Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20836 del 10/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 10/10/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 10/10/2011), n.20836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24160-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona^deL legate rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Mazzini, 27 presso

lo studio Trifirò e Partners, rappresentata e difesa dall’Avv.

Favalli Giacinto per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 292/2006 della Corte d’appello di Brescia,

pronunziata nella causa n. 674/05 r.g. lav., depositata in data

22.09.06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22.09.2011 dal Consigliere dott Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza del Tribunale di Cremona era dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto a termine con cui Poste Italiane s.p.a. aveva assunto A.G. per il periodo 12.6-30.9.01.

2.- Proposto appello da Poste Italiane, la Corte d’appello di Brescia con sentenza depositata in data 22.09.06 rigettava l’impugnazione.

Il contratto era stipulato per le esigenze previste dall’art. 8 CCNL 1994, come integrato dall’accordo 25.9.97, e art. 25 CCNL 2001, connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda; considerato che le esigenze in questione sul piano generale non erano mai venute meno, in quanto le parti stipulanti in un continuum contrattuale protrattosi fino all’anno 2001, si erano negozialmente date atto della loro permanenza, non poteva ritenersi, come sostenuto dal primo giudice, che esistesse un limite temporale per stipulare contratti a termine motivati con detta causale. Poste Italiane non aveva, tuttavia, dato prova che presso la filiale ove era stata destinato A. esistessero le condizioni specificamente indicate, cui con l’assunzione a termine si intendeva ovviare.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per cassazione. Non svolge attività difensiva A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. I motivi dedotti dalla ricorrente possono essere riassunti come segue:

4.1.- carenza di motivazione, in quanto il giudice mentre afferma che è pacifica la sussistenza di un piano di ristrutturazione aziendale costituente presupposto per le assunzioni a termine, contraddittoriamente ritiene necessaria la prova dell’esistenza di quelle condizioni nel singolo ufficio di destinazione, così negando l’autonomia negoziale delle Oo.Ss. sindacali che avevano stipulato il contratto collettivo ed i successivi accordi sindacali in forza della delega della L. n. 56 del 1986, art. 23;

4.2.- violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e carenza di motivazione, in quanto nella specie il contratto fu stipulato ai sensi dell’art. 25 del ccnl 11.1.01, per fare fonte ad esigenze di carattere straordinario conseguenti ai processi di riorganizzazione aziendale, di modo che in forza della delega conferita dalla legge alla contrattazione collettiva, non si poneva questione di limite temporale della clausola autorizzatoria, nè di prova dell’esistenza delle conclamate esigenze nell’ufficio di destinazione;

4.3.- violazione dell’art. 115 c.p.c., in quanto le circostanze di fatto legittimanti l’assunzione erano pacifiche e legate a fatto notorio, di modo che non era necessaria prova ulteriore circa la loro esistenza;

4.4.- omessa motivazione in quanto la sentenza non considera la seconda causale dell’assunzione a termine, qualificata come necessiti di espletamento del servizio in concomitanza del godimento delle ferie dei dipendenti, nè l’eccezione di scioglimento del contratto per intervenuto mutuo consenso, le quali pure erano state oggetto di appello;

4.5.- violazione degli artt. 1206 e segg., 2094, 2099 e 2697 c.c. in quanto il giudice di merito non avrebbe considerato che il diritto al risarcimento del danno del lavoratore nasce dal momento dell’offerta della prestazione e della messa in mora del datore.

5.- Deve premettersi che il contratto a termine de quo era stato stipulato per il periodo 12.6-30.9.01, ai sensi dell’art. 25 del ccnl 11.1.01, “per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè a fronte della necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre”.

Il giudice di merito, pur sostenendo la tesi che la contrattazione collettiva tra la soc. Poste Italiane e le organizzazioni sindacali non si sarebbe mai interrotta e che le esigenze di riorganizzazione aziendale (qualificate prima “eccezionali” ai sensi dell’art. 8 del ccnl 1994, come integrate dall’accordo 25.9.97, e poi “straordinarie” ai sensi dell’art. 25 del ccnl del 2001) erano state sempre ben presenti alle parti negoziali, tuttavia, riconosce che il contratto de quo era riconducibile all’art. 25 del ccnl 2001, se non altro perchè rientrava nel periodo di vigenza di tale contratto (stipulato in data 11.1.01).

6.- Tanto premesso, procedendo all’esame dei primi tre motivi in unico contesto, deve rilevarsi che, anche con riferimento all’applicazione dell’art. 25 del ccnl 2001 ora in considerazione, al pari di quanto previsto per l’art. 8 del ccnl 26.11.94, la giurisprudenza di questa Corte ha legittimato l’interpretazione che il legislatore ha conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, non condizionata dai limiti ricavabili dalla L. n. 230 del 1962, consentendo alle parti stipulanti di prendere in considerazione le specificità del settore produttivo (quale deve considerarsi il servizio postale, attualmente affidato ad unico soggetto) e autorizzando Poste Italiane s.p.a. a ricorrere (nei limiti della percentuale fissata) al contratto a termine, senza altre limitazioni e con giustificazione presunta del lavoro tempo temporaneo. L’assenza di ogni pregiudiziale collegamento con la disciplina generale del contratto a termine giustifica, dunque, l’interpretazione secondo cui il l’accordo sindacale autorizza la stipulazione dei contratti di lavoro a termine pur in mancanza di un collegamento tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze di carattere straordinario richiamate per giustificare l’autorizzazione, con riferimento alla specificità di uffici e di mansioni (Cass. 26.9.07 n. 20157 e 20162,1.10.07 n. 20608).

Questa impostazione sta a significare che la valutazione di legittimità delle fattispecie contrattuali ora in considerazione richiede non la prova che le singole assunzioni e la destinazione alle specifiche mansioni di cui i dipendenti ora in causa furono officiati furono adottate nel caso concreto per far fronte alle esigenze descritte nella fattispecie astratta, ma solo il riscontro che le assunzioni in questione erano ricollegabili alle esigenze aziendali considerate nella norma collettiva.

Al riguardo deve ulteriormente richiamarsi la giurisprudenza che, nell’ambito ora in considerazione, ha riconosciuto l’incidenza dell’accordo del 18 gennaio 2001, che risulta considerato anche dalla sentenza impugnata. Tale accordo costituisce attuazione della procedura di confronto sindacale prevista dallo stesso art 25 del contratto collettivo, a norma del quale prima di dare corso alle conseguenti assunzioni, la materia formerà oggetto di confronto: a) a livello nazionale, qualora risultino interessate più regioni …

Sulla base del testo del suddetto accordo – ove si legge che le OO.SS. … convengono ancora che i citati processi, tuttora in corso, saranno fronteggiati in futuro anche con il ricorso a contratti a tempo determinato, stipulati nel rispetto della nuova disciplina pattizia delineata dal cc.n.l. 11.1.2001 – è stato osservato, il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti. In forza del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune quando il significato letterale delle espressioni usate risulti univoco – conclude detta giurisprudenza – è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti, di modo che deve pertanto ritenersi integrata, sulla base di tale accordo, la condizione prevista dal citato art. 25 (v. al riguardo la già richiamata sentenza n. 20608 del 2007).

Con riferimento alla situazione di specie, inoltre, il giudice di merito nel dare atto dell’accordo 18.1.01 (pag. 7), da per scontato che a questa data fossero ancora in atto le esigenze che avevano dato luogo alla, negoziazione dell’art. 25 ora in esame. Può, dunque, ritenersi che già dall’esame della pronunzia della Corte territoriale risultino esistenti tutte le condizioni previste dalla norma collettiva e che per ritenersene attuato il disposto non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

1.- Tirando, dunque, le conclusioni di tale iter argomentativo, può affermarsi che i primi tre motivi di ricorso sono fondati e che da tale accoglimento deriva la legittimità dell’assunzione ora in considerazione, dovendo ritenersi esistenti le conclamate esigenze straordinarie. E’, pertanto, superfluo l’esame del quarto motivo attinente la mancata considerazione della seconda causale legittimante l’assunzione. Il quinto motivo, attinente il risarcimento del danno, è invece assorbito.

8.- Il ricorso è dunque fondato e deve essere accolto, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, deve rigettarsi la domanda.

9.- Essendosi la giurisprudenza in materia stabilizzata solo in tempi recenti, le spese del giudizio di primo e secondo grado debbono essere compensate, mentre quelle del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

– accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, provvedendo nel merito, rigetta la domanda;

– compensa tra le parti le spese del giudizio di primo e secondo grado e condanna l’ A. alle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 20,00 per esborsi e di Euro 1.500 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2011

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