Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20826 del 14/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 14/10/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 14/10/2016), n.20826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24531/2011 proposto da:

P.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MONTEFALCO 61, presso lo studio dell’avvocato ANDREA COLACURTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO BETTINI;

– ricorrente –

contro

PI.MA.GR., C.F. (OMISSIS), F.M. C.F.

(OMISSIS), R.V. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentate e difese dall’Avv. STEFANIA OSTAN;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2667/2011 del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata

il 22/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

F.M., Pi.Ma.Gr. e R.V., quali proprietarie di tre villette a schiera in Comune di (OMISSIS), convenivano il loro vicino confinante P.R. innanzi al Giudice di Pace di Iseo al fine di sentirlo condannare all’estirpazione o, in subordine, al taglio fino ad una altezza non superiore a due metri e mezzi di piante di cipresso ad alto fusto (nella specie di tipo cupressus lailandi) poste ad una distanza inferiore di metri tre dal confine in violazione all’art. 892 c.c., comma 1, n. 1.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, contestava l’avversa domanda, di cui chiedeva il rigetto.

Il Giudice di prime cure, con sentenza del 17 aprile 2004 ed in parziale accoglimento della domanda attorea, condannava il convenuto a recidere tronchi e ramificazioni delle suddette piante ad una altezza non superiore a due metri ed a mantenere tale limite mediante periodiche potature.

Avverso la suddetta decisione, di cui chiedeva la riforma, interponeva appello il P..

Resistevano all’interposto gravame, di cui chiedevano il rigetto, le originarie attrici, che svolgevano appello incidentale per l’accoglimento della domanda principale di estirpazione delle piante.

Il Tribunale di Brescia, in funzione di Giudice di Appello, con sentenza n. 2667/2011, respingeva l’appello principale ed, in accoglimento di quello incidentale, condannava, così riformando l’appellata sentenza, il P. all’estirpazione degli alberi per cui è causa, nonchè alle spese del giudizio.

Per la cassazione della suddetta decisione ricorre il P. con atto affidato a cinque ordini di motivi.

Resistono con controricorso le parti intimate.

Ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il P..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 894 c.c., nonchè degli artt. 81 e 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea valutazione della legittimazione attiva dell’occupante sine titulo del fondo leso, specie quando il proprietario del fondo su cui insistono gli alberi coincida con il proprietario del fondo leso.

Con il motivo si postula, in sostanza, che lo stesso odierno alla ricorrente sarebbe proprietario del fondo che controparti asseriscono pregiudicato dalla piantumazione illegale.

Al di là di ogni altra considerazione (mancanza di autosufficienza, in punto, del ricorso a fronte della controdeduzione relativa alla produzione del legittimo titolo di acquisto della superficie lesa dalla piantumazione) va affermato che i Giudice del merito hanno correttamente ritenuta la legittimazione delle odierne parti controricorrenti.

A tali ultime, anche quali vicine dell’appellante e così pacificamente risultanti, spettava la legittimazione attiva.

Il motivo deve, pertanto, essere respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 892 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inesatta affermazione del principio secondo cui, ai fini della qualificazione di un insieme di alberi come siepe, sia necessaria una recisione periodica dell’albero vicino al ceppo.

Il motivo non è fondato.

Solo, infatti, la recisione periodica di una pianta non qualificata come di alto fusto può permettere la qualificazione di una insieme di tali pianti come siepe.

Al riguardi deve ribadirsi in condiviso e già affermato orientamento di questa Corte per cui “gli alberi di alto fusto che, a norma dell’art. 892 c.c., n. 1, debbono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta classificata in botanica come “di alto fusi ovvero, quando si tratti di pianta non classificata come di alto fusto, con riguardo allo sviluppo da essa assunto in concreto”.

Il tutto tenendo sempre presente – quale generale previsione – come “ai fini della distanza dal confine, l’art. 892 c.c., distingue le siepi formate da arbusti, da piante basse, da canneti, con esclusione degli alberi di alto e medio fusto – purchè oggetto di periodica recisione vicino al ceppo, che impedisce la crescita in altezza e favorisce la larghezza, rendendo, così possibile l’avvicinamento dei rami e dei vari alberi e la formazione della formazione o barriere contro gli agenti esterni – le quali devono osservare la distanza di un metro dal confine” (Cass. civ., Sent. 25 marzo 1999, n. 2830).

Il motivo in esame deve, pertanto, essere respinto.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta l’omessa ed insufficiente motivazione per il mancato riferimento alla funzione di barriera contro gli agenti esterni svolta dal filare di cipressi piantato sul fondo del ricorrente.

Il motivo, anche alla stregua, di quanto innanzi già affermato non può essere accolto.

In ogni caso l’addotta censura attiene eminentemente ad una valutazione in punto di fatto già adeguatamente svolta dal Giudice del merito con la impugnata sentenza, immune da vizi logici censurabili innanzi a questa Corte.

Si appalesa, pertanto, come parte ricorrente con la doglianza in esame intenda sostanzialmente perseguire l’inammissibile finalità di una rivalutazione in fatto.

Per di più e conclusivamente va riaffermato il principio per cui “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga una totale obliterazione di elementi” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148).

Nè, d’altra parte, “il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, può equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 no novembre 2013, n. 25608).

Il motivo è, quindi, inammissibile.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 892 c.c., comma 1, nn. 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea qualificazione come alberi di alto fusto, ancorchè ramifichino a distanza dal suolo notevolmente inferiore ai tre metri.

Il motivo, introdotto come censura relativa a vizio di violazione di legge, svolge – in effetti – una doglianza che attinge, nella sostanza, ad una valutazione di merito.

Questa attiene, invero, alla “qualificazione come alberi di alto fusto” orbene tale è una valutazione in punto di fatto già svolta e sostenuta da adeguata motivazione logica ed immune da vizi censurabili dal Giudice del merito, che – in ogni caso ha fatto buon governo delle norme e dei principi ermeneutici nella fattispecie applicabili.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

5.- Con il quinto ed ultimo motivo del ricorso s deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto l’impugnata sentenza che, ai fini della creazione di una servitù per destinazione del padre di famiglia, sia necessario che il precedente proprietario del fondo originariamente unico e successivamente diviso abbia posto in essere la situazione di fatto poi consolidatasi al preciso scopo di creare una servitù.

Anche in relazione a tale motivo deve osservarsi come con lo stesso, pur in presenza di una prospettata violazione di legge (art. 1062 c.c.), si finisca – in sostanza – col sottoporre una questione di valutazione, nel merito, di una circostanza di fatto quale “il preciso scopo di creare una servitù” insito o meno nella prospettata piantumazione del precedente unico proprietario.

Il motivo è, in ogni caso infondato.

Come già esattamente rilevato nella gravata decisione lo scopo perseguito dal precedente unico proprietario con la piantumazione de qua non era quello da dar luogo ad una servitù contraria all’art. 892 c.c., ma quello (incompatibile, per la sua stessa differente ratio, con la pretesa “destinazione del padre di famiglia”) di nascondere alla vista una concimaia all’epoca esistente.

Il motivo deve, quindi, essere respinto.

6.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso deve essere rigettato.

7.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come da dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore delle parti controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2016

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