Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20841 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/09/2020, (ud. 16/10/2019, dep. 30/09/2020), n.20841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6691/2014 R.G. proposto da:

C.S.A., rappresentato e difeso dall’avvocato

Mario Caldarera, elettivamente domiciliata presso il suo in Roma,

via Crescenzio n. 9, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia n. 138/02/2013, depositata il 2 agosto 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 ottobre

2019 dal Consigliere Dott. Dinapoli Marco.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

C.S. ricorreva in primo grado avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso nei suoi confronti con metodo induttivo dall’Agenzia delle entrate di sant’Agata di Militello per l’anno di imposta 2003 con richiesta di maggiori imposte (Irpef, Irap e Iva oltre sanzioni), fondata su un PVC della Guardia di Finanza che recuperava a reddito da lavoro autonomo imponibile le movimentazioni bancarie ritenute ingiustificate dei conti correnti nella sua diponibilità.

La Commissione tributaria provinciale di Messina accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente (sentenza n. 336/09/12 depositata il 10/06/2012), riducendo l’ammontare dei maggiori ricavi accertati e recuperati a tassazione. Il contribuente proponeva appello.

La Commissione tributaria regionale della Sicilia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello ritenendo infondati i motivi proposti (omessa motivazione della sentenza di primo grado, insufficiente motivazione dell’avviso di accertamento, erroneità della ricostruzione del reddito).

Il contribuente ricorre per cassazione con quattro motivi e chiede cassarsi la sentenza impugnata, con ogni conseguenziale statuizione. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso; chiede la conferma della sentenza impugnata, con ogni conseguente pronunzia.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1-Il primo motivo di ricorso denunzia “illegittimità della sentenza per violazione di legge; omessa motivazione” (non specifica il vizio denunziato fra quelli previsti dall’art. 360 c.p.c.).

1.2 Il secondo motivo denunzia “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 nel combinato disposto con gli artt. 24,53 e 11 Cost., della L. n. 212 del 2000 e dell’art. 6CEDU” perchè il ricorrente non rientra in alcuna delle categorie previste dall’art. 6 TUIR, nei cui confronti è consentito l’accertamento bancario, inoltre le movimentazioni bancarie sono state giustificate dal contribuente, che non sarebbe soggetto Irap perchè privo di una autonoma organizzazione.

1.3- Il terzo motivo denunzia “violazione della L. n. 212 del 2000, artt. 1 e 3 e art. 11 preleggi c.c.; violazione degli artt. 3 e 24 Cost.” perchè l’accertamento riguarda l’anno di imposta 2003, mentre l’applicazione ai professionisti del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 opera solo dal 2005, come previsto dalla legge finanziaria 2004 (L. 20 dicembre 2004, n. 311); pertanto l’accertamento impugnato avrebbe illegittimamente applicato la norma con efficacia retroattiva.

1.4- Il quarto motivo lamenta “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione alla L. 8 maggio 1998 n. 146 e al D.L. n. 33 del 1993” in quanto l’accertamento induttivo sarebbe consentito soltanto quando la dichiarazione reddituale risulti non congrua o non coerente con lo studio di settore di riferimento, ipotesi che non ricorrerebbe nella fattispecie.

2.1- Il primo motivo di ricorso è inammissibile per mancanza di specificità. E’ formulato infatti in maniera perplessa perchè non indica espressamente in quale ipotesi rientri fra i vizi di legittimità previsti dall’art. 360 c.p.c.; inoltre denunzia violazione di legge (senza specificare però di che legge si tratti) ma poi lamenta omessa motivazione; infine censura la sentenza di primo grado, che non avrebbe valutato la documentazione e le osservazioni giustificative dei movimenti bancari prodotti in giudizio, e solo indirettamente la sentenza di appello in quanto confermativa di quella di primo grado. Comunque il motivo è infondato perchè la sentenza impugnata esamina specificamente i tre motivi di appello proposti, e per ciascuno indica i motivi di fatto e di diritto del rigetto. La risalente e consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene, per altro, che non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (Cass. 23 gennaio 2020 n. 2153; cfr. Cass. V, 9 marzo 2011, n. 5583).

2.2- Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per mancanza di specificità, dato che il ricorrente non precisa se e con quali atti siano state formulate nel corso del giudizio di merito le eccezioni qui proposte.

2.3.1- Con riferimento al terzo motivo di ricorso, il contraddittorio processuale fra le parti si è svolto in ordine all’applicabilità con efficacia retroattiva della modifica apportata al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1) (legge finanziaria 2005) che inserendo nel testo la locuzione “o compensi” in aggiunta ai “ricavi” avrebbe esteso anche ai lavoratori autonomi l’ambito operativo della norma, prima limitato agli imprenditori, che consente di porre a base degli accertamenti fiscali, e di assoggettare per questo a tassazione, le operazioni bancarie di prelievo dai conti correnti nella disponibilità del contribuente che non ne indichi i soggetti beneficiari, sempre che non risultino dalle scritture contabili. Il ricorrente, infatti, contesta l’applicazione della norma in questione, entrata in vigore dal gennaio 2005, all’accertamento oggetto della presente causa, relativo ai redditi percepiti nel precedente anno di imposta 2003, sotto il profilo della violazione di legge (L. n. 212 del 2000, artt. 1 e 3 e art. 11 preleggi). L’Agenzia elle entrate richiama, in contrario, la giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto applicabile retroattivamente la novella, in quanto di natura meramente processuale e quindi non incidente sul merito dell’obbligazione tributaria (Cass. 14.01.2011 n. 802). Richiama inoltre la giurisprudenza che ha ritenuto che la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 fosse applicabile anche al reddito di lavoro autonomo pur nella vigenza del vecchio testo (Cass. 12.5.2008 n. 11750).

2.3.2- La questione va oggi posta in termini diversi, poichè nel frattempo è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 depositata il 6 ottobre 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, come modificato dalla L. 30 dicembre 2014, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1) (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge finanziaria 2005) limitatamente alle parole “o compensi”. Dalla motivazione della sentenza emerge chiaramente che la Corte ha ritenuto la norma irragionevole e contraria al principio di capacità contributiva essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito.

2.3.3- La norma dichiarata costituzionalmente illegittima cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza (art. 136 Cost. e della L. Cost. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 3); di conseguenza gli effetti della pronunzia retroagiscono e si applicano anche ai rapporti giuridici non consolidati e non coperti da decisioni passate in giudicato (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6926 del 07/05/2003, Rv. 562712 01).

2.3.4- La citata sentenza della Corte Costituzionale, pertanto, trova applicazione anche nel presente procedimento, in quanto il rapporto processuale non si è ancora esaurito. Inoltre, trattandosi di una questione di diritto, può essere rilevata d’ufficio, senza necessità di preventiva prospettazione della questione alle parti, perchè la regola di cui all’art. 384 c.p.c., comma 3, si riferisce soltanto all’ipotesi in cui la Corte ritenga di dover decidere nel merito (Cass. 20 luglio 2011, n. 15964).

2.3.5- Il terzo motivo di ricorso pertanto deve essere accolto, e la causa, in cui deve essere rideterminato il reddito imponibile, con accertamento in fatto che escluda i prelievi bancari dal computo dell’imponibile, va rimessa al giudice a quo per un nuovo giudizio, in cui dovrà essere osservato il seguente principio di diritto: “Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 pubblicata l’8 ottobre 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo come modificato dalla L. 30 dicembre 2014 n. 311 art. 1, comma 402, lett. a), n. 1) (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge finanziaria 2005) limitatamente alle parole “o compensi”, gli accertamenti fiscali nei confronti dei lavoratori autonomi fondati sulla norma dichiarata illegittima, anche se relativi ad anni di imposta precedenti alla sentenza, purchè non ancora definitivi, devono essere rivisti, escludendo dal maggior reddito oggetto di accertamento le movimentazioni bancarie di mero prelievo effettuate dai conti correnti nella disponibilità del contribuente”.

2.4- Il quarto motivo, infine, è inammissibile per difetto di specificità; infatti il ricorrente non ha evidenziato in che modo e con quali atti la questione sia stata proposta in precedenza, omettendone la trascrizione, l’allegazione in copia, e perfino la specifica “localizzazione” nel giudizio di merito, per cui il motivo di ricorso non possiede l’autonomia indispensabile per consentire alla Corte, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni proposte.

3.- In conclusione solo il terzo motivo del ricorso va accolto nei limiti di cui in motivazione, con rinvio al giudice a quo, cui si rimette anche il regolamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta i rimanenti motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 30 settembre 2020

 

 

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