Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20827 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/09/2020, (ud. 15/11/2019, dep. 30/09/2020), n.20827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19096/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

MARIA CECILIA HOSPITAL s.p.a. già VILLA MARIA CECILIA HOSPITAL

s.p.a. in persona del suo legale rappresentante pro tempore

rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’Avv. Giovanni

Paolo Ballariano (PEC avvgiovannipaoloballariano.puntopec.it).

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Emilia Romagna n. 41/12/12 depositata il E/06/2012, non

notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2019 dal Consigliere Dott. Succio Roberto;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. De Augustinis Umberto che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito l’avvocato della Stato Generoso Di Leo e l’avvocato Giovanni

Paolo Ballariano che hanno chiesto rispettivamente l’accoglimento e

il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con l’avviso di accertamento impugnato nel presente giudizio l’Amministrazione Finanziaria accertava una maggior iva per l’anno 2005 rispetto al dichiarato, per Euro 48.323,00 oltre a interessi e sanzioni come per legge.

Rilevava in sintesi l’Ufficio come – a seguito di pvc della Gdf di Ravenna – i corrispettivi per prestazioni sanitarie svolta a favore dell’Istituto Sicurezza Sociale di San Marino non fossero da ritenersi esenti da Iva D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10, comma 1, punto n. 19, poichè la convenzione che disciplinava detti rapporti aveva riguardo unicamente ai rapporti tra Sanità pubblica e casa di cura privata in relazione a prestazioni erogate a favore di soggetti ammessi ad avvalersi del servizio sanitario nazionale.

La società ricorrente impugnava l’atto de quo di fronte alla CTP di Ravenna sostenendo in sintesi la sussistenza dell’esenzione in parola in quanto la convenzione applicabile a tali rapporti (ratificata con L. n. 432 del 1975) prevedeva espressamente all’art. 49 un obbligo di reciprocità in materia di esenzioni da imposte, tasse e diritti previste dalle legislazioni di uno dei due stati contraenti.

La CTP accoglieva il ricorso del contribuente.

Appellava l’Ufficio fronte alla CTR; il giudice dell’appello respingeva l’impugnazione e confermava la sentenza di prime cure.

Ricorre a questa Corte di cassazione l’Amministrazione Finanziaria con atto affidato a due motivi; la società resiste con controricorso che illustra con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 19 nonchè della L. n. 432 del 1975, artt. 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto che le prestazioni oggetto di contestazione non fossero “prestazioni libere”, ossia rese nei confronti di cittadini italiani che hanno rinunciato ad avvalersi del servizio sanitario nazionale o – caso che qui interessa – nei confronti di soggetti stranieri, a condizioni analoghe, quindi, a quelle rese dagli organismi sanitari pubblici.

Ne deriverebbe che, avendo la società contribuente effettuato a favore di cittadini sammarinesi prestazioni secondo tariffe triple rispetto a quelle applicate ai cittadini di Imola, l’ammontare eccedente rispetto a quest’ultima tariffa andrebbe assoggettato ad IVA.

Il secondo motivo di gravame si incentra sulla insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuto senza adeguata motivazione esenti le prestazioni oggetto di rilievo senza considerare che dette prestazioni, in quanto rese a stranieri e a importi tripli rispetto a quelli praticati a beneficiari italiani, andavano – per la differenza di prezzo – ritenute prestazioni “libere” quindi da assoggettarsi ad iva.

I motivi possono trattarsi congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono privi di fondamento.

Indipendentemente dalle previsioni legislative di origine convenzionale, stante la natura di tributo armonizzato dell’iva, è chiaro che la disciplina di riferimento che qui interessa, come è noto, è in via prioritaria quella del diritto unionale.

L’art. 132, paragrafo 1, della direttiva IVA, contenuto al capo 2, recante il titolo “Esenzioni a favore di alcune attività di interesse pubblico”, del titolo IX della stessa, prevede quanto segue: “Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: b) l’ospedalizzazione e le cure mediche nonchè le operazioni ad esse strettamente connesse, assicurate da enti di diritto pubblico oppure, a condizioni sociali analoghe a quelle vigenti per i medesimi, da istituti ospedalieri, centri medici e diagnostici e altri istituti della stessa natura debitamente riconosciuti.

Il riferimento operato dal legislatore dell’Unione prevede che l’esenzione sia necessariamente applicata dagli Stati membri (l’uso dell’indicativo “esentano” non lascia spazio a dubbi di sorta, in proposito in ordine alla sussistenza di un vero obbligo direttamente coercibile e non di una mera facoltà in capo agli Stati stessi) quando le prestazioni in oggetto siano assicurate da enti pubblici o da enti “della stessa natura debitamente riconosciuti”.

Il legislatore comunitario dispone quindi direttamente il regime di esenzione, cosicchè non è indispensabile una disciplina di attuazione nel singolo Paese membro: e non solo, lo fa prescindendo da ogni considerazione di tipo soggettivo, come meglio precisa, poi – per esempio – in materia di cure mediche e prestazioni connesse.

E’ quindi necessario e sufficiente ai fini dell’esenzione che gli enti siano individuati, nelle forme convenzionali riservate alla disciplina dei singoli stati membri, come idonei a fornire tali prestazioni.

In argomento, questa Corte si è dimostrata coerente con la sopra indicata affermazione; essa ha stabilito anche recentemente, e con pronuncia chiaramente motivata (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9218 del 03/04/2019) che l’esenzione dall’IVA prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, nn. 18 e 19 (nel testo applicabile “ratione temporis”) non opera per le prestazioni accessorie rese da una casa di cura non convenzionata, atteso che detta norma contempla il beneficio anche per gli enti aventi scopi lucrativi, purchè previamente convenzionati.

Con ciò si è ulteriormente confermata la centralità e sufficienza del requisito della sussistenza del rapporto convenzionale ai fini dell’applicazione dell’esenzione. Dal momento che la norma comprende anche i centri diagnostici e medici, diversi da quelli riconducibili ad organismi di diritto pubblico, purchè le prestazioni di cura e connesse (evidentemente, anche quelle diagnostiche e simili), siano rese ed assicurate a “condizioni sociali” – dice la norma – “analoghe” a quelle vigenti per gli organismi pubblici.

Torna ad evidenza la ratio del disposto generale (art. 4, VI direttiva), che regola il profilo soggettivo ed esclude regimi difformi per attività soggette a disciplina di diritto pubblico interno, sostanzialmente indifferente allo “statuto” pubblico o privato del prestatore, o non significativamente differenziata (sotto il profilo dell’espressione di poteri autoritativi o intrinsecamente e tipicamente pubblici). Quando l’accesso alla tutela e cura della salute ricada in un regime “socialmente” egalitario, sia che operino soggetti pubblici, sia che lo facciano strutture private, va riconosciuto il regime di esenzione di cui all’art. 13 riportato.

E’ incontroverso nel caso di specie, risultando sul punto un preciso accertamento di fatto operato dalla CTR non più sindacabile in questa sede di Legittimità, che la contribuente società sia munita di detta qualità di soggetto convenzionato.

L’argomentare dell’Erario in ordine poi all’ulteriore profilo connesso con il prezzo della prestazione, che renderebbe le prestazioni “libere” e non più esenti, presuppone pure l’esame del diritto dell’Unione.

Sul punto specifico osserva la Corte come non risulti invero dalle previsioni sovranazionali che il prezzo o costo della prestazione, la ricerca del profitto da parte del prestatore, abbiano rilevanza ai fini di stabilire la sussistenza o meno dell’esenzione.

Infatti, in altra sede, il legislatore unionale – dove lo ha inteso – ha espressamente previsto tale effetto; di guisa che in difetto di espressa previsione in tal senso deve ritenersi che ciò non possa dedursi in via meramente interpretativa.

Ciò avviene esattamente quanto all’art. 13, parte A, della sesta direttiva: esso dispone quanto segue: “1. Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, glì Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:

g) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l’assistenza sociale e la sicurezza sociale, comprese quelle fornite dalle case di riposo, effettuate da organismi di diritto pubblico o da altri organismi riconosciuti come aventi carattere sociale dallo Stato membro interessato;

2. a) Gli Stati membri possono subordinare, caso per caso, la concessione, ad enti diversi da quelli di diritto pubblico, di ciascuna delle esenzioni previste al paragrafo 1, lettera b), g), h), i), l), m) e n) all’osservanza di una o più delle seguenti condizioni:

– gli enti di cui trattasi non devono avere per fine la ricerca sistematica del profitto: gli eventuali profitti non dovranno mai essere distribuiti ma dovranno essere destinati al mantenimento o al miglioramento delle prestazioni fornite;

– essi devono essere gestiti ed amministrati a titolo essenzialmente gratuito da persone che non hanno di per sè o per interposta persona alcun interesse diretto o indiretto ai risultati della gestione;

– essi devono praticare prezzi approvati dalle autorità pubbliche o che non superino detti prezzi approvati, ovvero, per le operazioni i cui prezzi non sono sottoposti ad approvazione, praticare prezzi inferiori a quelli richiesti per servizi analoghi da imprese commerciali soggette all'(IVA);

– le esenzioni non devono essere tali da provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all'(IVA).

E’ quindi da escludersi, non trovandosi alcun elemento testuale in tal senso nella disciplina dedicata alle prestazioni mediche, ma ritrovando invece previsioni chiare in tal senso solo in quella dedicata alle prestazioni connesse con l’assistenza sociale e la sicurezza sociale, che il legislatore della Direttiva abbia inteso escludere o consentire agli Stati membri di escludere l’esenzione da iva in forza di una ricerca del profitto da parte del prestatore del servizio o di una differenziata dosimetria del prezzo applicato alle prestazioni sanitarie.

La concreta determinazione degli ammontari delle prestazioni, quindi, rimane elemento di mero fatto – lasciato alle regolamentazioni convenzionali tra Stati, in questo caso, e sottratto alle valutazioni di rilevanza tributaria – del tutto inidoneo sia dal punto di vista logico sia dal punto di vista giuridico a mutare natura della prestazione svolta. Essa resta quindi prestazione sanitaria esente anche ove fornita a cittadino straniero come in questo caso accade, e indipendentemente dalle previsioni oggetto prima di convenzione tra gli Stati del prestatore e dei beneficiari, quindi di recepimento legislativo nell’ordinamento giuridico dei singoli Stati.

Il ricorso, nel suo complesso, è pertanto rigettato.

Alla luce della novità della questione posta, le spese di tutti i gradi di giudizio sono integralmente compensate.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Compensa le spese di tutti i gradi del giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 30 settembre 2020

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