Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2083 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 25/01/2022, (ud. 07/10/2021, dep. 25/01/2022), n.2083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12381-2016 proposto da:

B.E., S.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

LARGO MESSICO 7, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE

GRANARA;

– ricorrenti –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati TERESA OTTOLINI e LUCIANA ROMEO, che

lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 51/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 12/02/2016 R.G.N. 446/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/10/2021 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE.

 

Fatto

Rilevato che:

1. la Corte di appello di Genova ha respinto l’impugnazione avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda degli odierni ricorrenti, in qualità di eredi di S.C., volta al riconoscimento, in favore del dante causa, dei benefici per l’esposizione ultradecennale all’amianto;

2. in estrema sintesi, la Corte di appello ha ripercosso gli snodi essenziali della vicenda concreta. A tale riguardo, la Corte territoriale ha osservato che, in merito alla domanda promossa dal de cuius, era già intervenuta una pronuncia di rigetto, resa dal medesimo Tribunale e passata in cosa giudicata. All’esito di tale giudizio, il S. chiedeva all’INAIL il riesame della sua posizione sul presupposto che altri colleghi, nella stessa situazione lavorativa, avevano, invece, ottenuto pronunce loro favorevoli. L’assenza di una risposta motivata (alla richiesta di riesame, in sede amministrativa, della determinazione di rigetto) induceva gli eredi alla proposizione del nuovo ricorso;

3. ciò chiarito in fatto, per la Corte di appello, la domanda degli eredi era infondata perché, per un verso, l’INAIL aveva motivato le ragioni del diniego, opponendo il giudicato favorevole all’Istituto, e, per altro verso, perché il preteso “ricorso all’equità” non rappresentava criterio di valutazione, dovendo l’Istituto basare le sue determinazioni esclusivamente su pareri di natura tecnica;

4. avverso la decisione, gli eredi hanno proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, successivamente illustrati con memoria, cui ha resistito, con controricorso, l’INAIL.

Diritto

Considerato che:

5. con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare, è denunciato l’omesso esame della deduzione di carenza di motivazione (del provvedimento) della PA sulla richiesta di riesame del primo provvedimento di rigetto;

6. con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 24 Cost., comma 2, per illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione;

7. con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies (annullamento d’ufficio) per la negazione della natura discrezionale del potere di annullamento d’ufficio in autotutela;

8. i tre motivi, per la loro stretta connessione, vanno congiuntamente esaminati;

9. partendo dalla deduzione di violazione di legge del terzo motivo, osserva il Collegio che la stessa è prospettata attraverso il richiamo di una disciplina (la L. n. 241 del 1990) che non ha alcuna rilevanza nell’odierno giudizio avente ad oggetto non l’atto (amministrativo) ma la tutela di una situazione di diritto soggettivo: nello specifico, quella del dante causa al riconoscimento dei benefici collegati all’esposizione all’amianto;

10. la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni chiarito come le prescrizioni dettate dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, non abbiano alcuna incidenza sul rapporto obbligatorio di natura previdenziale (Cass. n. 31954 del 2019; Cass. n. 20604 del 2014; Cass. n. 9986 del 2009, Cass. n. 2804 del 2003) che prescinde dal tenore dei provvedimenti di risposta emessi dall’ente assicurativo e nasce, ex lege, al verificarsi dei requisiti previsti;

11. ne consegue che dinanzi al giudice ordinario “l’assicurato non può (…) fondare la pretesa giudiziale di pagamento della prestazione previdenziale su eventuali disfunzioni procedimentali addebitabili all’istituto o su una carente o insufficiente motivazione del provvedimento di diniego della prestazione” (tra le altre, v., in motiv., Cass. n. 31954 del 2019 cit.). Egli (l’assicurato) deve, invece, allegare e provare i fatti costitutivi dell’obbligazione pretesa o, diversamente detto, i requisiti costitutivi del suo diritto;

12. da tanto, discende l’inammissibilità anche delle ulteriori censure;

13. per un verso, le omissioni addebitate alla sentenza si pongano del tutto al di fuori del parametro normativo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non risultando illustrato il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo, secondo gli enunciati di Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici);

14. per altro verso, non è prospettata una situazione di anomalia motivazionale;

15. come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. un., n. 19881 del 2014; Cass., sez. un., n. 8053 del 2014) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un “error in procedendo” che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, non essendo invece più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione (Cass., sez. un., n. 14477 del 2015; ex multis, tra le sezioni semplici, Cass. n. 31543 del 2018);

16. è stato, peraltro, precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass., sez.un., n. 22232 del 2016). Evenienze queste che non si riscontrano nella sentenza impugnata perché la Corte territoriale, sia pure per ragioni diverse da quelle qui chiarite, ha palesato le ragioni della decisione evidenziando, da un lato, che l’atto amministrativo era motivato (avendo l’istituto opposto alla richiesta di riesame il giudicato in sede giudiziale) e, dall’altro, che l’istanza di riesame in sede amministrativa era fondata su una circostanza (il diverso esito dei giudizi dei colleghi del dante causa) non rilevante;

17. con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 9, comma 1-bis, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per avere la Corte di appello condannato i ricorrenti al pagamento del doppio del contributo unificato in difetto della soglia di reddito per il versamento dello stesso;

18. anche il quarto motivo è inammissibile;

19. la declaratoria di sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, in ragione dell’integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, non ha natura di condanna – non riguardando l’oggetto del contendere tra le parti in causa – bensì la funzione di agevolare l’accertamento amministrativo; pertanto, tale dichiarazione non preclude la contestazione nelle competenti sedi da parte dell’amministrazione ovvero del privato, ma non può formare oggetto di impugnazione (Cass. n. 29424 del 2019; Cass. n. 27131 del 2020; in motivazione anche Cass. n. 16728 del 2021, paragrafi 11 e ss).

20. in tema di raddoppio del contributo unificato a carico della parte impugnante, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, l’attestazione del giudice dell’impugnazione di sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’importo ulteriore (c.d. doppio contributo) può essere condizionata all’effettiva debenza del contributo unificato iniziale, che spetta all’amministrazione giudiziaria accertare, tenendo conto di cause di esenzione o di prenotazione a debito, originarie o sopravvenute, e del loro eventuale venir meno (Cass., sez. un., n. 4315 del 2020);

21. sulla base delle esposte argomentazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile, con le spese, che seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo;

22. sussistono, in ragione dell’esito della lite, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

 

 

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