Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20846 del 06/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 06/09/2017, (ud. 08/06/2017, dep.06/09/2017),  n. 20846

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17749-2013 proposto da:

G.A., ((OMISSIS)) elettivamente domiciliata in ROMA, presso

la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE e rappresentata e difesa

dall’Avvocato DANIELE DI GREGORIO;

– ricorrente –

contro

F.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 137/2012 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 31/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

F.N., con citazione dell’8/4/2006, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Campobasso, G.A. per far dichiarare l’inammissibilità del recesso dichiarato da quest’ultima con missiva AR del 16/11/2005, in relazione al contatto preliminare di compravendita di un immobile, tra loro stipulato in data 6/2/2003, deducendo la mancanza del necessario presupposto, e cioè l’adempimento del contratto da parte della recedente, la quale, anzi, con la vendita a terzi dell’immobile in questione, si era resa gravemente inadempiente agli obblighi conseguenti al preliminare, e, contestualmente, chiedendo che fosse dichiarata la legittimità del proprio recesso, dichiarato il 22/11/2005, e la condanna della convenuta alla restituzione del doppio della caparra versata, oltre interessi.

G.A. si è costituita in giudizio contestando le domande ed invocandone il rigetto in quanto preclusa dal giudicato: il tribunale di Campobasso, con sentenza n. 512 dell’8/9/2005, pronunciata tra le stesse parti e divenuta irrevocabile perchè non appellata, aveva, infatti, rigettato la domanda di esecuzione in forma specifica proposta dalla F., con riduzione del prezzo pattuito, ritenendo che gli obblighi scaturenti dal preliminare fossero stati inadempiuti dalla F. e non dalla Gagliardi. La convenuta ha, poi, eccepito la stessa sentenza aveva respinto la sua domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto preliminare, per mancanza sia dell’essenzialità del termine, sia di una clausola risolutiva espressa, sicchè, a fronte della perdurante vigenza del rapporto contrattuale e della mancanza di richiesta di adempimento da parte della F., ha esercitato il recesso ex art. 1385 c.c. sul presupposto dell’illegittimo rifiuto di stipula del rogito da parte della F., quale inadempimento irrevocabilmente accertato e perdurante al momento del recesso stesso.

Il tribunale di Campobasso, con sentenza del 13/5/2008, n. 383, sul presupposto che l’attrice F.N. (promittente acquirente), puntualmente compulsata da G.A. (promittente venditrice), ha rifiutato la stipula del contratto preliminare senza legittimo motivo, così incorrendo in grave inadempimento, ha rigettato le domande proposte dall’attrice, ritenendo che, rispetto a quello della G., l’inadempimento della F. fosse più grave.

F.N., quindi, con citazione notificata il 14/11/2008, ha proposto appello, censurando la sentenza per errata valutazione degli atti, travisamento dei fatti di causa, carenza di congrua motivazione ed errata valutazione delle norme in tema di recesso, chiedendo, quindi, che, in riforma della sentenza impugnata, la corte d’appello accertasse e dichiarasse l’inammissibilità del recesso operato da G.A. e, contestualmente, dichiarare valido e legittimo il recesso esercitato dall’appellante, con la condanna dell’appellata alla restituzione della somma di Euro 10.000,00, pari al doppio della caparra versata, oltre accessori.

La corte d’appello di Campobasso, con sentenza del 31/5/2012, ha accolto l’appello proposto da F.N. ed ha, quindi, dichiarato l’inammissibilità del recesso operato da G.A. rispetto al contratto preliminare oggetto di causa e, contestualmente, la validità del recesso esercitato dall’appellante, con riferimento allo stesso contratto, condannando l’appellata alla restituzione in favore dell’appellante della somma di Euro 10.000,00, oltre interessi legali dall’8/4/2006 al saldo.

A sostegno della decisione, la corte ha, in sostanza, affermato che:

– il tribunale di Campobasso, con sentenza n. 512 del 2005, resa tra le stesse parti e con riguardo allo stesso contratto preliminare, passata in giudicato, ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dalla G. di risoluzione escludendo che il termine per la stipula del contratto definitivo avesse natura di termine essenziale, sicchè il comportamento di F.N., a fronte di un termine non essenziale, ha integrato un inadempimento ma non definitivo nè qualificato e, quindi, ai fini di cui all’art. 1455 c.c., di scarsa importanza;

– G.A., a sua volta, già nel corso del giudizio definito con la sentenza n. 512 del 2005 e senza alcuna previa dichiarazione di recesso, aveva venduto ad altri l’immobile promesso in vendita, così inadempiendo agli obblighi assunti con il preliminare;

– l’inadempimento commesso dalla G., che, all’epoca della dichiarazione di recesso della F. (16/11/2005), aveva, con il suo pregresso comportamento, già reso di fatto non più possibile l’adempimento del preliminare, è più grave di quello commesso dalla F., che si e inizialmente rifiutata di stipulare il contratto definitivo ma a fronte di un termine non essenziale.

Con ricorso notificato il 15/7/2013 presso l’avv. Adele De Gennaro, difensore domiciliatario di F.N. nel giudizio d’appello, e depositato il 26/7/2013, G.A. ha chiesto, per sei motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata, della corte d’appello.

F.N. non si è costituita.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione o la falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 1385 c.c., ha censurato la decisione impugnata per aver ritenuto di maggior gravità l’inadempimento della G., consistito nella vendita a terzi dell’immobile oggetto del preliminare, rispetto a quello della F., consistito nel rifiuto di stipula del definitive, senza considerare che il tribunale di Campobasso, con la sentenza n. 512 del 2005, non impugnata, aveva già deciso la questione relativa alla gravità dei rispettivi inadempimenti delle parti ritenendo, per un verso, che il rifiuto della F. di stipulare il contratto definitivo dovesse essere configurato come un grave inadempimento ai suoi obblighi contrattuali e che la stessa non fosse, per tale ragione, legittimata a domandare l’esecuzione in forma specifica prevista dall’art. 2932 c.c. e, per altro verso, che nessun inadempimento potesse ascriversi alla G.. Al momento dell’esercizio del recesso da parte della F. (22/11/2005), ha continuato la ricorrente, vi era, quindi, un accertamento definitivo ed irrevocabile di inadempienza in capo a quest’ultima con la conseguenza, da un lato, di precludere alla stessa, a norma dell’art. 1385 c.c., di esercitare il recesso anche a prescindere dal comportamento della G., e, dall’altro lato, di precludere al giudice del successivo procedimento introdotto dalla F. ogni indagine comparativa degli stessi o diversi comportamenti che attenessero al medesimo rapporto contrattuale che non fossero successivi alla sentenza stessa.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione o la falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 1385 c.c., ha censurato la decisione impugnata per aver valutato la vendita dell’immobile a terzi, compiuta dalla G. con atto del 28/4/2005, quale inadempimento che ha giustificato l’esercizio, da parte della F., del diritto di recesso, pur trattandosi, in conseguenza della sentenza dell’8/9/2005, di un accertamento precluso dal relativo giudicato, che copre non solo i fatti dedotti ma anche quelli anteriori che non sono stati dedotti, pur se ignorati dalle parti al tempo del primo processo.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione o la falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 1385 c.c., ha censurato la decisione impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha statuito l’invalidità del recesso della G. pur a fronte di un giudicato che ha ritenuto inadempiente la F. ed ha considerato adempiente la G., la quale, pertanto, legittimamente, ha esercitato il recesso dal contratto.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione o la falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 2684 c.c., ha censurato la decisione impugnata per aver ritenuto che la G., con la vendita dell’immobile a terzi, sia stata gravemente inadempiente, pur trattandosi di un fatto che la F. avrebbe potuto conoscere usando l’ordinaria diligenza mediante la consultazione dei registri immobiliari e, quindi, quale fatto deducibile nel giudizio definito con la sentenza n. 512 del 2005, precluso nel relativo giudicato, che copre non solo i fatti dedotti ma anche quelli deducibili, pur se ignorati.

5. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza a norma dell’art. 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, nel considerare la vendita a terzi dell’immobile come inadempimento legittimante il recesso della F., ha omesso totalmente di considerare che la vendita dell’immobile non impediva al preliminare di dispiegare i suoi effetti ove la F. avesse compulsato la G. chiedendole di adempiere, trovando applicazione, nella specie, l’art. 1478 c.c., a norma del quale l’obbligo del promittente venditore di procurare l’acquisto della proprietà della cosa può essere adempiuto sia con l’acquisto del bene da parte del promittente venditore ed il suo trasferimento al promissario acquirente, sia con la vendita diretta della cosa da parte del terzo in favore di quest’ultimo, per cui la F. avrebbe potuto diffidare la G. all’adempimento, con la fissazione di un termine decorso il quale la F. avrebbe potuto esercitare il recesso. E l’omissione della motivazione sul punto ha determinato continua la ricorrente – la nullità della sentenza per invalidità della relativa motivazione a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento dell’art. 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2.

6. Con il sesto motivo, la ricorrente, lamentando, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o la falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 1385 c.c., ha censurato la sentenza gravata per avere la corte d’appello condannato la G. alla restituzione della somma di Euro 10.000,00, pari al doppio della caparra ricevuta, pur trattandosi di pronuncia preclusa dal giudicato sulla domanda di restituzione della caparra che la F. aveva già proposto nel giudizio definito con la sentenza del 2005.

7. Ora, premesso, per quanto rileva in questa sede, che:

– la pronuncia sul contenuto e sui limiti di un giudicato esterno (qual è quello formatosi, nella specie, tra le stesse parti, nel procedimento definito dalla sentenza del tribunale di Campobasso n. 512 del 2005) può essere oggetto di ricorso per Cassazione sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della norma dell’art. 2909 c.c. e dei principi in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata (Cass. n. 2976/2005, in motiv.);

– il giudicato esterno è assimilabile agli “elementi normativi”, sicchè la sua interpretazione deve effettuarsi alla stregua dell’esegesi delle norme, non già degli atti e dei negozi giuridici, e la sua portata va definita dal giudice sulla base di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge, potendosi far riferimento, in funzione interpretativa, alla domanda della parte solo in via residuale qualora, all’esito dell’esame degli elementi dispositivi ed argomentativi di diretta emanazione giudiziale, persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della statuizione (Cass. n. 24952/2015);

– il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno, con cognizione piena, che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (Cass. n. 21200/2009);

– l’efficacia preclusiva conseguente al giudicato copre non solo il “dedotto”, ma anche il “deducibile”, nel senso che l’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza del diritto azionato (petitum), così come identificato in relazione ai soggetti (personae) ed al fatto costitutivo (causa petendi), una volta che sia coperto dall’autorità del giudicato, non può essere messo in discussione in altro processo, tra le stesse parti o i loro eredi o aventi causa, con domanda giudiziale di accertamento della sua inesistenza o, rispettivamente, della sua esistenza, ovvero con la proposizione, in un altro giudizio, di qualsivoglia domanda avente ad oggetto situazioni soggettive incompatibili con il diritto accertato (cfr. su quest’ultimo punto, Cass. n. 112/2004, in motiv.);

– il giudicato sostanziale di cui all’art. 2909 c.c. si forma, però, soltanto su ciò che ha costituito oggetto della decisione, ricomprendendosi in esso anche gli accertamenti di fatto che abbiano rappresentato le premesse necessarie e il fondamento logico-giuridico per l’emanazione della pronuncia, restando, invece, fuori dal giudicato gli accertamenti di fatto che non abbiano integrato antecedenti logici necessari della decisione e che pertanto non hanno costituito oggetto di quest’ultima nel senso sopra precisato (Cass. n. 9954/2017, in motiv.);

– il giudicato, invece, non si estende ad ogni proposizione contenuta in una sentenza con carattere di semplice affermazione incidentale, atteso che per aversi giudicato implicito è necessario che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, e dunque che l’accertamento contenuto nella motivazione della sentenza attenga a questioni che ne costituiscono necessaria premessa ovvero presupposto logico indefettibile (Cass. n. 16824/2013);

rileva la Corte, quanto al caso di specie, che la sentenza del tribunale di Campobasso n. 512 del 2005, prodotta in giudizio e direttamente esaminata dalla Corte, dimostra, in effetti, come, in quel giudizio il tribunale di Campobasso, chiamato a pronunciarsi, tra l’altro, sulla domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre proposta dalla F., ha escluso la legittimazione di quest’ultima in quanto inadempiente, per essersi la stessa rifiutata di stipulare, senza legittimo motivo, il contratto definitivo, laddove, invece, nessun inadempimento può ascriversi alla G..

Si tratta, come è evidente, di un accertamento che, riguardando solo l'(in)adempimento della F. ai fini della sua legittimazione all’azione ex art. 2932 c.c., non determina alcun effetto preclusivo sulla domanda proposta dalla stessa nel presente giudizio, avente ad oggetto la domanda di declaratoria di legittimità del suo recesso a fronte del recesso della promittente venditrice.

In effetti, come è noto, a fronte di reciproci (e, come nella specie, incontestati) inadempimenti (e cioè tanto dell’una, quanto dell’altra parte) alle rispettive obbligazioni, il giudice deve solo stabilire, anche ai fini della legittimità del recesso conseguentemente dichiarato dalla controparte, non se una parte è adempiente o inadempiente, ma solo quale dei due inadempimenti commessi dall’una nei confronti dell’altra è il più grave.

Ed è, appunto, ciò che è accaduto nel caso in esame: la corte d’appello, infatti, ha accertato, per un verso, che la F. ha inadempiuto (come, del resto, è stato accertato con la sentenza n. 512 del 2005) al suo obbligo di stipulare nei termini fissato il contratto definitivo, e, per altro verso, che anche la G. ha inadempiuto, con la vendita del bene a terzi, al suo obbligo di trasferire la proprietà dell’immobile alla promissaria acquirente, stabilendo, poi, con statuizione non censurata specificamente, che, tra i due inadempimenti, quest’ultimo è il più grave.

Nè può dirsi che l’accertamento sull’inadempimento della G. fosse precluso dall’accertamento operato dalla sentenza del 2005, che ha, infatti, riguardato, ai fini della pronuncia sulla domanda ai sensi dell’art. 2932 c.c., solo l’inadempimento della F. e non anche, con effetto di giudicato, quello della G.: il giudicato, infatti, ha senz’altro l’effetto di coprire il dedotto ed il deducibile ma solo nel senso di precludere la deduzione, in altro processo tra le stesse parti, dei fatti costitutivi ovvero dei fatti estintivi, modificativi o impeditivi, ma solo se relativi allo stesso diritto già azionato nel primo processo: e tale certo non è, rispetto alla domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., la vendita a terzi del bene da parte della G..

I primi quattro motivi, quindi, sono infondati.

8. Infondato è anche il quinto motivo. L’art. 1478 c.c., infatti, presuppone che il contratto (preliminare) di vendita sia stato dichiaratamente stipulato con riguardo ad un bene altrui e non trova, quindi, applicazione quando, come nella specie, il bene, già di proprietà del promittente venditore, sia stato venduto a terzi prima del definitivo.

9. Anche il sesto motivo è infondato. La sentenza del 2005, infatti, ha respinto la domanda di restituzione della caparra proposta in conseguenza della domanda di annullamento del contratto preliminare, e non ha, quindi, alcun effetto di giudicato sulla (distinta) domanda di restituzione del doppio della caparra quale conseguenza del recesso ex art. 1385 c.c..

10. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

11. Nulla per le spese di lite, in difetto di costituzione della parte intimata.

12. La Corte esclude la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17: il ricorrente per cassazione ammesso al patrocinio a spese dello Stato non è tenuto, ove sia rigettata l’impugnazione, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. n. 7368/2017).

PQM

 

La Corte così provvede: rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2017

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