Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20802 del 05/09/2017
Cassazione civile, sez. VI, 05/09/2017, (ud. 15/05/2017, dep.05/09/2017), n. 20802
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17114/2015 proposto da:
L.G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI
187, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO MAGNANO SAN LIO,
rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO DI CATALDO;
– ricorrente –
contro
V.A., L.M. elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA GAVORRANO 12, presso lo studio dell’avvocato MARIO
GIANNARINI, rappresentati e difesi dall’avvocato SILVANA RICCA;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 87/2015 della CORTE D’APPELLO di
CALTANISSETTA, depositata il 05/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 15/05/2017 dal Consigliere D.ssa MAGDA CRISTIANO.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
1) L.M. e ad V.A. – associati in partecipazione nell’attività professionale medica svolta dal Dr. L.G.S. – convennero in giudizio l’associante per sentirlo condannare al pagamento degli utili maturati e non corrisposti, nonchè al risarcimento dei danni subiti per il suo anticipato ed ingiustificato recesso dall’associazione.
La Corte d’appello di Caltanissetta, in sede di giudizio di rinvio dalla cassazione, ha liquidato tali danni, in via equitativa, in misura corrispondente alla percentuale degli utili contrattualmente spettante agli associati, calcolata sul reddito netto medio giornaliero dell’associazione, come determinato nella prima sentenza d’appello – con pronuncia passata sul punto in giudicato – ancorchè al diverso fine della quantificazione degli utili non percepiti dagli aventi diritto durante la vigenza del rapporto.
La sentenza, pubblicata il 5 maggio 2015, è stata impugnata da L.G.S. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui L.M. ed V.A. hanno resistito con un unico controricorso.
Le parti hanno ricevuto tempestiva comunicazione della proposta e del decreto di cui all’art. 380 bis c.p.c..
Il ricorrente ha depositato memoria.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
1) Con il primo motivo L.G. lamenta che la corte d’appello non abbia tenuto conto che il contratto di associazione in partecipazione si era già risolto in data precedente al termine finale in esso indicato, per impossibilità sopravvenuta della prestazione, in quanto della L. n. 412 del 1991, art. 4, comma 7, sancendo il principio dell’unicità del rapporto dei medici con il SSN, lo aveva obbligato ad abbandonare l’attività professionale privata, non più compatibile con quella sua principale, di medico ospedaliero, sino ad allora contestualmente esercitata.
2) Col secondo, deducendo violazione dell’art. 2909 c.c., il ricorrente contesta che si fosse formato il giudicato in ordine ai criteri di liquidazione di quanto dovuto agli associati per il titolo ancora in contestazione.
3) Con il terzo motivo assume che il criterio di liquidazione del danno utilizzato dalla corte d’appello è errato.
4) Tutti i motivi sono inammissibili.
4.1) Il primo attiene ad una questione di diritto (e non di mero fatto) che non è mai stata dedotta in giudizio e che risulterebbe comunque preclusa dal giudicato formatosi con la sentenza rescindente, che ha riconosciuto il diritto degli associati al risarcimento del danno da anticipato scioglimento del rapporto.
4.2) Il secondo è privo di inerenza al decisori, essendosi la corte del merito limitata a liquidare il danno subito dagli associati in via presuntiva, tenuto conto del reddito netto medio giornaliero conseguito dall’associazione nel periodo pregresso, già determinato nella sentenza cassata, e ad affermare (correttamente) che l’accertamento del primo giudice d’appello concernente detto reddito era coperto da giudicato.
4.3) Il terzo è invece volto alla denuncia di un vizio di motivazione, ma anzichè indicare il fatto storico decisivo, oggetto di contraddittorio fra le parti che, ove considerato dal giudice del rinvio, avrebbe determinato un diverso esito del giudizio, si risolve nella richiesta di una nuova valutazione delle circostanze addotte da L.G. per contrastare l’avversa pretesa (che la corte d’appello ha compiutamente esaminato, indicando le ragioni per le quali non le riteneva idonee a condurre all’adozione di un diverso criterio presuntivo di liquidazione del danno) o nella deduzione di circostanze che non risultano aver formato oggetto di dibattito in sede di merito.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 4.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2017