Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20821 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. un., 21/07/2021, (ud. 11/05/2021, dep. 21/07/2021), n.20821

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di Sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5848/2020 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE

ENRICO DUNANT, 15, presso lo studio dell’avvocato GLORIA CALENDA,

rappresentata e difesa dall’avvocato TERENZIO FULVIO PONTE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI, MINISTERO

DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona dei rispettivi Ministri

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrenti –

e contro

ASSOCIAZIONE CIMEA – CENTRO DI INFORMAZIONE SULLA MOBILITA’ E LE

EQUIVALENZE ACCADEMICHE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6351/2019 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 23/09/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/05/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale Aggiunto Dott.

LUIGI SALVATO, il quale chiede che la Corte dichiari il ricorso

inammissibile.

 

Fatto

RITENUTO

1. C.C. ricorre, nei confronti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF), del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e dell’Associazione Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche (CIMEA), avverso la sentenza n. 6351 del 2019 della Terza Sezione del Consiglio di Stato, denunciando, con due motivi di impugnazione, l’eccesso di potere giurisdizionale in danno della sfera riservata all’Amministrazione.

2. Il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello proposto da essa ricorrente avverso la sentenza del TAR Lazio, Sezione Seconda Ter, n. 3610/2019, che, all’esito dell’istruttoria svolto anche attraverso l’istituto della verificazione, aveva respinto l’impugnazione del provvedimento di decadenza dall’inquadramento nei ruoli dirigenziali del MIPAAF, con risoluzione del rapporto di lavoro, stipulato il 2 marzo 2009, a tempo indeterminato con qualifica di dirigente di II fascia.

3. Il TAR affermava che l’assunzione era avvenuta in mancanza di titolo di studio equipollente a quello previsto dal bando di concorso.

4. Il Consiglio di Stato, nel confermare la sentenza di primo grado, tra l’altro, ha disatteso la deduzione della ricorrente secondo cui il TAR nel dare rilievo ad un difetto di equipollenza del titolo di studio aveva violato la disposizione che regola la fattispecie della destituzione, del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, che fa riferimento alla produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile.

5. Resistono con controricorso le Amministrazioni pubbliche.

6. L’Associazione CIMEA è rimasta intimata.

7. In prossimità della Camera di consiglio la ricorrente ha depositato memoria.

8. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

Diritto

CONSIDERATO

1. La ricorrente prospetta due motivi di ricorso.

2. Con il primo motivo deduce il difetto assoluto di giurisdizione per sconfinamento o invasione dei poteri dell’Amministrazione.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6351 del 2019, avrebbe dovuto scrutinare l’impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado per le seguenti ragioni:

vizio di ultrapetizione, in quanto il giudice amministrativo di primo grado aveva giudicato ultra petita, atteso il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di destituzione per vizi suoi propri, e non già l’accertamento di fatto della equipollenza dei titoli della ricorrente, e neppure l’annullamento in re ipsa dei provvedimenti storicamente stabili e mai neppure lambiti dalla destituzione, quali lo scioglimento di riserva del 2006, l’approvazione della graduatoria definitiva, lo scorrimento della graduatoria del 2009, e l’immissione in servizio con conseguente contratto individuale di lavoro.

L’Amministrazione non aveva mai revocato e o modificato tali atti in autotutela, mentre il giudice amministrativo li aveva superati tutti de plano, con evidente eccesso giurisdizionale, non avendone né il potere, né la cognizione non essendo detti atti oggetto di impugnazione, neppure incidentale, neppure quale atti presupposti.

La ricorrente, quindi, rappresenta che il giudice di primo grado aveva concentrato la propria attenzione sulla circostanza se la stessa avesse o meno un titolo equipollente a quelli previsti dal bando di concorso, e dunque sulla possibilità della stessa di partecipare a quest’ultimo.

Diversamente, oggetto del ricorso al TAR non era l’equipollenza, ma il provvedimento impugnato e cioè la destituzione, che era sorretta da uno scritto anonimo e da un parere personale di un dipendente dell’Università pontificia.

Il giudice amministrativo aveva dunque sconfinato nel campo della pubblica amministrazione, poiché a fronte di un provvedimento, la destituzione, claudicante sia sul piano della motivazione che per essere contra legem, mediante la verificazione aveva acquisito il dato processuale della non equipollenza, senza neppure esaminare quali esami la ricorrente avesse sostenuto.

La tesi del TAR era stata totalmente condivisa dal Consiglio di Stato

chiamato a decidere sull’appello.

La ricorrente quindi contesta la decisione del Consiglio di Stato, osservando come lo stesso abbia perpetuato l’eccesso di giurisdizione per confinamento posto in essere dal giudice di primo grado.

Il giudice amministrativo ha affermato che, ancorché la materialità del documento apparisse come vera, il TAR aveva legittimamente esercitato il potere di verificare la condizione di invalidità insanabile dello stesso, così dimenticando che la verifica era già stata eseguita della pubblica amministrazione, che nel 2006 aveva chiesto conferma della equipollenza del titolo al MIUR. Quest’ultimo l’aveva confermata, ed a seguito di ciò l’Amministrazione aveva adottato la graduatoria finale includendo la ricorrente.

Dunque, il giudice amministrativo non poteva eseguire alcuna procedura di verificazione.

L’Amministrazione adottando la destituzione aveva posto in essere un provvedimento contra actum proprium, avendo trascurato di eliminare gli atti intermedi favorevoli ad essa ricorrente.

Ebbene, tale attività era stata svolta giudice amministrativo che aveva sovrapposto gli esiti della verificazione processuale alla motivazione della destituzione, integrandone ed irrobustendone la motivazione.

La ricorrente contesta dunque il rilievo attribuito all’esito della verificazione, e l’uso che ne è stato fatto dal giudice amministrativo.

Quest’ultimo non era stato chiamato a verificare gli eventuali vizi degli atti posti in essere anni prima rispetto all’atto di destituzione che era stato impugnato.

Oggetto del contendere era l’esame di un provvedimento di destituzione.

2. Con il secondo motivo viene dedotto omesso esercizio della giurisdizione, e il diniego di giustizia, ai sensi dell’art. 24 Cost..

Essa ricorrente si era rivolta al giudice amministrativo per sentire annullare, in ragione di specifici motivi di impugnazione, il provvedimento di destituzione emesso nei propri confronti, mentre il giudice amministrativo si era occupato solo apparentemente di questo provvedimento, trasformando il giudizio nell’accertamento di una equipollenza estranea al contesto impugnatorio.

Dunque, Consiglio di Stato aveva negato la giustizia richiesta con i motivi di ricorso. Il cattivo esercizio della giurisdizione si era tradotto nel diniego di giustizia, poiché dalla lettura della sentenza si poteva comprendere solo che il titolo della ricorrente avrebbe integrato la invalidità prevista dal D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, comma 1, lett. d), ragione per cui la destituzione sarebbe stata legittima.

3. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

3.1. Gli stessi sono inammissibili.

3.2. Va premesso che i motivi inerenti alla giurisdizione ricomprendono le ipotesi in cui si denunci il difetto assoluto di giurisdizione, che si verifica quando il Consiglio di Stato affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’Amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento), nonché quelle di difetto relativo di giurisdizione, configurabile quando il giudice amministrativo affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici (ex aliis, Cass., S.U., ordinanza n. 16297 del 2021, n. 2604 del 2021, ordinanza n. 9777 del 2020).

Ne consegue che il controllo di giurisdizione non può estendersi al sindacato di sentenze cui pur si contesti di essere abnormi o anomale ovvero di essere incorse in uno stravolgimento delle norme di riferimento, né, tantomeno, al controllo di eventuali errores in procedendo o in iudicando, il cui accertamento rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni della giurisdizione, trattandosi di violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui la stessa è stata esercitata.

3.3. L’eccesso di potere giurisdizionale è stato ravvisato quando con la propria decisione il giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, istituzionalmente riservato alla pubblica amministrazione, compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà del giudicante di sostituirsi a quella dell’Amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità (così, all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi) o esclusiva o che comunque ad essa non avrebbero potuto dare ingresso (si v, ex aliis, Cass., S.U., ordinanza n. 21689 del 2019).

3.4. La ricorrente, lungi dal dimostrare, in ragione dei suddetti principi, la ricorrenza di ipotesi di travalicamento della giurisdizione amministrativa, contesta le valutazioni operate dal giudice amministrativo in ordine alla legittimità del provvedimento di destituzione.

Le censure tendono ad una diversa valutazione delle risultanze esaminate dal giudice amministrativo, ancora una volta muovendo dall’erroneo presupposto che queste Sezioni Unite possano verificare la correttezza argomentativa delle decisioni adottate dal giudice amministrativo, le valutazioni del materiale probatorio dallo stesso operate e, in definitiva, il modo di esercizio della giurisdizione.

Come questa Corte ha già affermato (Cass., S.U., ordinanza n. 6691 del 2020), è inscindibilmente connaturato alla propria funzione che l’ambito del controllo di legittimità del giudice amministrativo esiga la pienezza del sindacato non solo sul fatto sottostante il provvedimento devoluto al suo esame, ma pure sulle valutazioni, anche e soprattutto di ordine tecnico, operate dall’Amministrazione, col solo ovvio limite del divieto di sostituzione diretta di una propria scelta a quella dell’autorità amministrativa.

Non cessa quindi il giudice amministrativo di essere, in quanto tale, il giudice della legittimità, intesa come correttezza dei criteri e dei parametri applicati o considerati – tecnici o giuridici poco importa – per giungere alla concreta scelta operata dall’amministrazione, neppure se da tale valutazione discende la necessità, per questa, di conformare la propria attività ed il proprio operato alle regole di condotta, tecniche o giuridiche, individuate dal suo giudice; in altri termini, non significa sostituirsi alle scelte di merito dell’amministrazione individuare i confini entro i quali la potestà di questa, per rimanere legittima, deve restare, nemmeno quanto tale individuazione comporta il travolgimento della scelta di merito che li ha violati.

Ne consegue che non rileva alcun eventualmente improprio impiego dell’istituto della verificazione, tanto ridondando in un error in procedendo che resta del tutto all’interno dei limiti della giurisdizione speciale.

Nella specie il Consiglio di Stato ha confermato la ricostruzione del quadro regolatorio dell’istituto della destituzione, affermando che il TAR aveva fatto applicazione di tale disciplina nel sottoporre a scrutinio il materiale processuale, tenendo conto delle qualificazioni nella stessa contenute, di cui aveva dato una lettura contestualizzata, orientando la relativa esegesi in armonia con la funzione propria della norma di riferimento, così da assumere nel suo alveo operativo tutti quei casi nei quali la rappresentazione documentale della fattispecie, ad opera dell’interessato, predisposta ai fini dell’accesso al concorso per la selezione del personale da assumere nei ruoli dell’Amministrazione, è tale da costituire l’apparenza del possesso dei titoli richiesti dalla selezione, in difformità dalla situazione reale, non solo dal punto di vista dell’esistenza materiale del titolo, ma anche in termini di effetti abilitanti del titolo stesso, nei casi di insuscettibilità di quest’ultimo, ancorché vero, di conseguire gli effetti per i quali è stato formato e prodotto, che include sia l’invalidità per vizi propri, sia l’invalidità ai fini degli effetti dell’ammissione a quella specifica selezione per la quale è stato prodotto, come nel caso di un diploma di laurea diverso da quello richiesto ai fini della specifica selezione pubblica.

Il giudice amministrativo, quindi, ha affermato l’inettitudine strutturale dei titoli allegati dalla ricorrente a legittimare la partecipazione al concorso in questione nell’ambito della propria giurisdizione.

Peraltro, anche con riguardo all’asserita erronea individuazione del thema decidendum – secondo quanto prospettato dalla ricorrente, laddove si afferma che il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione della destituzione e non l’equipollenza del titolo di studio ai fini dell’accesso al concorso per dirigente – e della norma invocata, per avere il giudice amministrativo attribuito al provvedimento impugnato un contenuto diverso da quello effettivo ed avere quindi ritenuto necessario un accertamento non richiesto dalla legge, deve ugualmente escludersi la configurabilità dell’eccesso di potere giurisdizionale, trattandosi di vizi incidenti rispettivamente sull’interpretazione dell’atto amministrativo e su quella della legge da applicare, le quali, come si è sopra ricordato, costituiscono il proprium della funzione giurisdizionale, e non possono quindi dar luogo ad uno sconfinamento nell’area riservata alla discrezionalità della pubblica amministrazione (Cass., S.U., sentenza n. 5904 del 2020).

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in favore delle Amministrazioni costituite.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 5,000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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