Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20845 del 02/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/08/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 02/08/2019), n.20845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5998-2014 proposto da:

U.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.B. MORGAGNI

2/A, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO SEGARELLI, rappresentato

e difeso dall’avvocato DONATO ANTONUCCI;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI MANTOVA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA N.

6, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO MARRA MARCOZZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CRISTINA URSOLEO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 355/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 19/09/2013 R.G.N. 168/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DONATO ANTONUCCI;

udito l’Avvocato CRISTINA URSOLEO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Brescia ha respinto l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Mantova che aveva rigettato l’impugnativa proposta da U.G., dirigente, avverso le due sanzioni disciplinari (multa di Euro 500,00 e sospensione da servizio e retribuzione per quattro giorni) irrogate nei suoi confronti dal Comune di Mantova.

La prima sanzione era stata applicata per avere l’ U., quale dirigente del settore Agricoltura, A.P., Caccia e Pesca, fatto pubblicare, a spese della Provincia, un volume di cui egli risultava autore, senza che esso recasse alcun riferimento all’Amministrazione Provinciale e individuando il fornitore G.M. Editore senza procedere a gara ufficiosa ed informale, nonostante la spesa complessiva di 31 mila Euro fosse superiore al limite di 20 mila Euro per cui tale gara era prescritta, il tutto attraverso un frazionamento dei costi su due annate, per importi unitari inferiori al predetto limite.

La seconda sanzione era stata invece irrogata per avere il dirigente sollecitato e autorizzato la collaborazione retribuita, per quel volume, di tre dipendenti del suo settore, con svolgimento del lavoro almeno parzialmente in orario di ufficio e costi, come da preventivo dell’editore, rimasti a carico della Provincia.

La Corte territoriale, rispondendo alle censure sollevate dal ricorrente, per quanto qui interessa, riteneva infondata la censura relativa al fatto che il procedimento fosse stato condotto dall’U.P.D. e non dal dirigente di struttura, in quanto la distribuzione di competenza doveva avvenire non sulla base della sanzione infine applicata, ma sulla base di quelle astrattamente applicabili per le violazioni contestate, nel caso di specie superiori, secondo il c.c.n.l., nei casi di particolare gravità, al limite di dieci giorni di sospensione previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 1.

Oltre a ciò, la Corte riteneva che le contestazioni non potessero considerarsi tardive, in quanto la determinazione di spesa nel Piano esecutivo di gestione non poteva avere particolare significato, non comportando particolari specificazioni sotto il profilo di un approfondito esame della corretta gestione e destinazione dei fondi ivi stanziati, sicchè non poteva dirsi che fin da allora vi fosse stata conoscenza dell’illegittima conduzione della procedura, la quale aveva potuto essere apprezzata pienamente solo al momento del pervenire dei volumi senza alcuna indicazione al loro interno del riferirsi di essi all’Amministrazione Provinciale.

Quanto alla seconda infrazione, la Corte affermava che la contestazione era tempestiva, dovendosi a tal fine considerare l’audizione di alcuni collaboratori del dirigente effettuata per chiarire i fatti.

Nel merito, rispetto alla prima incolpazione, il giudice di secondo grado affermava la “discreta” gravità dell’accaduto e sosteneva non potersi tollerare che un dirigente non rispetti norme poste a presidio dell’efficienza, del buon andamento e dell’imparzialità della P.A. Quanto alla seconda violazione, affermava che l’attività dei dipendenti era certamente in conflitto di interessi con l’ente datore di lavoro, per il fatto stesso che le prestazioni svolte venivano pagate dalla Provincia medesima. Il ricorrente erroneamente sosteneva poi che si trattasse di prestazioni autorizzate, in quanto esse erano state oggetto di una mera comunicazione e presa d’atto, sul presupposto erroneamente indicato dai medesimi dipendenti che vi fosse esenzione da autorizzazione per assenza di conflitto di interessi, essendo peraltro dimostrato che era stato il ricorrente a coinvolgere i collaboratori nell’attività in questione, mentre, al contrario, avrebbe dovuto non consentirla perchè non autorizzata.

2. U.G. ha impugnato la sentenza con tre motivi, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso del Comune.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo, rubricato come denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, è destinato alla censura della sentenza di appello nella parte in cui essa ha ritenuto l’infondatezza della questione sulla tempestività delle contestazioni sollevata dal ricorrente, che in proposito richiama il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2, artt. 51, 55 e 55-bis, alla L. n. 300 del 1970, art. 7, agli artt. 5 e 7 del c.c.n.l. e dell’art. 1418 c.c.

1.1 Il motivo va disatteso.

1.2 Quanto al primo procedimento disciplinare, esso si fonda sul fatto che il Piano Esecutivo di Gestione avrebbe avuto, a dire del ricorrente, elementi idonei affinchè, fin dalla fase degli stanziamenti di spesa, il Direttore Generale e con essa l’Amministrazione potessero avere contezza degli elementi su cui poi si era fondata la contestazione la quale, essendo intervenuta a lunga distanza di tempo dal predetto Piano, andava ritenuta tardiva per violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 2 e/o 4.

Il motivo è inammissibile, in quanto esso non riporta al proprio interno i passaggi di quel P.E.G. dai quali si sarebbe dovuto desumere che la P.A. già all’epoca avesse elementi sufficienti per rendersi conto del verificarsi di un comportamento non legittimo.

In mancanza, la critica alla valutazione della Corte territoriale, secondo cui viceversa quella consapevolezza la P.A. la ebbe solo dopo la ricezione del volume e gli approfondimenti a ciò conseguiti, risulta aspecifica.

La formulazione del motivo in particolare si pone in contrasto con i presupposti giuridici e di rito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, e con i principi di specificità ed autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai n. 4 e 6 della predetta disposizione, da cui si trae, nel contesto comune del principio di specificità predetto, l’esigenza che l’argomentare sia idoneo a manifestare la pregnanza (ovverosia la decisività) del motivo, attraverso non solo il richiamo ai documenti che possono sorreggerlo, ma con l’inserimento logico del contenuto rilevante di essi nell’ambito del ragionamento impugnatorio.

1.3 Quanto al secondo procedimento disciplinare, la tardività sarebbe data dal fatto che la notizia dell’illecito sarebbe derivata dal dichiarazioni rese dai dipendenti il 24 e 25 agosto 2011, sicchè, tenuto conto del termine di venti giorni applicabile, la contestazione del 22 settembre era giunta allorquando vi era già stata decadenza.

Anche in parte qua si presentano i medesimi difetti di specificità già sopra segnalati.

Infatti, la Corte di merito ha fatto riferimento all’audizione di alcuni collaboratori dell’ U. avvenuta il 7 settembre 2011, quale ragione dell’apprendimento della notizia in termini utili all’iniziativa disciplinare.

Il motivo non riporta nè queste ultime informative, nè le dichiarazioni precedenti da cui, secondo le difese svolte, già sarebbero emersi elementi sufficienti per procedere e si determina quella genericità dell’assetto impugnatorio che è ragione di inammissibilità, di cui già si è detto al punto che precede.

2. Con il secondo motivo il ricorrente afferma la violazione e/o errata applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2 comma 2, artt. 51, 55 e 55-bis, della L. n. 300 del 1970, art. 7 degli artt. 5 e 7 del c.c.n.l. e degli artt. 1175, 1375 e 1418 c.c..

Il ricorrente sostiene l’invalidità della sanzione disciplinare perchè la contestazione non conteneva l’indicazione del tipo ed entità della sanzione astrattamente irrogabile, la cui carenza consentirebbe alla P.A. di avvalersi a priori della procedura a termini raddoppiati, anche a prescindere dalla sanzione che in concreto potrebbe poi essere applicata, il tutto anche in violazione degli obblighi di correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.

2.1 In fatto è accaduto che le due contestazioni disciplinari contenessero l’indicazione degli obblighi violati e delle norme in cui essi erano previsti (art. 5, comma 4, lett. a ed f del c.c.n.l.), ma non delle sanzioni applicabili che in proposito erano la sanzione pecuniaria (art. 7, comma 4 lett. a) o, quando le mancanze si fossero caratterizzate per una particolare gravità (art. 7, comma 8, lett. a, seconda parte) la sospensione da tre giorni a sei mesi.

Non è però fondato l’assunto secondo cui la contestazione dovrebbe contenere anche l’indicazione delle sanzioni applicabili, al fine di consentire il controllo ex ante sul rispetto delle regole di competenza che, come è noto è suddivisa, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis tra il Dirigente della struttura di appartenenza del dipendente (qualora si tratti di infrazioni per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni ed ora, in esito alla c.d. riforma Madia, per tutte le sanzioni superiori al rimprovero verbale) e l’Ufficio per i procedimenti disciplinari (U.P.D.) per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi.

2.2 La contestazione, come si desume dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 2 e 4 (e ora, dopo la c.d. riforma Madia, comma 4) riguarda testualmente “l’addebito” e dunque i fatti sui quali si fonda la responsabilità disciplinare e non la sanzione.

Ciò trova poi conferma nelle norme sulla competenza.

Infatti se, rispetto al Dirigente, si fa un meno certo riferimento alla sanzione di cui è “prevista l’irrogazione” (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 1), in cui la previsione può sia riguardare la misura edittale della sanzione, sia la sanzione che si ipotizzi in concreto di irrogare, la legge, nel regolare la competenza dell’U.P.D., fa inequivocabile riferimento alle infrazioni “punibili” con sanzioni più gravi (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 2, ora comma 4), così chiarendo senza possibilità di dubbio che il discrimine di competenza è fissato sulla base della misura edittale.

2.3 L’eventuale violazione delle norme sulla competenza ha dunque rilievo nella sola misura in cui la sanzione edittale prevista per i fatti contestati e sulla cui base è stata poi determinata la sanzione finale si collochi al di fuori dalla competenza dell’ufficio che ha proceduto.

Pertanto, se la norma sanzionatoria applicata, da valutare rispetto alla sua portata edittale, ivi comprese le ipotesi massime per il caso di gravità della violazione, intercetti la competenza dell’U.P.D., non vi è nullità se poi sia applicata in concreto una sanzione inferiore rispetto al discrimine di competenza.

Poichè nel caso di specie è pacifico che l’ipotesi massima avrebbe comportato l’applicazione della sospensione fino a sei mesi (art. 7, comma 8 del c.c.n.l.), è corretto il ragionamento della Corte territoriale che ha ritenuto non essersi determinata alcuna violazione.

2.4 Va altresì fissato il seguente principio: “In tema di sanzioni disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, la contestazione dell’infrazione, per essere valida, deve contenere l’indicazione dei fatti addebitati, mentre non è necessaria l’indicazione espressa della sanzione per essi prevista. In ogni caso l’attribuzione della competenza al Dirigente della struttura cui appartiene il dipendente o all’Ufficio per i procedimenti disciplinari, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, si definisce esclusivamente sulla base delle sanzioni edittali massime stabilite per i fatti quali indicati nell’atto di contestazione e non sulla base della misura che la P.A. possa prevedere di irrogare, nè è ragione di invalidità la circostanza che l’U.P.D, presso cui si radichi il procedimento nei termini di cui sopra, fruendo dell’intero margine edittale, applichi infine una sanzione inferiore a quella che costituisce discrimine di tale competenza, qualora ciò sia conseguenza della necessaria proporzionalità rispetto ai fatti addebitati”.

3. Il terzo motivo afferma la violazione e/o errata applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2, artt. 51, 55 e 55-bis, della L. n. 300 del 1970, art. 7 e dei principi di gradualità nell’irrogazione della sanzione, D.M. 28 novembre 2000, art. 7 quale allegato e parte integrante del c.c.n.l., nonchè violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.ed omessa valutazione delle prove (art. 360 c.p.c., n. 4).

3.1 Quanto al primo procedimento disciplinare il ricorrente, sul presupposto che la contestazione potesse dirsi tempestiva solo rispetto al fatto che nel volume mancava il logo della Provincia, sostiene che la sanzione di Euro 500,00, pari a suo dire al massimo edittale, sarebbe sproporzionata, anche per l’inidoneo esame dei profili di negligenza (la mancanza del logo era da attribuire all’editore) interessati.

La reiezione del primo motivo di ricorso esclude tuttavia che la vicenda possa essere limitata alla questione sul “logo” e comunque con il presente motivo si sollecita una revisione dell’apprezzamento sulla gravità della sanzione ovverosia di un profilo che attiene strettamente al giudizio di merito e che, se svolto con modalità non implausibili (nel caso di specie la Corte non ha trascurato di valutare che, per le ipotesi più gravi, avrebbe potuto esservi anche la sospensione fino a sei mesi ed ha evidenziato l’intollerabilità del risalire dalla violazione all’operato di un dirigente), non tollera revisioni in sede di legittimità.

3.2 Quanto al secondo procedimento, il ricorrente, da un primo punto di vista, sostiene che l’attività prestata dai suoi collaboratori non richiedesse autorizzazione ed afferma che comunque, la “presa d’atto” da parte della Provincia, era tale da concretizzare senz’altro un’autorizzazione.

Il motivo prosegue poi sostenendo che le dichiarazioni dei dipendenti interessati, così come la documentazione prodotta, avrebbero escluso qualsiasi pressione da parte dell’ U., come anche che egli avesse “tollerato irregolarità in servizio”.

Tali dichiarazioni e il contenuto dei predetti documenti non sono però riportati e dunque il profilo è dedotto con modalità generiche ed inammissibili, secondo i principi già richiamati al punto 1.1 che precede e cui si fa rinvio.

Nulla dunque risulta in grado di intaccare la valutazione del giudice di appello sotto il profilo dell’illegittimità del comportamento con cui il ricorrente, dopo avere promosso il coinvolgimento dei propri collaboratori in quelle attività, non ne ha impedito lo svolgimento anche in orario di servizio.

Profilo che è espressamente sottolineato nella motivazione, allorquando in essa si afferma che l’ U. avrebbe dovuto non consentire lo svolgimento di quegli incarichi, “tanto meno” – precisa testualmente la Corte – “in orario di lavoro”.

Quest’ultimo punto esprime una valutazione di disvalore palesemente autonoma ed idonea a sorreggere la motivazione, a prescindere da ogni questione in ordine alla necessità o alla sussistenza dell’autorizzazione allo svolgimento di quegli incarichi esterni, che ovviamente non potevano essere svolti in orario di servizio.

4. Il ricorso va quindi integralmente rigettato e le spese del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2019

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