Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20832 del 14/10/2016

Cassazione civile sez. II, 14/10/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 14/10/2016), n.20832

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30399-2011 proposto da:

S.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI GRACCHI 187, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO MAGNANO SAN

LIO che lo rappresenta e difende in unione agli avvocati FULVIO

MANCINI, FRANCESCO MAUCERI, GIUSEPPE LOSI;

– ricorrente –

e contro

SM.MA., + ALTRI OMESSI

– intimati –

contro

A.R., C.F. (OMISSIS), DECEDUTA, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO

PANUCCIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIUSEPPE PANUCCIO per proc. spec. del (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 352/2010 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 27/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato Magnano di San Lio Marcello con delega depositata in

udienza dell’Avv. Francesco Mauceri difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Panuccio Giuseppe difensore della resistente che ha

chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso con condanna

alle pese;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o, in

subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. S.G. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Reggio Calabria Sm.Do. esponendo: con contratto del (OMISSIS) il convenuto gli aveva affidato l’appalto per la costruzione di un fabbricato composto da quindici appartamenti per il prezzo complessivo di Lire 50.000.000, di cui una parte (14 milioni) sarebbero stati versati attraverso il trasferimento della proprietà dell’intero terzo piano (tre appartamenti) al rustico del costruendo fabbricato, trasferimento poi avvenuto con contratto del (OMISSIS); il mutuo gravante sui detti appartamenti era rimasto a carico dell’istante;

peraltro, lo Sm. si era obbligato a corrispondergli la quota del mutuo relativo a detti appartamenti quando sarebbe stato erogato al medesimo Sm. il finanziamento da lui contratto per l’intero edificio con l’Istituto di Credito Fondiario;

che il committente era rimasto inadempiente a tale obbligo ed era altresì debitore del pagamento del residuo corrispettivo pari a Lire 2.000.000, dell’importo dovuto a titolo di revisione prezzi, della corresponsione degli interessi sulla parte di mutuo incamerata e non corrisposta e sulla revisione prezzi, oltre al risarcimento dei danni provocati dalla sua inadempienza.

Ciò posto, chiedeva la condanna al pagamento degli importi dovuti e alla convalida del sequestro conservativo autorizzato il 15 novembre 1973.

Il convenuto chiedeva il rigetto della domanda, contestando la esistenza dei crediti azionati; in via riconvenzionale, instava per la condanna dell’attore al pagamento delle somme di cui era creditore a vario titolo, fra cui la quota delle spese, pari a 3/14, per opere condominiali che egli stesso aveva realizzato, e gli oneri di ammortamento del mutuo che aveva estinto, relativamente alla quota dovuta all’attore.

Nel corso del giudizio l’attore proponeva ricorso di urgenza ex art. 700 c.p.c., chiedendo che venisse al convenuto ingiunto di eliminare le chiusure dei locali ove si trovavano gli attacchi centralizzati per la fornitura di acqua, energia elettrica e riscaldamento e di consegnare una chiave in modo da consentire gli allacci agli appartamenti di sua proprietà la istanza era rigettata.

Con sentenza del 21 gennaio 1999 il tribunale accoglieva parzialmente le domande rispettivamente proposte dalle parti. Avverso tale decisione proponevano l’attore appello principale e gli eredi del convenuto, nel frattempo deceduto, incidentale.

Con sentenza non definitiva dep. il 27 ottobre 2010 la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della decisione di primo grado, rideterminava la somma dovuta al S. a titolo di revisione prezzi in Lire 4.334.500;

stabiliva la decorrenza dalla domanda degli interessi sulla somma liquidata all’attore;

confermate la restanti statuizioni, rimetteva la causa sul ruolo per la determinazione, a mezzo consulenza tecnica di ufficio, degli oneri di ammortamento, sulla quota di mutuo spettante al S., da quest’ultimo dovuti agli eredi. Sm., che aveva proceduto all’estinzione dell’intero mutuo.

In relazione alla revisione prezzi determinata dal tribunale, la sentenza rideterminava il credito, peraltro stabilendo il termine iniziale della revisione dalla data del 15-5-1969, data di conclusione del contratto di appalto, e non, come preteso dall’appellante, con riferimento al momento dell’offerta del S. o dell’accettazione dello Sm. sul rilievo che non poteva trovare applicazione in tema di appalto privato la disciplina pubblicistica.

I Giudici, quindi, ritenevano che gli eredi Sm. erano obbligati a versare al S. la quota del mutuo spettante, che andava determinato in Lire 15.818.000; da un lato, si escludeva che la mancata ultimazione dei lavori, di cui il S. è stato ritenuto corresponsabile con il convenuto (che, dal suo canto, non aveva proceduto alla realizzazione delle opere condominiali al medesimo incombenti) fosse da porre in correlazione con il mancato versamento del predetto importo del finanziamento da parte del convenuto; peraltro, era confermata la decisione del tribunale con cui erano stati posti a carico del S. per la quota a lui spettante gli oneri sopportati dallo Sm. che aveva proceduto alla estinzione dell’intero mutuo; era disposta consulenza per la relativa determinazione, essendovi stata contestazione del calcolo effettuato dagli eredi Sm..

Era respinta la domanda proposta dal S. relativa al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata corresponsione della quota di mutuo dovuta: l’attore non aveva fornito la prova a lui Incombente di essere rimasto privo di risorse finanziare per completare i propri appartamenti ovvero che avesse dovuto fare ricorso onerosissimi prestiti bancari mentre la documentazione prodotta non era decisiva; d’altra parte, la consulenza tecnica di ufficio non è un mezzo di prova con cui la parte istante possa assolvere l’onere probatorio alla medesima incombente.

In relazione alla domanda proposta dallo Sm. di pagamento della quota delle spese documentate ed accertate relativamente alle opere condominiali da lui eseguite dell’intero fabbricato alle quali le parti avevano fatto riferimento con la scrittura del 15-5-1969 e poi con quella del 31-10-1972, correttamente era stata disposta consulenza tecnica, posto che – avendo le predette scritture fatto riferimento non soltanto alle spese documentate ma pure a quelle accertate – si rendeva necessaria l’indagine tecnica per stabilire le opere realizzate e le spese sostenute. La relativa quantificazione era stata operata sulla base dei prezzi medi del 1972, essendo stato preso in considerazione il periodo compreso fra il mese di giugno 1971 e il novembre 1973, nel quale dovevano ritenersi realizzate le opere da parte dello Sm..

Era ritenuta inammissibile la domanda avanzata dei danni connessi al rifiuto dello Sm. di consentire la utilizzazione degli allacciamenti condominiali relativi ai servizi essenziali e conseguita al procedimento ex art. 700 proposto in corso di causa: i Giudici escludevano che, come sostenuto dall’appellante, all’udienza del 12 -111982 tenutasi nel procedimento cautelare vi fosse stata accettazione del contraddittorio sulla domanda, posto che la domanda ex art. 700 aveva avuto ad oggetto la richiesta di ingiunzione di eliminazione delle chiusure ed il ricorrente aveva precisato ” salvo il diritto al risarcimento dei danni”, che era da intendersi riservato quindi a una fase successiva; pertanto, l’intervento del procuratore del convenuto, volto a contestare alcune affermazioni di controparte sui pretesi danni al fine di ottenere il rigetto del provvedimento cautelare, non era inteso ad accettare una domanda non proposta, non essendo affatto da escludere che, se avesse avuto percezione di una domanda nuova, il predetto difensore esplicitamente non avrebbe accettato il contraddittorio.

I Giudici ritenevano che, essendo oggetto dell’appello la questione relativa all’accettazione del contraddittorio soltanto alla predetta udienza del 12-11-1982, ad abundantiam era da rilevare che comunque alle successive udienze nulla si diceva in proposito, mentre era specificamente contestata la richiesta di danni formulata per la prima volta in sede di precisazione del conclusioni.

In accoglimento dell’appello incidentale, era stabilita dalla domanda giudiziale e non dalla costituzione in mora la decorrenza degli interessi legali sulle somme dovute al S., sul rilievo che si trattava di crediti illiguidi.

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il S. sulla base di sei motivi illustrati da memoria.

Era disposta ed effettuata integrazione del contraddittorio nei confronti di D. e Sm.Le..

La intimata A.R. ha conferito all’avv. Giuseppe Panuccio procura speciale per la partecipazione alla udienza di discussione con atto autenticato dal notaio il (OMISSIS), depositato il 20-10-2015.

Non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disattesa l’eccezione formulata dal difensore del ricorrente il quale, con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c., ha dedotto che la procura speciale depositata dall’avv. Panuccio non era idonea ai fini della costituzione in giudizio di Rosalia A. e non avrebbe consentito al medesimo avvocato di partecipare alla discussione sul rilievo che il mandato dalla medesima conferito con atto autenticato dal notaio il (OMISSIS) si era estinto per l’avvenuto decesso della predetta, avvenuto il (OMISSIS), ovvero in data anteriore al deposito nel giudizio di cassazione della procura (2010-2015); per cui al momento in cui era stata attivato con il deposito in giudizio, il mandato ormai estinto non poteva essere eseguito.

Al riguardo, è appena il caso di considerare: a) il mandato all’avv. Panuccio per partecipare alla udienza di discussione venne conferito dalla intimata in data successiva alla proposizione del ricorso per cassazione alla medesima notificato (nel dicembre 2011), quindi in pendenza della presente fase di giudizio; b) per effetto del principio dell’ultrattività del mandato alle liti (S.0 15295/14), il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si fosse verificato, e ciò senza considerare che comunque gli eventi interruttivi non hanno alcuna incidenza nel giudizio di cassazione, caratterizzato dall’impulso di ufficio; c) ai fini della esistenza e dell’efficacia del mandato, non assume alcuna rilevanza il momento del deposito in giudizio dell’atto, ovvero che la produzione sia avvenuta successivamente alla morte del mandante, trattandosi di attività di mera documentazione dell’avvenuto conferimento del mandato che avrebbe potuto essere anche compiuta in data anteriore al decesso, senza che comunque la morte del mandante avrebbe potuto avere effetti sul mandato e determinarne la estinzione.

1.1. – Il primo motivo censura la decisione gravata che aveva ritenuto domanda nuova e inammissibile quella relativa ai danni conseguenti alle richieste formulate ex art. 700 c.p.c. quando a stregua di quanto dichiarato dal difensore di controparte – che ne aveva contestato l’esistenza e l’entità – nel verbale di ud. 12 novembre 1982 vi era stata accettazione del contraddittorio; in effetti, la tematica sui danni rappresentati dal S. nella precedente ud. del 29-9-1982 e ribaditi con l’atto di riassunzione, era stata introdotta autonomamente dall’avv. Panuccio in sede di verbalizzazione alla ud. 12 novembre 1982, così che, per effetto dell’eccezione in senso stretto dalla medesima controparte sollevata, era stato ampliato il thema decidendum sul quale il giudice doveva provvedereò la Corte non aveva esaminato anche le risultanze dell’udienza del 13-4-1995 in sede di richiesta di formulazione dei quesiti al ctu laddove la controparte si era opposta alla determinazione dei danni perchè contestati; la Corte non aveva esaminato quanto era stato dedotto con l’atto di appello su quelli che sono i presupposti dell’atto di accettazione del contraddittorio, che può essere anche tacita mentre il rifiuto non può essere generico o equivoco. In effetti, non era stato accertato che il S. aveva sciolto la riserva di danni già in sede di ricorso di urgernza e poi alle successive udienze.

1.2. – Il motivo è infondato.

In primo luogo, va osservato che – secondo quanto accertato dai Giudici di appello – la verifica se vi fosse stata accettazione del contraddittorio sulla domanda proposta successivamente all’introduzione del giudizio – ovvero nel procedimento cautelare in corso di causa – era stata limitata all’udienza del 12-11-1982, per cui le ulteriore argomentazioni vanno considerate rese ad abundantiam: tenuto conto del carattere devolutivo dell’appello e del requisito della specificità dei motivi, sarebbe stato onere del ricorrente riportare il testo integrale dell’impugnazione al fine di dimostrare di avere investito la Corte dell’indagine anche relativamente alle altre udienze.

Ciò posto, la sentenza ha accertato che: a) in primo luogo, non vi era stata alcuna domanda, posto che l’attore aveva fatto salvo il diritto al risarcimento dei danni laddove evidentemente la riserva di chiedere separatamente i danni è inconciliabile con la formulazione della domanda relativa; b) la domanda di danni non poteva essere coltivata nella fase cautelare con cui era stato chiesto un provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c.. Orbene, se non vi era stata alcuna domanda di danni, la condotta difensiva tenuta dal procuratore del convenuto che – per scrupolo defensionale in relazione a future eventuali pretese nella sede opportuna – aveva contestato i danni non potrebbe assumere alcuna rilevanza, non essendo in tal caso neppure ipotizzabile alcuna eccezione (che è diretta a contrastare una domanda ed è un mezzo per dedurre un fatto estintivo modificativo o impeditivo, volto a paralizzarla).

2.1. – Il secondo motivo censura la sentenza impugnata laddove nell’accogliere la domanda di pagamento delle spese relative alla quota di mutuo estinto da Sm., non aveva tenuto conto di quanto previsto dagli accordi contrattuali di cui alle scritture intercorse fra le parti, laddove si prevedeva che a favore del S. sarebbe spettato il netto ricavo del mutuo per cui le spese non potevano essere poste a carico, tenuto quanto previsto dall’art. 1273 in tema di accollo:

peraltro, considerato l’inadempimento dello Sm., l’accollo era rimasto inefficace.

Denuncia che erroneamente la sentenza di appello aveva ammesso la consulenza tecnica per sopperire all’onere probatorio incombente alla parte che avrebbe potuto e dovuto dimostrare documentalmente l’avvenuto pagamento.

2.2. -Il motivo va disatteso.

a) Per quel che riguarda la esclusione dell’obbligo di pagamento delle spese del mutuo accollato, la denuncia si risolve nella (inammissibile) censura della interpretazione della volontà negoziale quale si sarebbe consacrata nelle summenzionate scritture. Al riguardo, va ricordato che l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare – in relazione al contenuto del testo contrattuale – l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, chè altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione. Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso legittimità; l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass.7500/2007; 24539/2009).

b) La sentenza ha correttamente ritenuto necessaria una indagine tecnica evidentemente di natura contabile, avendo evidenziato che era emersa una contestazione da parte del S. del calcolo compiuto dagli eredi Sm.: tale affermazione non è stata neppure specificamente censurata.

3.1. – Il terzo motivo censura la sentenza per avere ammesso la consulenza tecnica per stabilire le spese relative ai lavori condominiali realizzati dal convenuto, quando come era stato dedotto con l’appello – essi dovevano essere determinati in base alle spese documentate ed accertate e non in base a quelle accertande; così facendo, la determinazione era stata compiuta in base ai prezzi dell’epoca notevolmente mutevoli e penalizzanti in difformità degli accordi e riconoscendo allo Sm. un termine di trenta mesi per la realizzazione delle opere condominiali.

3.2. Il motivo è infondato.

La sentenza ha ritenuto che, avendo le spese ad oggetto i lavori alle parti condominiali realizzati dal convenuto e che le parti si erano riferite alle spese non solo documentate ma anche a quelle accertate, ha ritenuto indispensabile una indegne tecnica per la verifica delle opere e del relativo costo, essendovi contestazione fra le parti che evidentemente non avevano raggiunto un accordo (accertamento) sulla stima delle opere medesime.

Il criterio seguito per la determinazione in base ai prezzi medi si fonda su un accertamento delle epoche di realizzazione che ha a oggetto una indagine di fatto che e insindacabile in sede di legittimità ove come nella specie sia adeguatamente motivata.

Orbene, le critiche formulate dal ricorrente non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a sostenere l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai Giudici. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.

4.1. -Il quarto motivo censura la sentenza laddove aveva escluso che l’attore avesse offerto la prova del maggior danno conseguente, ex art. 1224 c.c., alla mancata corresponsione della quota di mutuo dovutagli dal convenuto: tale somma – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte – era destinata esclusivamente alla ultimazione dei tre appartamenti di sua proprietà ai quali la quota si riferiva; aveva prodotto fatture che in buona parte si riferivano anche al 1973 e, quindi, erano idonee a fornire elementi utili per provare i maggiori costi sopportati per la ultimazione avvenuta nel 1978 e che avrebbero dovuto essere verificati con la richiesta consulenza tecnica di ufficio. Irrilevante era il riferimento alle esposizioni bancarie, avendo la Corte posto a carico all’attore l’onere di dimostrare le maggiori difficoltà economiche, così spostando l’indagine dalla prova del danno alla sua causalità. Il creditore deve solo provare la destinazione alternativa che la somma messa a disposizione avrebbe avuto: nella specie, la destinazione delle somme dovute era già stabilita, mentre era in atti la prova della esposizione bancaria.

4.2. – Il motivo è infondato.

La sentenza ha verificato : a) il nesso di causalità tra il fatto generatore del danno, posto a base della domanda (il mancato pagamento della quota del mutuo dovuta all’attore) e le conseguenze pregiudizievoli sul suo patrimonio; b) che l’attore non aveva provato di non essere stato in grado di eseguire i lavori per effetto del mancato adempimento dello Sm.; c) di non avere dimostrato di essere dovuto ricorrere ai prestiti onerosissimi ai quali era stato per l’appunto l’attore a fare riferimento per sostenere il danno lamentato.

Orbene, l’accertamento dei maggiori costi sopportati appare inconferente nel momento in cui non è stata provato che la mancata tempestiva esecuzione dei lavori, all’epoca in cui avrebbero dovuto secondo contratto essere eseguiti, sia stata determinata dal mancato pagamento della quota di mutuo, posto che la maggiore onerosità delle opere realizzate in un periodo di tempo successivo intanto assume rilievo in quanto sia una conseguenza dovuta a quell’inadempimento.

Per quel che riguarda la svalutazione monetaria, il ricorrente non ha in alcun modo dimostrato di avere compiuto tale richiesta, che anzi è smentita dalle stesse argomentazioni fatte valere a sostegno del pregiudizio risentito, atteso che il creditore di una obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere di domandare il risarcimento del “maggior danno” ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, e non può limitarsi a domandare semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo quest’ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta (S.U. 5743/2015): avrebbe dovuto trascrivere il contenuto della domanda eventualmente proposta nel giudizio di merito.

5. Il quinto motivo, nel lamentare la erronea determinazione del termine iniziale della revisione(prezzi), censura la sentenza che aveva fatto riferimento al 12-5-1969, individuandola quale data di perfezionamento del contratto, senza considerare che alla data del l3-1989 si era già formata definitivamente la volontà contrattuale e non già solo manifestata con l’offerta del S., tanti è vero che a questa fecero riferimento le parti nella scrittura del 12/5/1969 che era meramente confermativa della precedente. Erroneamente, la sentenza aveva escluso l’applicabilità delle norme in materia di appalto pubblico.

5.2. Il motivo è infondato.

La censura si risolve nella denuncia dell’ interpretazione del contratto. Correttamente la sentenza ha evidenziato che nel contratto di appalto privato la revisione deve avere come termine iniziale il momento in cui si cristallizzi in modo definitivo la volontà, posto che è a tale riferimento temporale che le parti hanno ancorato la valutazione e la stima delle rispettive prestazioni e la loro incidenza nell’equilibrio contrattuale, laddove l’art. 1664 c.c. prende in considerazione gli eventi non prevedibili che abbiano alterato il sinallagma; sotto il profilo dell’assetto degli interessi sottostante al (e definito con il) negozio è stata posta in evidenza la diversità del procedimento di formazione della volontà contrattuale nel procedimento dell’appalto pubblico.

6.1. Il sesto motivo denuncia che la sentenza aveva fatto decorrere dalla domanda e non dall’atto di costituzione in mora gli interessi anche su somme liquide.

6.2. Il motivo è infondato.

La sentenza ha ritenuto che, essendo oggetto di contestazione e di accertamento giudiziale, anche i crediti summenzionati non fossero liquidi ma dovessero essere liquidati con la sentenza.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato soccombente.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della resistente A. delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per onorari di avvocato oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2016

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