Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20816 del 02/10/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 20816 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: CECCHERINI ALDO

SENTENZA
P

sul ricorso 32-2013 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. (c.f. 00471850016), in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA P.L. DA PALESTRINA 47,

Data pubblicazione: 02/10/2014

presso l’avvocato LATTANZI FILIPPO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
2014
1370

ROBALDO ENZO, PIETRO FERRARIS, giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrente contro

1

REGIONE LOMBARDIA (P.I. 80050050154), in persona del
Presidente della Giunta regionale pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO
VENETO 108, presso l’avvocato GIULIANO MARIA POMPA,
rappresentata e difesa dall’avvocato FIDANI VIVIANA,

controricoxrente

avverso la sentenza n. 1541/2012 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/07/2014 dal Presidente Dott. ALDO
CECCHERINI;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato ROBALDO ENZO che
ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato POMPA
GIULIANO M., con delega, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per

giusta procura a margine del controricorso;

l’accoglimento del primo motivo, assorbimento del
secondo motivo, parzialmente assorbito il terzo
motivo, inammissibile o comunque infondato nel resto.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 4 maggio 2012 la Corte di appello di
Milano confermava la sentenza in data 22 aprile 2010 con cui
il Tribunale della stessa città aveva respinto l’opposizione
proposta dalla s.p.a. Telecom Italia avverso l’ordinanza

di una somma a titolo di «canone per l’occupazione e uso di
beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato»
e precisamente per l’attraversamento del cd. reticolo idrico
demaniale con infrastrutture della rete di telecomunicazione.
In particolare, la Corte di appello osservava che: 1) l’art.
93 del Codice delle comunicazioni elettroniche (d. lgs. n.
259/2003) stabilisce al primo comma che «le Pubbliche
Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non
possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei
servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non
siano stabiliti per legge»; nell’ambito dei canoni od oneri
stabiliti per legge devono ricomprendersi i canoni di
concessione del demanio idrico (art. 822 c.c.), la cui
determinazione ed introito sono delegati alle regioni dagli
artt. 86, comma 1, e 89, comma l, del d. lgs. n. 112/1998 e
sono stati disciplinati dalla Regione Lombardia con la legge
regionale n. 1/2000, poi sostituita dalla legge regionale n.
26/2003; ne consegue che nella specie il canone di
occupazione è prestazione imposta per legge ed è, pertanto,
fatta salva dalle norme del Codice delle telecomunicazioni;
3

ingiunzione emessa dalla Regione Lombardia per il pagamento

2) l’imposizione di un canone per l’attraversamento del
reticolo idrico non si pone in contrasto con i principi
sanciti dagli artt. 88 e 93 del d. lgs. n. 259/2003, ed in
particolare con la finalità di uniformare le condizioni di
fornitura delle reti e dei servizi di comunicazione

contesto del suo territorio pratica verso tutti i soggetti le
stesse tariffe; 3) la disciplina dettata dal d. lgs. n.
259/2003 non deroga alla disciplina del demanio idrico e,
pertanto, l’imposizione di un canone non postula che lo
stesso sia previsto da una legge successiva, condizione non
contemplata dall’art. 93 del citato d. lgs., che richiede
soltanto che la prestazione sia prevista dalla legge; 4)
l’imposizione di un canone non è in contrasto con l’art. 23
Cost. sia perché il canone in questione è previsto dalla
legge sia perché non si tratta di un’imposizione tributaria,
e neppure è in contrasto con la direttiva comunitaria
2002/20/CE, ricorrendo i requisiti di trasparenza, obiettiva
giustificazione, proporzionalità e non discriminazione; 5)
non è rilevante l’eccezione di incostituzionalità della legge
regionale n. 10/2009 (che prevede la decadenza della
concessione in caso di mancato pagamento di due annualità del
canone), in quanto la stessa non è applicabile nella specie
ratione temporis;

6) è inconferente il richiamo della

sentenza n. 450/2006 della Corte costituzionale relativa alla
imposizione di una tassa per spese di istruttoria; 7) non si
4

elettronica, poiché la Regione Lombardia nell’omogeneo

può prospettare una lesione dei principi a tutela della
concorrenza in quanto tutte le Regioni devono introitare i
di

canoni

occupazione;

indipendentemente

8)

dall’effettiva

il

canone
occupazione

è

dovuto
dell’area

concessa.

deducendo tre motivi illustrati anche con memoria. La Regione
Lombardia resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Con il primo articolato motivo la ricorrente deduce,

oltre al vizio di motivazione, la violazione dell’art. 10 del
d. lgs. n. 198/2002; degli artt. 5, 25, 35, 50, 58, 88 e 93
del d. lgs. n. 259/2003; dell’art. 2 del d. lgs. n. 112/1998;
degli artt. l, 3 e 10 della legge n. 241/1990; dell’art. 97
Cost.; degli artt. 11 e 13 nonché del 15 ° considerando della
direttiva comunitaria 2002/20/CE; degli artt. 822 e 823 c.c.;
degli artt. 90 e 92 della legge della Regione Lombardia n.
10/2003. La ricorrente a sostegno delle censure svolge le
argomentazioni che così possono sinteticamente riassumersi:
a) dagli artt. 35, 88, 93 del d. lgs. n. 259/2003 discende
che solo una legge statale successiva in tema di
telecomunicazioni può prevedere oneri o canoni ulteriori; b)
l’art. 823 c.c. non impone che i modi attraverso i quali beni
demaniali possono formare oggetto di diritti di terzi
comprendano necessariamente il pagamento di un canone; c) il
d. lgs. 112/1998 non disciplina la materia delle
5

La s.p.a. Telecom Italia propone ricorso per cassazione,

telecomunicazioni; d) la legge regionale della Lombardia n.
10/2009 e qualsiasi altra legge regionale in tema di canoni
di concessione demaniale dovrebbero ritenersi
costituzionalmente illegittime se ritenute applicabili alla
materia delle telecomunicazioni in quanto in contrasto con i

dall’art. 117 Cost. allo Stato, che nella specie ha
provveduto con il d. lgs. n. 259/2003; e) il r.d. 523/1904 ed
il r.d. 2669/1933 richiamati dall’art. 89 del d.lgs. 112/1998
non menzionano o disciplinano canoni idraulici o

di polizia

idraulica; f) l’applicazione di un canone concessorio per
l’attraversamento del demanio idrico rappresenterebbe una
duplicazione di altri oneri (indennizzo per ripristino,
COSA? e TOSAP); g) la direttiva comunitaria 2002/20/CE lascia
piena libertà agli Stati membri per la disciplina delle
modalità di utilizzazione dei beni pubblici, non prevedendo
affatto l’imposizione di canoni, la cui esclusione è, invece,
ricavabile dalla legislazione nazionale.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’erroneità
del capo della sentenza che ha considerato assolto l’onere
della prova a carico della Regione con la produzione del
provvedimento concessorio senza la prova di una effettiva
occupazione.
Con il terzo motivo si lamenta la mancata riunione dei
numerosi giudizi aventi ad oggetto controversie connesse
soggettivamente ed oggettivamente. Con lo stesso motivo si
6

principi fondamentali, la cui determinazione è riservata

censura la condanna della s.p.a. Telecom al pagamento delle
spese processuali liquidate in g 2.000,00 per ciascuno dei
giudizi e perciò in un importo notevolmente superiore a
quello recato dall’ordinanza opposta.

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Il primo motivo è fondato.

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Con il Codice delle comunicazioni elettroniche (d. lgs. n.
259/2003) l’Italia ha recepito, come dimostra la loro
menzione nel preambolo, le direttive quadro sulle
comunicazioni elettroniche, emanate nelle date del 7 marzo
2002 e del 16 settembre 2002 dal Parlamento europeo e dal
Consiglio (direttiva 2002/19/CE, relativa all’accesso alle
reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e
all’interconnessione delle medesime; direttiva 2002/20/CE,
relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di
comunicazione elettronica; direttiva 2002/21/CE, che
istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i
servizi di comunicazione elettronica; direttiva 2002/22/CE,

7

2.

relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in
materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica;
direttiva 2002/77/CE, relativa alla concorrenza nei mercati
delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica).
La finalità perseguita con tali direttive, come risulta

delega [art. 41, comma 2, lett. al ) e a8), della legge 1 0
agosto 2002, n. 166], è quella, per quanto qui interessa, di
garantire: al) agli imprenditori l’accesso al mercato con
criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e
proporzionalità; a8) agli utenti finali la fornitura del
servizio universale, senza distorsioni della concorrenza.
In tale contesto l’art. 93 del Codice, con la rubrica
«divieto d’imporre altri oneri», così testualmente recita:
«l. Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed
i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per
l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o
canoni che non siano stabiliti per legge. 2. Gli operatori
che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno
l’obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione
(n.d.e.:

il

riferimento alla Pubblica Amministrazione, non

rilevante in questa sede, è stato inserito dal d. lgs. n.
7 0/ 2 0 12),

l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario o

gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione
delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli
interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare

8

anche dai principi e criteri direttivi fissati dalla legge

a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti
dall’Ente locale. Nessun altro onere finanziario, reale o
contributo può essere imposto, in conseguenza dell’esecuzione
delle opere di cui al Codice o per l’esercizio dei servizi di
comunicazione elettronica, fatta salva l’applicazione della
c.d. TOSAP)

per l’occupazione di spazi ed

aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15
novembre 1993, n. 507, oppure del canone (n.d.e.: cd. COSAP)
per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui
all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.
446, e successive modificazioni, calcolato secondo quanto
previsto dal comma 2, lettere e) ed f), del medesimo
articolo, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per
spese di costruzione delle gallerie di cui all’articolo 47,
comma 4, del predetto decreto legislativo 15 novembre 1993,
n. 507».
Tale

disposizione

è

stata

ritenuta

dalla

Corte

costituzionale, con riferimento all’art. 117 Cost. ed alla
competenza riservata allo Stato, «espressione di un principio
fondamentale, in quanto persegue la finalità di garantire a
tutti gli operatori un trattamento uniforme e non
discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di
porre a carico degli stessi oneri o canoni. In mancanza di un
tale principio, infatti, ciascuna Regione potrebbe
liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei
soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio,

9

tassa (n.d.e.:

.

appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad

_.

operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali
obblighi potrebbero non essere imposti. t evidente che la
finalità della norma è anche quella di tutela della
concorrenza, sub specie di garanzia di parità di trattamento

soggetti nel settore. Ad analogo criterio si ispira la
disposizione che sancisce, in capo agli operatori, l’obbligo
di tenere indenni gli enti locali o gli enti proprietari
delle spese necessarie per le opere di sistemazione delle
aree pubbliche» (Corte cost. 27 luglio 2005, n. 336, i cui
principi sono stati ribaditi da Corte cost. 28 dicembre 2006,
n. 450 e da Corte cost. 22 luglio 2010, n. 272).
Si deve, poi, escludere che «il citato art. 93 si
limiterebbe a sancire una riserva di legge per così dire
,
“generica”;

ciò che,

pertanto,

non precluderebbe un

intervento delle Regioni, purché esso sia disposto con atto
legislativo. Sul punto è sufficiente osservare che la citata
disposizione ha inteso riferirsi, con tutta evidenza, alla
sola legge statale. È quanto si desume, in primo luogo, dalla
circostanza che il richiamo alla legge, contenuto in una
norma dello Stato, deve essere interpretato – in assenza di
ulteriori specificazioni come rinvio ad una fonte
legislativa comunque di provenienza statale». Inoltre, se
così non fosse sarebbe contraddetta «la stessa

ratio legis,

come individuata da questa Corte nella già citata sentenza n.
10

e di misure volte a non ostacolare l’ingresso di nuovi

336 del

2005, e cioè evitare che ogni Regione possa

“liberamente prevedere obblighi

pecuniari

a carico dei

soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio,
appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad
operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali

2010, n. 272).
Da quanto sinora detto consegue che

il punto decisivo

della questione sottoposta all’esame di questa Corte consiste
nella possibilità o meno di individuare le norme statali che
consentono l’imposizione di oneri negli artt. 822 e 823 c.c.
e negli artt. 86 e 89 del d. lgs. n. 112/1998 (c.d. decreto
Bassanini) che delegano alle Regioni la gestione del demanio
idrico, le relative concessioni, la determinazione dei canoni
e l’introito dei relativi proventi.
Tale possibilità deve essere, tuttavia, esclusa. Le
disposizioni in esame non sono, infatti, compatibili con i
principi sopra

richiamati e, in particolare, con

la

liberalizzazione del mercato secondo principi di non
discriminazione e proporzionalità e con il principio di
universalità del servizio. La determinazione dei canoni di
concessione del demanio idrico da parte delle singole Regioni
consentirebbe, anzitutto, contrariamente a quanto escluso in
radice dal d. lgs. n. 259/2003 e dai suoi principi
ispiratori, condizioni diverse per i singoli operatori a
secondo delle determinazioni delle Regioni che governano il
O

obblighi potrebbero non essere imposti”» (Corte cost. luglio

territorio sul quale essi operano; inoltre, l’imposizione di
canoni di concessione, in assenza di un riferimento agli
utenti raggiunti rinvenibile nelle disposizioni statali
invocate dalla Regione, violerebbe il principio di
universalità poiché, da un lato, imporrebbe oneri non

sviluppo della comunicazione elettronica e, d’altro canto,
come rovescio della stessa medaglia, contribuirebbe a
disincentivare il raggiungimento di potenziali utenti
isolati, mentre obiettivo del Codice è il raggiungimento «di
tutti gli utenti finali ad un livello qualitativo stabilito,
a prescindere dall’ubicazione geografica dei medesimi» (art.
53).
L’incompatibilità di fondo della normativa che la
controricorrente Regione invoca come deroga alla esclusione
di ulteriori oneri, prevista dall’art. 93 citato, è
confermata dal fatto che il Codice delle comunicazioni
elettroniche si pone come normativa speciale rispetto alla
materia da esso regolata. In tal senso depongono chiaramente
sia la scelta della legge di delegare al Governo
«l’istituzione di un quadro normativo comune per le reti ed i
servizi di comunicazione elettronica» [art. 41, primo comma
lett. a), legge n. 166/2002], sia la scelta di racchiudere in
un “codice” le disposizioni legislative e regolamentari in
materia di telecomunicazioni [art. 41, secondo comma, lett.
a), legge n. 166/2002]. Non può sfuggire, infatti, che il
12

proporzionati secondo criteri di incentivazione dello

termine “codice” sottintende un testo normativo in grado di
disciplinare compiutamente la materia, un «corpo organico e
sistematico comprensivo di tutte le norme pertinenti a un
ramo del diritto» (enciclopedia Treccani on line).

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3.

Il secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento

del primo. Lo stesso deve dirsi per il terzo motivo laddove
lamenta l’entità della liquidazione delle spese; tale motivo
è

inveceMEERWEAR

laddove lamenta la mancata riunione

delle cause. I provvedimenti di riunione e separazione di
cause costituiscono, infatti, esercizio del
potere discrezionale del giudice, hanno natura ordinatoria e
si fondano su valutazioni di mera opportunità, con la
conseguenza che essi non sono sindacabili in sede di
legittimità e non comportano, per gli effetti che ne

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-Ancora, .unR

discendono sullo svolgimento dei processi, alcuna nullità (e
plurimis Cass. 15 maggio 2007, n. 11187).
4.

La sentenza impugnata deve essere cassata e, poiché

non sono necessari ulteriori accertamenti e valutazioni di
fatto, questa Corte, decidendo nel merito, dichiara non

Soccorrono giusti motivi, in considerazione della novità
della questione, per compensare le spese dell’intero
giudizio.
P . Q . M .
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il
secondo motivo e parzialmente il terzo che

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g.C11,a4

nel resto; cassa la sentenza impugnata e,

decidendo nel merito, dichiara non dovuta la somma ingiunta;
compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 luglio
2014.

dovuta la somma ingiunta.

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