Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20834 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 21/07/2021, (ud. 25/06/2020, dep. 21/07/2021), n.20834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 373/2020 proposto da:

S.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLO ALESSANDRINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE ANCONA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12,

ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 713/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/05/2019 r.g.n. 27/2017.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte territoriale di Ancona, con sentenza pubblicata in data 14.5.2019, ha rigettato l’appello proposto da S.A., cittadino senegalese, avverso l’ordinanza n. 3966/2016, resa dal Tribunale della stessa sede il 3.12.2016, che aveva respinto il ricorso del medesimo avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’Interno-Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona, con il quale erano state disattese le domande del richiedente, dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, ovvero del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6;

2. la Corte di merito ha osservato che le ragioni addotte dal medesimo a sostegno dell’espatrio non integrano in alcun modo il rischio di una persecuzione determinata da ragioni politiche, religiose, razziali o di appartenenza ad un determinato gruppo sociale, secondo quanto dispone del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, avendo il medesimo “giustificato l’espatrio per sfuggire alla situazione di emarginazione, sorta per il suo status di figlio illegittimo, pretermesso dall’eredità alla morte del padre e socialmente emarginato” e, dunque, il motivo dell’espatrio va ricercato in situazioni di carattere privato ed è sostanzialmente economico;

3. circa la richiesta di protezione sussidiaria, la Corte ha evidenziato che il S., che ha dichiarato di provenire dalla regione meridionale del Casamance, non ha espresso timori in ordine a possibili conflitti armati interni e, comunque, l’evoluzione attuale della situazione socio-politica in Senegal esclude l’ipotesi del conflitto armato interno; pertanto, ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a), b) e c);

4. infine, i giudici di appello hanno negato che, nella fattispecie, potessero configurarsi particolari profili di vulnerabilità atti a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno previsto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché la storia personale del ricorrente non consente di ritrovare riferimenti ad una condizione di menomata dignità vissuta in patria, né ad una personale situazione di vulnerabilità da proteggere; peraltro, il medesimo risulta essere in buona salute e giovanissimo di età;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il S. articolando quattro motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

6. il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo si lamenta che la Corte di Appello abbia apoliticamente escluso che gli atti di persecuzione collegati e/o riferibili all’appartenenza alla categoria dei figli adulterini attengano ad un questione di diritto privato e non rientrino nella tutela della Convenzione di Ginevra;

2. con il secondo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la carenza e/o apparenza della motivazione addotta, sia in merito allo speciale regime probatorio vigente nella materia di cui si tratta, sia agli ampi poteri/doveri di collaborazione posti in capo al giudice, avendo, invece, la Corte di Appello omesso ogni discovery della situazione personale evidenziata dal ricorrente e di pericolo e di emergenza dovuta alla violenza indiscriminata in Senegal;

3. con il terzo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la omessa motivazione circa uno dei motivi di impugnazione e dei fatti decisivi per il giudizio oggetto di esame e di discussione tra le parti costituito dalla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, e/o della protezione sussidiaria e/o di quella umanitaria, in quanto il ricorrente proveniva dalla Libia ed in quanto vittima di soprusi e di violenze fisiche e psichiche;

4. con il quarto motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, “in merito al rigetto dell’istanza di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari laddove la Corte di appello di L’aquila ha omesso di effettuare alcuna valutazione comparativa tra il grado di integrazione raggiunta nel nostro Paese e la situazione dallo steso lasciata nel Paese di origine” (al riguardo, deve, comunque, essere rilevato che, nella fattispecie, la sentenza impugnata è stata emessa dalla Corte di Appello di Ancona e non da quella di L’Aquila);

6. il primo motivo non può essere accolto, in quanto generico e, comunque, va sottolineato, in merito, che il concetto di “discriminazione”, cui fa riferimento la censura, non può essere confuso con quello di “persecuzione”; al riguardo, è stato il medesimo S. ad escludere qualunque timore di persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica (v. del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2);

6.1. e la Corte distrettuale, esaminati gli atti, ha motivatamente affermato che il racconto del ricorrente è collegato a motivi di carattere privato: a fronte di ciò, non può invocarsi l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice, che non può essere volta a supplire ad una carenza probatoria totale, in modo da attribuire al giudice una funzione sostitutiva degli oneri di parte (v., ex plurimis, Cass., SS.UU. n. 11353/2004; Cass. nn. 13694/2014; 6205/2010; 17102/2009). Inoltre, l’accertamento della sussistenza di una violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale (nella fattispecie motivatamente esclusa dalla Corte di Appello), ai fini della protezione sussidiaria – da interpretare anche in conformità alle fonti normative e giurisprudenziali Eurounitarie (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE; Corte Giust 30.1.2014, Diakite) – implica un apprezzamento di fatto di competenza esclusiva del giudice di merito, altresì censurabile nei richiamati limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

7. quanto affermato in ordine al potere/dovere di cooperazione istruttoria da parte dell’organo giudicante, sub 6.1., vale anche per il secondo motivo, che, nella sostanza, censura vizi di motivazione e, in quanto tale, presenta profili di inammissibilità;

8. il terzo motivo non è meritevole di accoglimento, in quanto la censura sollevata appare nuova e, comunque, il ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non ha prodotto, né indicato tra i documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso per cassazione, l’atto introduttivo del giudizio, dal quale poter evincere se la asserita permanenza in Libia (e, soprattutto, il tempo di permanenza in quello Stato) fosse stata portata all’attenzione dei giudicanti e fosse stata oggetto di specifica richiesta;

9. in ordine al rilascio del permesso di soggiorno, cui si riferiscono le censure sollevate nel quarto motivo, i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che l’appellante non ha evidenziato elementi significativi di integrazione, né ulteriori condizioni di vulnerabilità, oggettiva e soggettiva; la decisione impugnata, pertanto, appare in linea con gli arresti giurisprudenziali di questa Corte, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione in Italia “deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza” (cfr., tra le altre, Cass. nn. 29857/2020; 4455/2018); peraltro, come innanzi osservato, le censure sollevate sembrano investire altra sentenza (della Corte di Appello di L’Aquila) e non la sentenza impugnata, emessa dalla Corte di Appello di Ancona;

10. per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

11. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, non essendo stata svolta attività difensiva dal Ministero intimato;

12. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

 

 

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