Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20800 del 10/10/2011

Cassazione civile sez. II, 10/10/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 10/10/2011), n.20800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA VIA DELLA GIULIANA 82, presso lo studio dell’avvocato

CARNEVALE LEONIDA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CATERINO CATERINA;

– ricorrente –

contro

C.C. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata ROMA, PIAZZA ADRIANA lo, presso lo studio dell’avvocato

ROMANO NICOLA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

FALDELLA PAOLO, DI LATTEO FRANCESCO;

– controricorrente –

avverse la sentenza n. 971/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 23/08/2005;

udita la redazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Angelini Isabella con delega depositata in udienza

dell’Avv. Caterino Caterina difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Romani Nicola difensore della resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.C. agiva in reintegrazione e manutenzione del possesso di una casa, di un giardino e di un terreno posti in (OMISSIS), identificati, rispettivamente, dai mappali 26, 30 e 31, lamentando che il confinante B.A., assumendosi acquirente dei 3/4 della proprietà di detti fondi, in virtù di scrittura privata registrata il 26.5.1998, aveva invaso il terreno e manifestato la propria volontà di acquisire il possesso della casa e del giardino.

Il convenuto nel resistere alla domanda deduceva di aver acquistato il 73,75% delle quote di proprietà di detti beni dai legittimi proprietari e negava che la C. avesse posseduto il terreno, che egli stesso nel periodo compreso tra il 1973 e il 1980, ed altri agricoltori negli anni successivi avevano coltivato senza che ciò provocasse alcuna reazione da parte dell’attrice.

Il Tribunale di Bologna rigettava la domanda, ritenendo non sufficiente la prova del possesso.

Tale decisione era ribaltata dalla Corte d’appello di Bologna, con sentenza depositata il 23.8.2005. La Corte felsinea, sulla base di una rinnovata valutazione dei medesimi elementi istruttori emersi in primo grado, riteneva che il possesso da parte della C. fosse adeguatamente dimostrato sia da documentazione anagrafica e fiscale e da fatture attestanti l’esecuzione di lavori agricoli effettuati in favore di lei da parte di terzi, anche se non indicanti esattamente a quali fondi posti in (OMISSIS) si riferissero;

sia dalle testimonianze raccolte, da cui era risultato che la C. ed il marito, quest’ultimo finchè in vita, avevano coltivato il terreno da almeno vent’anni, avvalendosi per i lavori più impegnativi di imprese esterne e per quelli di minor peso della collaborazione del genero, F.A., e della figlia, Ba.Au.. Per contro, osservava il giudice d’appello, non era stato provato l’assunto del B. secondo cui egli stesso, tramite terzi, avrebbe coltivato il terreno nei primi anni 90, nè era fondata l’eccezione per cui attivamente legittimata alla domanda sarebbe stata non la C., ma la figlia di lei, Au..

Osservava, infine, che lo stesso B. nella propria corrispondenza stragiudiziale aveva mostrato di ritenere la famiglia Ba. – C. quale unica interlocutrice possibile quanto al problema del possesso dei beni, nessun altro, quanto meno dal 1995, essendo stato indicato come avente il possesso o la detenzione dei beni in oggetto.

Quanto all’attività di spoglio, la Corte felsinea osservava che lo stesso B. aveva ammesso di essersi recato il 18.7.1998 sul terreno (mappale 31) per prenderne possesso, senza autorizzazione della C., e che, quanto alla casa e al giardino (mappali 26 e 30) non era dubbio che con le lettere inviate dal proprio legale il 12.5.1998 e il 5.6.1998 l’appellato non si era limitato a rendere edotta la sua controparte dell’avvenuto acquisto delle quote di comproprietà sui beni, ma aveva preannunciato il proprio intervento per regolare il confine, apporre i termini e, quindi, escludere la C. dal possesso, il che integrava gli estremi della molestia possessoria.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre B.A., formulando due motivi di gravame.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in quanto il percorso motivazionale della Corte bolognese nell’affermare come provato il possesso dei beni da parte dell’attrice sarebbe illogico e incongruente. Il giudice d’appello, afferma parte ricorrente, dapprima ha sostenuto che la documentazione di natura fiscale e anagrafica non predicasse nulla di specifico in punto di riferimenti geografico – catastali; poi, con un percorso incomprensibile, ha attribuito valenza probatoria fondamentale a testimonianze altrettanto generiche e contraddittorie. Al riguardo la Corte ha accoppiato, a tutto concedere, indizi documentali e vaghe deposizioni.

Per contro, i giudici d’appello non hanno considerato nè la deposizione del teste A.W., da cui è emerso che il B. dal 1970 aveva coltivato il mappale 31 su concessione di un terzo, che ne aveva il possesso, nè la documentazione di parte convenuta, che conferma come il terreno sia stato pulito, arato e seminato dallo stesso B. e, nei primi anni 90, da altri agricoltori, senza che la C. lamentasse di essere stata spogliata del o turbata nel possesso di tali beni; nè la lettera del 20.7.1998 con la quale il legale di Ba.Au., figlia della C., lamentava l’introduzione del B. all’interno della proprietà della Ba. stessa; nè hanno attribuito rilievo all’intestazione formale degli immobili (di proprietà Ba.); nè, ancora, al fatto che la C. non abbia chiesto alcun indennizzo per essere stato il terreno attraversato dal metanodotto.

1.1. – Il motivo è infondato.

Premesso che il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorchè, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice (v. Cass. S.U. n. 25984/10; conforme, Cass. n. 8106/06), è agevole rilevare, nella specie, che tra la negazione dell’efficienza probatoria di taluni dati di natura geo-catastale e la valorizzazione di elementi istruttori di carattere storico omogenei ad una ricostruzione dei fatti nella dovuta chiave possessoria non intercorre alcuna intrinseca contraddittorietà. Ancor meno condivisibile è che sia incongruente integrare il deposto testimoniale con riscontri documentali idonei a rafforzarne senso, portata e attendibilità.

Assente nell’ordinamento un principio di gerarchia delle fonti di prova, e ormai superata, se non a fini puramente descrittivi, la distinzione tra prova diretta o rappresentativa e prova indiretta o critica, non è di per sè censurabile il convincimento espresso dal giudice avvalendosi, in funzione di reciproca conferma, di prove documentali e di prove storiche.

Quanto, poi, alla mancata considerazione degli elementi istruttori richiamati dal ricorrente, deve ricordarsi il costante orientamento di questa Corte, secondo cui nel giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (v.

Cass. N. 9368/06 e le successive conformi).

Nello specifico, nulla autorizza a ritenere che gli elementi istruttori enunciati dal ricorrente sarebbero valsi sicuramente, se considerati, a provocare un’opposta decisione della controversia, ove si consideri che in materia possessoria sono irrilevanti le intestazioni catastali dei beni, essendo tutelato il possesso anche in favore di chi non risulti titolare del corrispondente diritto reale; e che pregresse e risalenti relazioni di fatto con il bene conteso, in assenza di reazioni in allora della controparte, possono costituire, al massimo, elementi considerabili nel contesto della complessiva valutazione dei fatti, che è appannaggio esclusivo del giudice di merito.

2. – Con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1168 e 1170 c.c., sostenendo che, al contrario di quanto ritenuto nella sentenza impugnata, spoglio e molestia si configurano solo attraverso condotte aventi un apprezzabile contenuto di disturbo all’altrui possesso, rendendolo più gravoso e difficoltoso, e che la sola negazione dell’altrui possesso o le semplici diffide non integrano gli estremi della turbativa. Conseguentemente, non costituisce spoglio il solo recarsi sul fondo posseduto da altri, e non può essere considerata molestia il semplice invio di lettere volte a regolamentare i confini e dirette, comunque e solo, a far valere il proprio diritto preannunciandone legittimamente l’esercizio.

2.1. – La censura è fondata nei limiti che seguono.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la molestia possessoria può realizzarsi, anche senza tradursi in attività materiali, attraverso manifestazioni di volontà che devono – però – esprimere la ferma intenzione del dichiarante di tradurre in atto il suo proposito, mettendo in pericolo l’altrui possesso. Invece, se le manifestazioni di volontà – siano esse verbali o scritte – siano rivolte all’affermazione di un diritto proprio o alla negazione di un diritto altrui senza far temere imminenti azioni materiali contrastanti con la situazione di possesso, non si è in presenza di molestia possessoria, bensì solo di espressioni intese ad evitare – se possibile – una controversia giudiziaria. La ricorrenza di una o dell’altra ipotesi rientra nella valutazione del giudice di merito, il cui accertamento – se adeguatamente motivato – sfugge al controllo di legittimità (Cass. n. 1409/99; conforme, Cass. n. 7200/95 citata nella stessa sentenza impugnata).

Nel caso in esame, mentre l’essersi recato il B. sul terreno (mappale 31) per prenderne possesso, senza autorizzazione della C., integra i requisiti minimi della lesione possessoria, sotto la specie (non dello spoglio, bensì) della molestia, non altrettanto può ritenersi quanto alle lettere inviate dal medesimo, tramite il proprio legale, il 12.5.1998 e il 5.6.1998, lettere che manifestavano unicamente la pretesa dell’odierno ricorrente sulla casa e sul, giardino (mappali 26 e 30), e che pur preannunciando un intervento per regolare il confine e apporre i termini, non per questo eccedevano la dichiarazione di un mero, e neppure necessariamente invasivo, intento.

Solo sotto questo profilo, pertanto, non è condivisibile la decisione impugnata, che pur individuando rettamente i principi di diritto in materia, non ne ha operato una coerente applicazione.

3. – Per quanto fin qui considerato, deve essere respinto il primo motivo, accolto il secondo, e in relazione a quest’ultimo cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna, che deciderà la controversia attenendosi al principio di diritto sopra richiamato e provvederà anche sulle spese del procedimento di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, respinto il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2011

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