l’ultimazione delle costruzioni a ridosso del confine, in quanto le opere mancavano delle finiture interne ed esterne ed erano in corso di ultimazione.

Dunque l’affermazione fatta dagli stessi interessati della mancanza di copertura e degli infissi alla data dell’ottobre 1983 non ha rilevanza ai fini dell’individuazione della data di inizio dell’usucapione del diritto di mantenere l’opera a distanza inferiore a quella legale, dovendosi avere riguardo al momento in cui l’organismo edilizio contestato è divenuto individuabile nei suoi elementi strutturali essenziali, idonei a palesarne la portata pregiudizievole rispetto all’altrui diritto.

Nel caso di specie la convenzione stipulata tra le parti aveva ad oggetto, secondo quanto riferisce lo stesso ricorrente, l’ultimazione delle costruzioni a ridosso del confine, in quanto le opere mancavano delle finiture interne ed esterne ed erano in corso di ultimazione. Risulta evidente, pertanto, che l’opera era già esistente nei suoi elementi strutturali essenziali al momento della stipula della convenzione, tanto che le parti si accordarono per l’ultimazione della stessa.

5.- Del tutto nuova è la questione sollevata con il primo motivo di ricorso con il quale il ricorrente lamenta che il Giudice abbia fondato la prova dell’usucapione sulla dichiarazione sostitutiva di atto notorio presentata al momento dell’istanza di condono, in quanto la parte avrebbe dovuto quanto meno allegare in quale fase processuale aveva effettuato la suddetta contestazione. Tuttavia, al di là dell’inammissibilità discendente dal segnalato profilo di novità, valga rilevare che le ragioni che hanno determinato il rigetto del secondo motivo, giustificano anche il rigetto del primo non essendo necessario verificare il momento di ultimazione dell’opera ma quello in cui è venuta ad esistenza nei suoi elementi strutturali.

Il motivo di cui al ricorso incidentale è assorbito essendo venuto meno l’interesse del ricorrente incidentale ad una pronuncia sulla validità della convenzione con la quale si accordava con il vicino (ricorrente principale) in ordine al medesimo diritto di mantenere l’opera a distanza inferiore rispetto a quella legale, diritto acquisito a titolo originale mediante usucapione.

In conclusione deve dichiararsi infondato il ricorso principale e assorbito il ricorso incidentale.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 3.700,00 (tremilasettecento), di cui Euro 200 per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge;

dichiara – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 – la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2017

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