Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20845 del 29/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 29/10/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 29/10/2021), n.30845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13066-2019 proposto da:

SO.TE.CO. S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO CINQUEGRANA;

– ricorrente –

contro

S.C., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa degli avvocati GIUSEPPE MARZIALE, PATRIZIA TOTARO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1091/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/02/2019 R.G.N. 2981/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/02/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli che, in accoglimento dell’opposizione proposta da S.C., aveva accertato l’illegittimità del licenziamento intimatogli dalla SO.TE.CO. s.r.l. con lettera del 11.7.2017, ne aveva ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro ed aveva condannato la società a corrispondergli retribuzioni e contributi dal licenziamento alla reintegrazione.

2. Il giudice di appello ha accertato che dalla lettera di contestazione disciplinare si poteva desumere che la società aveva inteso applicare al rapporto il contratto collettivo Unico Porti.

2.1. Ha sottolineato che l’elencazione delle condotte punibili con il licenziamento contenuta nel contratto non era tassativa e che restava affidata al giudice la valutazione della gravità del comportamento. 2.2. Ha evidenziato che le sanzioni erano graduate in base alla gravità della condotta in termini oggettivi, quanto agli effetti, ed in termini soggettivi quanto all’intenzionalità ed al grado di negligenza e che il licenziamento era limitato ai casi di grave inadempimento lesivo del vincolo fiduciario. Ha escluso una correlazione tra reato doloso e licenziamento per giusta causa e che ciò che rileva è l’idoneità della condotta a ledere irreversibilmente il vincolo fiduciario.

2.3. Alla luce di tali premesse ha verificato che allo S. era stato contestato di aver iniziato la manovra di sollevamento del carico senza essersi accertato che il conducente del mezzo su cui era ancorato il container avesse terminato l’operazione di sgancio dal mezzo e che, così facendo, gli aveva provocato lesioni a tre dita della mano.

2.4. Ha tuttavia accertato che l’autotrasportatore che si era ferito non aveva seguito, nell’operazione di sgancio del carico, la procedura ordinaria, alterandola e seguendo una sequenza erronea. Ha ritenuto perciò che allo S. fosse addebitabile una negligenza lieve, inidonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario con la datrice di lavoro.

2.5. Quanto alla gravità del danno riportato dall’autotrasportatore, la sentenza di appello ha ritenuto che la circostanza che l’Inail avesse ritenuto necessario, dopo una prima prognosi, di protrarre l’inabilità permanente per ulteriori 21 giorni, non consentiva perciò solo di classificare come gravi le lesioni subite. L’ulteriore periodo di congedo si era reso necessario per consentire all’autista danneggiato di riacquistare la piena idoneità allo svolgimento delle sue mansioni.

2.6. In esito a tale indagine il giudice di appello ha ritenuto che la condotta accertata era riconducibile ad una fattispecie tipica punita con una sanzione conservativa ed ha perciò confermato anche la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 e ss.mm..

3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la SO.TE.CO. s.r.l. con quattro motivi ai quali resiste con controricorso S.C..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. Il primo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1455,2104,2106 e 2119 c.c., del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 20 e dell’art. 35 c.c.n.l. Porti, per avere, la Corte di appello, escluso che la condotta integrasse un grave inadempimento degli obblighi contrattuali lesivo del vincolo fiduciario, è infondato.

4.1. La Corte territoriale non è incorsa nel denunciato vizio di sussunzione della condotta accertata nella fattispecie astratta prevista dal contratto collettivo.

4.2. Come è noto l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma c.d. elastica), compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del detto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 20/05/2019 n. 13534). La sussunzione della fattispecie concreta nella clausola elastica della giusta causa va verificata secondo “standards” conformi ai valori dell’ordinamento, che trovino conferma nella realtà sociale ed è sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e non coerenza del giudizio operato, quali specificazioni del parametro normativo avente natura giuridica e del conseguente controllo nomofilattico affidato alla Cassazione (Cass. 03/12/2018 n. 31155).

4.3. Ove poi, come nel caso in esame, si deduca che la condotta sia riconducibile ad una fattispecie dettagliatamente prevista dalla normativa collettiva applicabile al caso concreto (nello specifico l’art. 35, lett. B) del c.c.n.l. Unico Porti), allora al giudice è richiesto di verificarne i presupposti soggettivi ed oggettivi della fattispecie astrattamente prevista dal c.c.n.l. restando comunque integra la facoltà di escludere che il contegno del lavoratore integri una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (cfr. Cass. 01/07/2020 n. 13412). Il risultato della valutazione cui perviene il giudice di merito, in ordine alla riconducibilità, in concreto, della condotta contestata nel paradigma di cui all’art. 2119 c.c., è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare e della norma collettiva (cfr. Cass. 26/10/2018 n. 27238). Tuttavia la tipizzazione della causa di recesso contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, potendo il catalogo delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo essere sia esteso, in relazione a condotte comunque rispondenti al modello di giusta causa o giustificato motivo, che ridotto, se tra le previsioni contrattuali ve ne sono alcune non rispondenti al modello legale e, dunque, nulle per violazione di norma imperativa. Il giudice non può limitarsi a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile ad una previsione contrattuale, ma è comunque tenuto a valutare in concreto la condotta addebitata e la proporzionalità della sanzione (cfr. Cass. 11/02/2020 n. 3283). In definitiva la previsione, nel contratto collettivo, di fattispecie integranti giusta causa di licenziamento rappresenta uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c., ma non è vincolate per il giudice, il quale può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o un grave comportamento del lavoratore contrario alle regole dell’etica o del comune vivere civile, ovvero, al contrario, può escludere che il contegno del lavoratore integri una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.

4.4. A tali principi si è attenuta la Corte territoriale che, contrariamente a quanto affermato dalla società ricorrente, si è preoccupata di verificare i tratti della condotta tenuta dal lavoratore ed oggetto della contestazione. Li ha contestualizzati con riguardo all’incidenza di condotte concorrenti ed al comportamento complessivo del lavoratore ed alla concorrente condotta negligente del conducente dell’autocarro infortunatosi. In sostanza la Corte ha compiuto esattamente l’operazione ricostruttiva che le era demandata, accertando sia il profilo oggettivo della condotta tenuta, che quello soggettivo, ed ha correttamente valorizzato la condotta concorrente, ed imprevedibile, nella causazione dell’evento lesivo che incide sulla gravità dell’inadempimento da addebitare al lavoratore.

4.5. Ne’ su tali poteri ricostruttivi ed interpretativi incide in maniera preclusiva la L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 30 che impone al giudice di tenere conto “delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione”. Si tratta di disposizione che pretende che sia utilizzata la graduazione delle infrazioni disciplinari articolate dalle parti collettive come parametro integrativo delle clausole generali di fonte legale ma non preclude, ove si ritenga che la condotta codificata non costituisca comunque giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, di accertare e dichiarare illegittimo il recesso.

5. Neppure il secondo motivo di ricorso – con il quale è denunciata la violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo il giudice del reclamo attribuito un diminuito valore probatorio alla certificazione del (OMISSIS) del medico dell’INAIL che, dopo una prima prognosi di trenta giorni per la guarigione dall’infortunio attestata dalla certificazione del pronto soccorso ospedaliero il (OMISSIS), aveva prorogato di ulteriori 21 giorni l’assenza dal lavoro dell’autista danneggiato dalla manovra dello S. – può essere accolto.

5.1. Deduce la ricorrente che il giudice del merito ben poteva valutare l’attendibilità della prognosi contenuta nella certificazione medica, avvalendosi se del caso di un consulente d’ufficio, ma non anche attribuire una diversa efficacia probatoria alle certificazioni in ragione della loro provenienza, in concreto escludendo che il danno riportato dall’infortunio potesse essere considerato grave.

5.2. In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento. Ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, allora la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (cfr. Cass. S.U. 30/09/2020 n. 20867).

5.3. Nella specie non la censura si risolve in una diversa interpretazione del materiale probatorio, ed in particolare del contenuto del documento, che avrebbe potuto e dovuto semmai essere censurata in relazione ad una eventuale violazione delle regole dettate per l’interpretazione degli atti.

6. Sotto altro profilo, con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per la mancanza, apparenza o comunque il carattere perplesso della motivazione della sentenza che, nel valutare la gravità delle lesioni arrecate a terzi con la condotta negligente contestata, aveva attribuito un diverso valore probatorio al certificato medico dell’Inail rispetto a quello rilasciato dal medico del Pronto Soccorso. Sostiene la ricorrente che la finalità delle certificazioni mediche, qualunque ne sia la provenienza, è di attestare, tra le altre cose, la prognosi di durata della malattia. Deduce che non risponderebbe al vero il fatto che la certificazione dell’INAIL sarebbe stata redatta successivamente alla guarigione del lavoratore rimasto infortunato. Del tutto illogicamente, ad avviso della società, sarebbe stato attribuito un diverso significato ed una differente incidenza sul caso concreto tra due nozioni tra loro sovrapponibili: il recupero della piena idoneità allo svolgimento delle mansioni, la prognosi di guarigione. In tal modo ne risulterebbe viziata insanabilmente la motivazione della sentenza che sarebbe perciò nulla.

6.1. Anche tale censura non può essere accolta poiché, ancora una volta, il tema sollevato non è tanto quello della mancanza di motivazione quanto piuttosto quello di una diversa interpretazione del contenuto dei documenti attestanti la durata della malattia e i tempi di recupero per la ripresa del servizio del lavoratore infortunato che si ribaltano nella qualificazione della gravità delle lesioni. Rileva il Collegio che, nei termini in cui la censura è posta alla sua attenzione, non si può che evidenziare che la motivazione della sentenza è tutt’altro che apparente o inesistente né risulta essere perplessa o obiettivamente incomprensibile. La Corte spiega con chiarezza perché ritiene che le lesioni derivate dalla condotta addebitabile ad un concorso di colpa, non possano essere qualificate gravi e la motivazione è tutt’altro che apparente o perplessa così da inficiare la sentenza in modo tale da poterla ritenere nulla nel senso prospettato. In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 14/02/2020 n. 3819). Deve risultare del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile). Solo in tali casi, e non è quello in esame per le ragioni esposte, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass. 25/09/2018 n. 22598 e 12/10/2017 n. 23140).

7. L’ultimo motivo di ricorso – con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 582 c.p., art. 583 c.p., comma 1, artt. 589,590 c.p. e della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, commi 4 e 5 o, comunque, in subordine, l’errata applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – è inammissibile atteso che la censura, pur formulata in termini di violazione di legge, si risolve nella sostanza in una diversa ricostruzione del fatto non consentita in questa sede.

7.1. La Corte ha dato conto delle ragioni per le quali il fatto accertato nei suoi elementi e ricostruito sulla base delle prove acquisite era riconducibile ad una fattispecie che la norma collettiva, l’art. 34 del c.c.n. 1 applicabile, punisce con una sanzione conservativa e, coerentemente, ha ritenuto corretta l’applicazione della tutela reale prevista dall’art. 18, comma 4 novellato e ratione temporis applicabile.

7.2. Nel far ciò la Corte di merito si è attenuta ai principi dettati da questa Corte che impone al giudice del merito di procedere all’accertamento degli estremi della giusta causa addotta dal datore di lavoro, quale presupposto condizionante la legittimità del recesso secondo previsioni legali non modificate dalla riforma e, solo ove ravvisi la mancanza della causa giustificativa, deve provvedere a selezionare la tutela applicabile ed in particolare se si tratti di quella generale ovvero quella ex comma 5 operante nei soli casi ivi previsti (cfr. Cass. 20/08/2020 n. 17492) e dunque nell’ipotesi in cui la condotta, per come accertata, sia punita dal contratto collettivo solo con una sanzione conservativa correttamente deve applicarsi la tutela reintegratoria c.d. attenuata. Rettamente allora accertata dalla Corte di merito l’insussistenza della giusta causa, e implicitamente del giustificato motivo soggettivo, il fatto accertato è stato incasellato dal giudice di merito per le sue caratteristiche soggettive ed oggettive tra quelle condotte negligenti che abbiano arrecato danni non gravi alle persone e che l’art. 34, u.c. del c.c.n.l. sanziona espressamente con la sospensione dal servizio e dunque rientra a pieno titolo nella previsione dell’art. 18, comma 4 citato.

8. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della società soccombente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va poi dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5250,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021

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