Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20830 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 21/07/2021, (ud. 25/06/2020, dep. 21/07/2021), n.20830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 348/2020 proposto da:

D.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIO NOVELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 615/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 03/05/2019 R.G.N. 389/2018.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte territoriale di Ancona, con sentenza pubblicata in data 3.5.2019, ha rigettato l’appello proposto da D.M., cittadino della Costa d’Avorio, avverso l’ordinanza, resa dal Tribunale della stessa sede il 25.1.2018, che aveva respinto il ricorso del medesimo avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’Interno – Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona, con il quale erano state disattese le domande del richiedente, dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, ovvero del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6;

2. la Corte di merito ha osservato che le ragioni addotte dal medesimo a sostegno dell’espatrio non integrano in alcun modo il rischio di una persecuzione determinata da ragioni politiche, religiose, razziali o di appartenenza ad un determinato gruppo sociale, secondo quanto dispone del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, ma appaiono collegate a vicende personali e familiari, che hanno spinto il D. a venire in Europa, avendo egli riferito di essere fuggito dopo l’uccisione della madre, leader delle donne del suo quartiere appartenenti al movimento (OMISSIS), asseritamente avvenuta per mano dell’esercito governativo;

3. circa la richiesta di protezione sussidiaria, la Corte ha osservato che “la situazione politica e sociale in Costa d’Avorio rende del tutto infondati i timori del richiedente di poter subire un grave danno in caso di rimpatrio”; pertanto, ha negato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b);

4. infine, i giudici di appello hanno negato che, nella fattispecie, possano configurarsi particolari profili di vulnerabilità atti a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché la storia personale del ricorrente non consente di ritrovare riferimenti ad una condizione di menomata dignità vissuta in patria, né ad una personale situazione di vulnerabilità da proteggere;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il D. articolando cinque motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

6. il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la “omessa pronuncia sui motivi di gravame. Mancanza di motivazione. Motivazione apparente”;

2. con il secondo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5;

3. con il terzo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

4. con il quarto motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8;

5. con il quinto motivo di denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

6. il primo motivo è inammissibile, in quanto, a prescindere dalla non conferenza del parametro indicato, si osserva che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” ” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, il 3.5.2019, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata; infine, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il ricorrente non ha prodotto, né indicato tra i documenti offerti in comunicazione, l’atto di gravame, in ordine ai motivi del quale si lamenta l’omessa pronunzia (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013);

7. gli altri quattro motivi – che censurano il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria non sono fondati, poiché la Corte distrettuale, esaminati gli atti, ha motivatamente affermato che il racconto del ricorrente non supera il vaglio di credibilità, ed inoltre, sembra collegato a motivi di carattere prevalentemente personale: a fronte di ciò, non può invocarsi l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice, che non può essere volta a supplire ad una carenza probatoria totale, in modo da attribuire al giudice una funzione sostitutiva degli oneri di parte (v., ex plurimis, Cass., SS.UU. n. 11353/2004; Cass. nn. 13694/2014; 6205/2010; 17102/2009). Va, altresì, sottolineato che la ritenuta non credibilità del racconto integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito (del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c)) e, quindi, censurabile in Cassazione soltanto entro i limiti rigorosi prescritti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie non rispettati (v., tra le altre, Cass. n. 3340/2019); inoltre, anche l’accertamento della sussistenza di una violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale (nella fattispecie motivatamente esclusa dalla Corte di Appello), ai fini della protezione sussidiaria – da interpretare anche in conformità alle fonti normative e giurisprudenziali Eurounitarie (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE; Corte Giust 30.1.2014, D.) – implica un apprezzamento di fatto di competenza esclusiva del giudice di merito, altresì censurabile nei richiamati limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

7.1. in ordine al rilascio del permesso di soggiorno, i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che l’appellante non ha evidenziato elementi significativi di integrazione, né ulteriori condizioni di vulnerabilità, oggettiva e soggettiva; la decisione impugnata, pertanto, appare in linea con gli arresti giurisprudenziali di questa Corte, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione in Italia “deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza” (cfr., tra le altre, Cass. nn. 29857/2020; 4455/2018);

8. per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

9. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, non essendo stata svolta attività difensiva dal Ministero intimato;

10. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

 

 

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