Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2082 del 30/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 2082 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 9425-2008 proposto da:
ZINGARIELLO DOMENICO ZNGDNC51B22I193R, domiciliato ex
lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difesa dall’avvocato SPADA
GIUSEPPE giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2013
2382

DI MISCIO CARMELA interdetta in persona del suo tutore
DI

MISCIO

GIOVANNI

FRANCESCO

DMSGNN56H06D643U,

elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO
1, presso lo studio dell’avvocato MACARIO FRANCESCO,

1

Data pubblicazione: 30/01/2014

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1045/2007 della CORTE D’APPELLO
di BARI, SEZIONE AGRARIA, depositata il 28/12/2007,
R.G.N. 571/2007;

udienza del 11/12/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 21 novembre 2005, Di Miscio Luisa,
quale tutrice dell’interdetta Di Miscio Carmela, espletato il
rituale tentativo di conciliazione, chiedeva al Tribunale di
Foggia- sezione agraria- di dichiarare la cessazione al

fondi agricoli, detenuti da Zingariello Domenico, subentrato
nel 1995 al defunto padre, Pasquale Zingariello, originario
contraente. In esito al giudizio, in cui si costituiva lo
Zingariello opponendo la rinnovazione tacita del contratto,
il Tribunale adito accoglieva la domanda condannando lo
Zingariello al rilascio del fondo. Avverso tale decisione il
soccombente proponeva appello ed in esito al giudizio, in cui
si costituiva Di Miscio Giovanni Francesco, quale nuovo tutore
dell’interdetta, la Corte di Appello di Bari con sentenza
depositata in data 28 dicembre 2007 respingeva l’impugnazione
e provvedeva al governo delle spese. Avverso la detta sentenza
il soccombente ha quindi proposto ricorso per cassazione
articolato in tre motivi. Resiste con controricorso
l’interdetta Di Miscio, in persona del suo tutore.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa
applicazione degli artt.75, 182, 299 e 300 cpc, lo Zingariello
ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di
Appello erroneamente disatteso il motivo di impugnazione, con
cui egli si era doluto del fatto che in primo grado il

3

/

31.7.2005 del contratto di affitto, avente ad oggetto alcuni

Tribunale, a fronte della dichiarazione resa dal difensore
della ricorrente, riguardo alla nomina di un nuovo tutore
della Di Miscio, aveva concesso un nuovo termine per
formalizzare la costituzione in giudizio del nuovo tutore
anziché dichiarare l’interruzione del giudizio, come richiesto

La censura non coglie nel segno e deve essere disattesa per un
duplice ordine di considerazioni. Ed invero, va considerato,
in primo luogo, che le norme che disciplinano l’interruzione
del processo sono preordinate a tutela della parte colpita
dall’evento interruttivo, con la conseguenza che solo essa è
legittimata a dolersi dell’irrituale continuazione del
processo nonostante il verificarsi della causa interruttiva.
Nè la mancata interruzione del processo può essere rilevata
d’ufficio dal giudice o essere eccepita dall’altra parte come
motivo di nullità

(ex multis

Cass. n.24025/09, n. 15249/05,

8641/98, 6691/94, 6625/97).
Giova aggiungere che, nel caso di specie, come risulta dalla
sentenza impugnata, il procuratore dell’interdetta all’udienza
del 15 febbraio 2006 si limitò a comunicare che vi era stata
una sostituzione del tutore dopo l’instaurazione del giudizio
in quanto nelle more, in forza di decreto di nomina del 23
novembre 2005, che si produceva in copia, era stato nominato
come tutore il dr. Di Miscio Gerardo.
Ed è appena il caso di sottolineare che, per effetto di tale
nomina, la sig.ra Di Miscio Carmela continuava

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ad avere

da esso Zingariello.

durante il giudizio un suo rappresentante legale, onde
l’insussistenza di ogni ragione che ne giustificasse
l’interruzione. E ciò, alla luce della ratio legis che informa
l’istituto

de quo,

mirante a garantire l’effettività del

contraddittorio ed a evitare che gli eventi interruttivi

difendersi adeguatamente. Senza voler considerare gli effetti
derivanti dall’applicazione del principio di ultrattività del
mandato, operanti nella medesima fase processuale.
Passando alla seconda doglianza, articolata sotto il profilo
della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 cc e 4
legge 203/1982 nonché sotto il profilo della motivazione
omessa, insufficiente e contraddittoria, va rilevato che il
ricorrente ha censurato la sentenza di secondo grado deducendo
che la Corte di Appello, erroneamente interpretando il verbale
di conciliazione redatto innanzi all’IPA, avrebbe sbagliato
nel ritenere che l’accordo transattivo, intercorso tra le
parti, comportasse una deroga all’art.4 della legge n.203/1982
– che dispone la necessità della disdetta al fine di evitare
la tacita rinnovazione del contratto medesimo – ed escludesse
conseguentemente la rinnovabilità del contratto scaturito da
quell’accordo, una volta scaduto il termine espressamente
convenuto, pur in assenza di un esplicito obbligo al rilascio
dei terreni alla scadenza pattuita.
Il primo profilo di doglianza, attinente alla pretesa
erroneità dell’interpretazione, è inammissibile perché

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il

possano pregiudicare la possibilità di una delle parti di

ricorrente, pur

lamentando formalmente la violazione del

criterio di cui all’art.1362 cc, ha del tutto omesso di
spiegare le ragioni della pretesa

violazione del criterio

ermeneutico indicato, limitandosi a contrapporre
un’interpretazione alternativa rispetto a quelle adottata dal

competeva e senza indicare gravi lacune di motivazione,
evidenziando in tal modo che mirava ad ottenere solo una nuova
interpretazione del verbale, conforme ai suoi interessi,
interpretazione non consentita in sede di legittimità,
trattandosi di una quaestio facti riservata in quanto tale al
giudice del merito.
Quanto alle ulteriori ragioni di censura, proposte dal
ricorrente, che vanno esaminate congiuntamente in quanto sia
pure sotto diversi ed articolati profili, prospettano ragioni
di censura intimamente connesse tra loro, va detto che esse
non colgono nel segno e devono essere pertanto disattese.
A riguardo, mette conto di premettere che il giudice di
appello, al pari del giudice di primo grado, ha ritenuto che
le parti, convenendo la cessazione dell’affitto alla scadenza
del termine fissato nel verbale, senza alcun riferimento alla
possibilità di una rinnovazione tacita, volessero in realtà,
sia pure implicitamente, ma inequivocabilmente,

derogare al

precetto dell’art.4 della legge 203/1982. Tale volontà
derogatrice era desumibile da alcuni fattori peculiari che
caratterizzavano la vicenda ed, in particolare: l) la natura

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Giudice di seconde cure, senza assolvere l’onere che gli

transattiva

dell’accordo,

stipulato

con

verbale

di

conciliazione davanti all’Ipa, con l’assistenza delle
organizzazioni di categoria in una dimensione, peraltro,
pienamente derogatrice della disciplina legale 2) la mancanza
dell’autorizzazione da parte del giudice tutelare circa

Ciò premesso, corre ora l’obbligo di sottolineare come la
prima delle due considerazioni rassegnate dalla Corte di
merito sia in linea con l’orientamento della giurisprudenza di
legittimità, secondo cui l’art. 45 della legge 3 maggio 1982,
n. 203, con disposizione compatibile con gli artt. 3 e 44
Cost., consente alle parti di derogare pattiziamente, con la
garanzia dell’assistenza delle rispettive organizzazioni
professionali maggiormente rappresentative a livello
nazionale, alle norme vigenti in materia di contratti agrari
anche se inderogabili, ai sensi dell’art. 58 della legge
citata, tranne che a quelle che vietano la stipulazione dei
contratti agrari di cui al terzo coma dell’art. 45 ed il
pagamento per buona entrata. (Cass.n. 7536/2012,6328/96)
Inoltre, vale la pena di sottolineare che questa Corte, con
altra decisione strettamente in termini, ha già avuto modo di
statuire che, in tema di contratti agrari le parti possono
derogare, con l’assistenza delle organizzazioni professionali
di categoria, al disposto dell’art. 4 della legge n. 203 del
1982, che prevede la disdetta quale mezzo per impedire la
rinnovazione tacita del contratto di affitto, pur non essendo

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un’eventuale rinnovazione del contratto.

sufficiente a riguardo che esse stabiliscano un termine di
durata più breve di quello legale, essendo invece necessari
altri fatti che dimostrino in modo inequivoco la volontà di
deroga (cfr Cass.n.5983/07).
Ed è appena il caso di sottolineare come la Corte di merito

inequivocabilmente la volontà di deroga, innanzitutto, nel
carattere transattivo dell’accordo, stipulato con un verbale
di conciliazione davanti all’Ipa, con l’assistenza delle
organizzazioni di categoria; quindi, in secondo luogo, nella
necessità dell’autorizzazione da parte del giudice tutelare
riguardo all’eventuale rinnovazione del contratto,
autorizzazione mancante nel caso di specie.
Ed invero, l’accordo transattivo – così continua la Corte di
merito – in quanto tale e per sua natura escludeva il
prolungamento del contratto scaturito da quell’accordo
(prevedente peraltro la durata di ben 18 anni o quasi), oltre
il termine espressamente convenuto.
Pertanto,

proprio

dalla

natura

transattiva

dell’atto

intervenuto tra le parti, e quindi non da un mero accordo in
deroga, la Corte di merito, con una valutazione di merito di
sua competenza, ha tratto l’argomento, di per sé fondamentale,
che tra le parti vi fosse una specifica volontà di derogare
alla rinnovazione tacita, argomentando adeguatamente sul
merito della controversia con una motivazione sufficiente,

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abbia ravvisato tali ulteriori elementi, atti a comprovare

logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in
questione.
Ciò, in quanto un accordo transattivo, in quanto tale mirante
a porre fine ad una situazione di incertezza litigiosa tra le
parti, e che prevede reciproche concessioni, in relazione al

intercorrente, e, nel contempo, fissa la cessazione del
rapporto medesimo in una data precisa senza alcun riferimento
ad un eventuale prolungamento oltre il termine convenuto, può
credibilmente costituire, in un contesto derogatorio della
disciplina legale consentito dalla assistenza delle
organizzazioni di categoria, un utile e convincente elemento
da cui presumere la volontà delle parti di convenire una
deroga al disposto dell’art. 4 della legge n. 203 del 1982,
che prevede la disdetta quale mezzo per impedire la
rinnovazione tacita del contratto di affitto.
Tutto ciò premesso e considerato,ritiene questa Corte di
legittimità che, al fine di presumere la volontà di deroga,
sia sufficiente anche un solo grave elemento mentre non è
invece necessario che concorrano più elementi indiziari di
tale volontà Invero, come ha già avuto modo di statuire questa
Corte secondo un consolidato orientamento che questo Collegio
condivide, gli elementi assunti a fonte di presunzione, ai
sensi dell’art.2729 c.c. non devono essere necessariamente più
d’uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su
un solo elemento – purché grave e preciso -, e dovendosi il

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prosieguo del rapporto di affitto agrario tra loro

requisito della concordanza ritenere menzionato dalla legge
solo in previsione di un eventuale, ma non necessario,
concorso di più elementi presuntivi.
La presunzione semplice del resto non è altro che un
procedimento logico da cui il giudice desume l’esistenza di un

di una loro successione nella normalità dei casi. E evidente
pertanto che anche un solo fatto, qualora presenti i suddetti
requisiti, possa essere idoneo per una tale deduzione e
costituire quindi la fonte della presunzione.
n.4472/03, in motivazione, Cass.n. 3414/69). Ne

((Cass.
consegue

l’infondatezza della doglianza in esame.
Da ciò deriva altresì l’inammissibilità, per sopravvenuta
carenza di interesse, del terzo motivo di impugnazione,
articolato sotto il profilo della violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 424, 374 cc e 4 legge 203/1982 nonché
della motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, con
cui il ricorrente ha dedotto che la Corte di Appello avrebbe
sbagliato nel ritenere che per la rinnovazione del contratto,
dopo la scadenza pattuita con il verbale di conciliazione del
22.2.1988, fosse necessaria una nuova autorizzazione da parte
del giudice tutelare.
Ed invero, la censura de qua è inammissibile nella misura in
cui investe esclusivamente la seconda ragione per la quale è
stata ritenuta la volontà implicita di derogare alla
rinnovazione tacita, onde la sua inammissibilità per

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fatto ignoto dalla presenza di un fatto noto sul presupposto

sopravvenuta carenza di interesse, essendo risultata infondata
la censura avverso la prima ratio decidendi.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle
censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in
esame, siccome infondato, deve essere rigettato.

rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri
di cui al D.M. n.140/2012 sopravvenuto a disciplinare i
compensi professionali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida
in complessivi C 5.200,00 di cui 5.000,00 per compensi,
oltre accessori di legge, ed C 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 11.12.2013

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla

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