Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20806 del 11/09/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20806 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: FERRO MASSIMO

Data pubblicazione: 11/09/2013

SENTENZA
P)
Sul ricorso proposto da

BOCCIA Raffaele Rosario e FALANGA Pasqualina, rappr. e dif. dagli avvocati
Leonardo Perrone e Gianmarco Tardella, con elezione di domicilio presso il loro
studio in Roma, via Giacomo Puccini n.9, come da procura in calce all’atto
-ricorrenteContro

Agenzia delle Entrate, sede centrale, in persona del Direttore p.t.
Agenzia delle Entrate, ufficio di Castellamare di Stabia, in persona del Direttore
p.t.
-intimatiPagina 1 di 4 – RGN 29644/2008

estenioii4ons. m. ferro

per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di Napoli 25.10.2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 11 luglio 2013
dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
udito l’avvocato Gianmarco Tardella per i ricorrenti;

IL PROCESSO
Raffaele Rosario Boccia e Pasqualina Falanga, (coniugi e) soci rispettivamente
all’80 e 20% della società F.B.A. (ovvero F.A.B.) sii, impugnano la sentenza della
Commissione Tributaria Regionale di Napoli 25.10.2007 che, in riforma — sul punto
– della sentenza C.T.P. di Napoli n. 420/08/2004, ebbe ad accogliere l’appello
dell’Ufficio, così ribadendo la legittimità dell’avviso di accertamento IRPEF, ILOR e
SSN, per l’anno 1995, condotto a carico dei predetti e relativo al reddito ad essi
proprio in quanto soci di società a ristretta base partecipativa. L’accertamento,
scaturito da segnalazione della Guardia di Finanza, si fondava sulla presunzione di
distribuzione in capo ai soci degli utili extracontabili non contabilizzati.
Ritenne in particolare la C.T.R. che l’attribuzione di tale reddito procedeva da
una presunzione relativa, tale da far gravare sui soci, e non sulla P.A., l’onere di
dimostrare che gli utili non esposti in bilancio erano stati destinati ad impieghi
diversi da quelli della ripartizione tra i soci, tenuto conto anche del vincolo di
solidarietà e stretto controllo tra essi sussistente.
Il ricorso è affidato a cinque motivi.

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA
DECISIONE

f

Con il primo motivo, si avanza vizio di nullità della sentenza, per ultrapetizione, in
violazione dell’art.112 c.p.c., in relazione agli artt.360 nn.3 e 4 c.p.c. e 62 d.lgs. n.
546/1992, in quanto il dispositivo di accoglimento dell’appello dell’Ufficio appare
motivato con riguardo a questioni di fatto e di diritto estranee al thema decidendum,
avendo infatti il giudizio avuto per oggetto l’accertamento sintetico del reddito
complessivo dei contribuenti ex art.38 d.P.R. n.600/1973, basato sulla circostanza
dell’aver essi sostenuto spese per incrementi patrimoniali nel 1995, con versamenti
nelle casse della società. Erroneamente la C.T.R. avrebbe invece trattato della
circostanza della distribuzione di utili extracontabili ai soci, da presumere data la
ristretta base sociale della s.r.l.
Con il secondo motivo, si avanza vizio di nullità della sentenza, per error in procedendo
e violazione dell’art.112 cod.proc.civ., ricorrendo omessa pronuncia sui motivi

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udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Federico Sorrentino,
che ha concluso per raccoglimento per quanto di ragione.

1. I primi quattro motivi, da trattare congiuntamente per l’evidente connessione, sono
fondati. Va premesso che la sentenza impugnata, esaminabile in relazione ai motivi
dell’appello accolto dell’Ufficio e dato il tenore dei mezzi di censura avanzati in questa
sede (coerente con i criteri dell’autosufficienza, come da Cass. 23420/2011), fa
applicazione espressa del principio per cui, in tema di accertamento delle imposte sui
redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la
presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati,
rimanendo salva — qui si aggiunge – la facoltà del contribuente di offrire la prova del
fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società,
ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente né la mera
deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili, né il
definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i
ricavi contabilizzati, non risultando né accantonati né investiti, siano stati distribuiti ai
soci. Tale principio è effettivamente sussistente nella più recente giurisprudenza di
legittimità (Cass. 5076/2011, 8954/2013), ma la sua declinazione decisoria impone il
riscontro, conseguente ad un accertamento sulle movimentazioni finanziarie ovvero
gli atti giuridico-economici di una società ovvero dei suoi soci, che vi sia stata
formazione di utili non contabilizzati, da tale circostanza scattando la citata
presunzione distributiva e la correlata tassazione individuale pro parte.
Sul punto, dall’esame degli atti — possibile alla stregua dell’ error in procedendo avanzato e
della sufficiente sua delineazione con richiamo alla dialettica processuale di
incardinamento di tali passaggi motivazionali e, rispettivamente, difensivi — si evince
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estens

d’impugnazione ovvero sulle eccezioni devolute alla C.T.R., in relazione agli artt.360
nn.3 e 4 c.p.c. e 62 d.lgs. n. 546/1992,
Con il teqo motivo, si prospetta nullità della sentenza, con inesistenza o mera
apparenza della motivazione per violazione degli artt.36,co.2, n.4 d.lgs. n. 546/1992,
132 co.2 n.4 cod.proc.civ., 118 co.1 disp att. cod.proc.civ., in relazione all’art.360
nn.3 e 4 cod.proc.civ. e all’art. 62 d.lgs. n. 546/1992 per inidoneità della sentenza
impugnata ad esprimere, nella sua motivazione, la ratio decidendi, avendo la C.T.R.
spiegato la sua conclusione con riferimento a questioni di fatto e di diritto diverse.
Con il quarto motivo, si prospetta vizio di motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, in relazione all’art.360 n.5 cod.proc.civ. e all’art. 62 d.lgs. n.
546/1992, non avendo la sentenza dato conto della ritenuta insussistenza, da parte
della pronuncia della C.T.P. impugnata, della circostanza dei versamenti, invece
imputati a soggetti diversi, nemmeno potendosi ascrivere a tali elementi, ai fini
dell’accertamento sintetico, il prescritto requisito di certezza.
Con il quinto motivo, si prospetta vizio di motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, in relazione all’art.360 n.5 cod.proc.civ. e all’art. 62 d.lgs. n.
546/1992, non avendo la sentenza dato conto della erroneità del rinvio della
motivazione dell’accertamento e per relationem ad un processo verbale di
constatazione della Guardia di Finanza emesso nei confronti di soggetto terzo (la
F.A.B. s.r.1.) e non allegato né sintetizzato nell’accertamento stesso.

ESENTE DA RECTISPtAZIONE

da un lato che l’accertamento sintetico dell’Ufficio, condotto sui redditi dei socicontribuenti, poggiava ex art.38 co.4 e 5 d.P.R. n. 600/1973 su due circostanze
(possesso di autoveicoli e spese per incrementi patrimoniali) e, dall’altro, che solo su
una di esse venne sostenuto l’appello da parte di Agenzia dell’Entrate (che circoscrisse
il gravame al capo con cui la C.T.P. negava la riconducibilità ai soci stessi, e non
invece a società-terze, dei versamenti a favore della F.A.B. s.r.1.). La questione dei
versamenti dei soci alla società, nella potenziale veste di contribuzioni dirette ad
incremento patrimoniale, trovò, al pari del possesso di autovetture, accertamento di
insussistenza presso la C.T.P.; essa fu però la sola questione oggetto di censura avanti
alla C.T.R.; tale residua circostanza e comunque la riconosciuta sua estraneità
all’ambito dei fatti indizianti del riaccertamento reddituale non hanno rinvenuto però
alcuna valorizzazione probatoria presso la sentenza qui impugnata, che si limita —
come detto — a fare applicazione del principio presuntivo citato e non fa menzione dei
presupposti dell’accertamento originario dell’Ufficio.
2. Tali lacune inducono al pieno accoglimento dei citati motivi di ricorso, assorbito il
quinto, configurandosi nella sentenza impugnata sia un vizio di omessa pronuncia,
avuto riguardo alle ragioni di censura della decisione della C.T.P. appellata dall’Ufficio
(Cass. 7871/2012), sia una palese discrepanza — accertabile in sede di legittimità anche
in modo diretto — tra domande ed eccezioni delle parti e nucleo storico-motivazionale
della sentenza della C.T.R., che appare eludere il principio di corrispondenza fra il
chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) (Cass. 17109/2009) e dunque
determinandosi le ragioni di cassazione con rinvio.
3. Il ricorso va dunque accolto, ai sensi di cui in motivazione, con cassazione della
sentenza e rinvio alla C.T.R. Campania, in diversa composizione, anche per le spese
del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso, assorbito il quinto, cassa la
sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. Campania, in diversa composizione, anche
per le spese della fase di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 luglio 2013.

M SENSI
N. 131

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