Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20824 del 02/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 20824 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 11545-2011 proposto da:
DI

NUZZO

FRANCESCO

C.F.

DNZFNC31S17A944M,

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO D’ITALIA 102,
presso lo studio dell’avvocato PASQUALE MOSCA, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2014
2405

U

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la

Data pubblicazione: 02/10/2014

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2610/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 04/05/2010 R.G.N. 3249/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

BALESTRIERI;
udito l’Avvocato MOSCA PASQUALE;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per:
in via principale inammissibilità in subordine
rigetto.

udienza del 08/07/2014 dal Consigliere Dott. FEDERICO

Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Roma, depositato il 17.2.05, Francesco
Di Nuzzo esponeva di aver prestato servizio alle dipendenze della
ex amministrazione P.T., con la qualifica di dirigente, sino al
17.11.96, allorquando l’Ente Poste Italiane gli aveva comunicato
il suo collocamento a riposo per raggiungimento della massima
anzianità contributiva, ai sensi dell’articolo 22 del C.C.N.L. di

Aggiungeva di aver impugnato il licenziamento e di essersi rivolto
al Pretore di Roma che, con sentenza n. 6626/99, ritenuta la
nullità della disposizione dettata dall’articolo 22 del C.C.N.L.,
aveva dichiarato la illegittimità del recesso, condannando l’ente
convenuto al pagamento in favore del ricorrente dell’indennità di
mancato preavviso e dell’indennità supplementare prevista dalle
norme collettive.
A seguito di impugnazione proposta dall’ente Poste Italiane, la
Corte di Appello di Roma, con sentenza n.1590\03, aveva
dichiarato la nullità della risoluzione del rapporto di lavoro e
rigettato le domande di pagamento dell’indennità sostitutiva del
preavviso e dell’indennità per ferie non godute, rilevando che
nella fattispecie non poteva essere ravvisato licenziamento in
senso proprio, ma solo interruzione della fattualità del rapporto,
che sul piano giuridico continuava immutato.
Il ricorrente, pertanto, con lettera raccomandata del 30 luglio
2003 aveva manifestato a Poste S.p.A., nel frattempo succeduta
all’ente Poste Italiane, la propria disponibilità a riprendere
immediatamente servizio. La comunicazione in parola non era
stata in alcun modo riscontrata dalla società convenuta sicché si
configurava una inadempienza contrattuale di quest’ultima per
non aver accettato le energie lavorative offerte dal dipendente, il
quale, sulla base di quanto statuito dalla Corte territoriale, aveva
titolo per pretendere il ripristino del rapporto.

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settore.

Cosi riassunti i termini della controversia, Francesco Di Nuzzo
chiedeva al Tribunale di Roma la condanna della società Poste
Italiane al risarcimento dei danni derivati dall’illegittima
interruzione del rapporto, da quantificarsi in misura pari alle
retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del 7 agosto 2003
(data della formale richiesta svolta dal ricorrente dopo la
sentenza n.1590\03 della Corte d’appello di Roma) sino

La società Poste si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto del
ricorso e l’accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata
con il medesimo atto. Eccepiva l’inammissibilità dell’azione per
precedente giudicato intervenuto fra le parti, precisando che la
pretesa azionata ben poteva essere fatta valere nel precedente
giudizio avente sempre ad oggetto le conseguenze pregiudizievoli
ricollegabili all’atto di recesso. Rilevava che, in ogni caso, il
rapporto doveva ritenersi risolto sulla base del comportamento
concludente tenuto dallo stesso Di Nuzzo, il quale
successivamente ad una comunicazione dell’8.11.96 non aveva
mai offerto le proprie energie lavorative, limitandosi a richiedere
il pagamento della indennità supplementare e della indennità
sostitutiva del preawiso. Aggiungeva che, in ottemperanza a
quanto statuito dal Pretore di Roma con la sentenza 6626/1999,
la società aveva corrisposto tutti gli importi riconosciuti dal primo
giudice in favore del ricorrente (L. 326.529.372), anche quelli
che, successivamente, la Corte di Appello aveva ritenuto non
dovuti. Chiedeva quindi la condanna del Di Nuzzo alla restituzione
di E.55.616,55, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi.
Con la sentenza n.6676\06 il Tribunale di Roma dichiarava il
diritto del ricorrente al ripristino del rapporto di lavoro,
condannando per l’effetto Poste Italiane S.p.A. al risarcimento
dei danni in misura pari alle retribuzioni globali di fatto maturate
dal 7 agosto 2003. Rigettava la domanda riconvenzionale,

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all’effettiva riammissione in servizio.

ritenendo non provato l’asserito pagamento delle somme chieste
in restituzione.
Awerso detta decisione proponeva tempestivo appello Poste
Italiane S.p.A. insistendo, in particolare, sulla dedotta
inammissibilità dell’azione, preclusa da precedente giudicato.
Chiedeva inoltre l’accoglimento della domanda riconvenzionale,
sottolineando che il Tribunale non poteva ritenere non provato il

difesa di Poste che, nel costituirsi in giudizio, aveva sollecitato
l’ammissione dell’interrogatorio formale del Di Nuzzo anche sulla
circostanza dell’awenuto incasso delle somme indicate nella
memoria di costituzione.
Resisteva al gravame il Di Nuzzo.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 4 maggio
2010, respingeva la domanda proposta dal lavoratore
(retribuzioni dal 7.8.03) e, in accoglimento della riconvenzionale,
lo condannava a restituire a Poste Italiane s.p.a. la somma di
E.55.616,55, oltre interessi legali, condannandolo infine al
pagamento delle spese del doppio grado.
Per la cassazione propone ricorso il Di Nuzzo, affidato a quattro
motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste la società Poste con controricorso.
Motivi della decisione
1.-Con i primi due motivi il ricorrente denuncia la violazione delle
norme sull’efficacia del giudicato, oltre ad insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
della controversia (art. 360, comma 1, nn.3 e 5 c.p.c.).
Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente
coperte dal giudicato, costituito dalla sentenza della medesima
Corte capitolina n.1590\03, anche le richieste economiche per il
periodo successivo.
Il motivo è infondato.

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pagamento senza ammettere i mezzi istruttori richiesti dalla

La sentenza impugnata ha infatti correttamente ritenuto che la
precedente sentenza n. 1590\03 della Corte capitolina, movendo
dal presupposto che la domanda proposta in primo grado doveva
essere qualificata come azione di risarcimento del danno da
illecito contrattuale, copriva interamente quest’ultimo, rendendo
improponibili ulteriori richieste di ristoro del pregiudizio subito in
conseguenza del medesimo inadempimento, salvo diverse

deduce, e tanto meno prova, attraverso la necessaria produzione
dei precedenti atti difensivi difettando comunque un appello
incidentale sul punto.
2.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 437 c.p.c., in relazione all’accoglimento
dell’appello incidentale sulla scorta della documentazione
prodotta dalla società Poste solo in grado di appello.
Lamenta che mentre il primo giudice ritenne non provata la
corresponsione della somma di E.55.616,55 e la relativa richiesta
di condanna del lavoratore alla restituzione, oggetto del gravame
incidentale ed inerente quanto versato dalla società Poste in più,
in esecuzione della sentenza n. 6626\99 del Pretore di Roma,
rispetto al dovuto come determinato dalla sentenza d’appello (n.
1590\03), la sentenza oggi impugnata ritenne ammissibile la
documentazione del pagamento da parte della società Poste,
nonostante tale documentazione ben poteva e doveva prodursi
nel precedente grado del giudizio.
Il motivo è infondato.
Deve infatti considerarsi che nella specie trattasi di verifica dei
rapporti di dare ed avere tra le parti, sicché la richiesta di
restituzione di somme versate in eccedenza dal datore di lavoro
per effetto della accertata nullità del recesso, non costituisce
oggetto di eccezione in senso stretto ed è, pertanto, anche
rilevabile d’ufficio dal giudice se le relative circostanze di fatto
risultano ritualmente acquisite al processo (Cass.n. 18093 del

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esplicite richieste che nella specie neppure l’attuale ricorrente

25/07/2013). Pertanto, allorquando vi è stata rituale allegazione
dei fatti rilevanti e gli stessi possono ritenersi incontroversi o
dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il
giudice può trarne d’ufficio (anche nel silenzio della parte
interessata ed anche se l’acquisizione possa ricondursi ad un
comportamento della controparte) tutte le conseguenze cui essi
sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal

26/10/2010).
Orbene nella fattispecie è pacifico che la società Poste abbia
tempestivamente dedotto sin dal primo grado, l’esistenza di un
versamento non dovuto al lavoratore, allegando il mandato di
pagamento in favore di questi, contenente la somma esatta
reclamata in restituzione.
Deve pertanto ritenersi che la sentenza impugnata abbia
correttamente accolto la domanda, tempestivamente proposta e
parzialmente provata da Poste sin dal primo grado, ammettendo,
anche ex art. 437 c.p.c., la documentazione dell’assegno
effettivamente versato al lavoratore (ex alils, Cass. n. 6188 del
13/03/2009). Deve inoltre rimarcarsi che l’esercizio dei poteri
istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza
dell’opportunità di integrare un quadro probatorio
tempestivamente delineato dalle parti, senza però che il giudice
possa porre rimedio ad una totale carenza di allegazione sui fatti
costitutivi della domanda o dell’eccezione, potendo soltanto
supplire ad eventuali lacune delle risultanze di causa ai fini
dell’accertamento della verità materiale (cfr. al riguardo: Cass.
Sez.Un. 20 aprile 2005 n. 8202, cui adde, ex alils, Cass. 26
maggio 2010 n. 12847; Cass. 2 febbraio 2009 n. 2577; Cass. 12
maggio 2006 n. 11039).
Risulta pertanto corretto nella specie il ricorso all’acquisizione di
ufficio, essendo la relativa allegazione della società Poste
tempestivamente formulata sin dal primo grado, accompagnata

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lavoratore illegittimamente licenziato (Cass. ord. n. 21919 del

inoltre anche da documentazione (mandato di pagamento)
ancorché ritenuta insufficiente dal Tribunale.
3.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione
dell’art. 434 c.p.c. (ed in sostanza anche dell’art. 112 c.p.c.) in
ordine all’eccezione di nullità, da esso proposta, dell’atto di
appello della società Poste, che non conteneva la chiara
esposizione degli argomenti di fatto e di diritto sui quali

Il motivo, prima ancora che infondato, essendosi il Di Nuzzo
costituito ed ampiamente difeso nel merito, è inammissibile per la
sua genericità in uno con la mancata produzione dell’atto di
gravame, necessaria in tal caso al fine di rendere possibile
l’esame diretto degli atti di causa da parte del giudice di
legittimità (Cass. sez. un. 22.5.12 n. 8077).
4.- Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
€.100,00 per esborsi, €.6.000,00 per compensi, oltre spese
generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 luglio 2014
Il Consigliere est.

Il Presidente

l’impugnazione si fondava.

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