Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 208 del 09/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 09/01/2017, (ud. 11/10/2016, dep.09/01/2017),  n. 208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15258-2014 proposto da:

T.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE TEATRO DELL’OPERA DI ROMA C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1083/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/06/2013 R.G.N. 2854/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. BLASUTTO DANIELA;

udito l’Avvocato FASAN EMILIANO per delega verbale PANICI PIER LUIGI;

udito l’Avvocato BARBIERI ATTILIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 1083/2013, respingendo le opposte impugnazioni, ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che, in parziale accoglimento della domanda proposta da T.A., aveva dichiarato illegittimo il recesso dal rapporto di lavoro comunicato in data 28 marzo 2007 dalla Fondazione Teatro di Roma e ordinato la reintegrazione del T. nel posto di lavoro fino al 24 giugno 2010, data di scadenza del termine apposto all’originario contratto.

2. Il T. aveva rappresentato di essere stato assunto dalla Fondazione Teatro di Roma con contratto di lavoro a tempo determinato di durata triennale dal 25 giugno 2007 al 24 giugno 2010, al quale era stato apposto un patto di prova di sei mesi; che all’approssimarsi della fine del periodo di prova, il 24 dicembre 2007 era stato convocato presso uno studio legale per sottoscrivere un accordo transattivo; che in tale circostanza era stato stipulato un nuovo contatto di lavoro in continuità con il precedente; che aveva continuato ad espletare le medesime mansioni fino a quando, il 28 marzo 2008, la Fondazione del Teatro dell’Opera di Roma gli aveva comunicato il recesso per mancato superamento della prova.

2.1. Il T. aveva quindi impugnato sia la rinunzia da lui firmata in sede transattiva, sia il licenziamento, sia la duplice apposizione del termine ed aveva chiesto: a) l’accertamento della instaurazione tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato sin dal 25 giugno 2007 o, almeno, dal 24 dicembre 2007; b) l’accertamento della nullità/inefficacia/illegittimità del licenziamento intimato dalla Fondazione il 28 marzo 2008; c) la reintegra nel posto di lavoro o la ricostituzione del rapporto; d) la condanna della resistente al pagamento delle retribuzioni sulla base di Euro 2.926,46 lorde mensili dalla data del licenziamento alla riammissione in servizio o, in subordine, fino al 24 giugno 2010.

2.1. La domanda di reintegra con scadenza al 24 giugno 2010 era stata accolta dal primo Giudice sul rilievo che non era consentita l’apposizione di un secondo patto di prova per un contratto corrente tra le stesse parti ed avente ad oggetto le medesime mansioni. La reintegra comunque non poteva operare oltre l’originaria scadenza triennale.

3. La Corte territoriale ha rigettato l’impugnazione della Fondazione, osservando che si era in presenza di un unico rapporto di lavoro con decorrenza dal 25 giugno 2007, mai validamente interrotto, stante l’inefficacia della conciliazione stragiudiziale. Ha poi osservato, quanto all’impugnazione principale del T., che non poteva riconoscersi l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto, pur essendo l’originaria apposizione del termine priva della specificazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo o organizzativo o sostitutivo di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, trovava applicazione il D.L. n. 7 del 2005, art. 3 ter, comma 6, convertito in L. n. 43 del 2005, il quale aveva previsto il divieto per le Fondazioni lirico – sinfoniche di assumere personale a tempo indeterminato, con eccezione delle sole Fondazioni che avessero chiuso il proprio bilancio almeno in pareggio e con facoltà di assunzione nei limiti della pianta organica e senza oneri aggiuntivi. Tale divieto, previsto per l’anno 2005, era stato poi esteso agli anni successivi. Ha infine osservato che non poteva ritenersi violata la direttiva comunitaria n. 1999/70 la quale, secondo consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, riguarda i soli casi di reiterazione dei rapporti di lavoro a termine, mentre nella fattispecie vi era un solo contratto di lavoro a tempo determinato stipulato nel 2007.

4. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il T. con due motivi. Resiste la Fondazione teatro dell’Opera di Roma con controricorso.

4.1. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., richiamando – tra l’altro – la sentenza della Corte costituzionale n. 290 del 2015, intervenuta nelle more del giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 2697 c.c.. La Corte di appello aveva affermato che, entro determinati limiti, le Fondazioni lirico sinfoniche potevano, anche nell’anno 2007, assumere personale a tempo indeterminato, a norma del D.L. n. 7 del 2005, art. 3 ter, comma 6, convertito con modificazioni nella L. n. 43 del 2005. Aveva però erroneamente ritenuto che gravasse sul lavoratore l’onere di provare il presupposto costitutivo di tale fattispecie legale, ossia la chiusura (almeno) in pareggio del bilancio della Fondazione relativo all’anno 2006.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.L. n. 7 del 1995, art. 3 ter, comma 6, convertito con modificazioni nella L. n. 43 del 2005, in relazione all’art. 12 delle preleggi e all’art. 1362 e segg. c.c. e comunque per violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, della Direttiva 1999/70 Ce e degli artt. 1, 2, 3, 4, 10, 36 e 38 Cost.. Si deduce che il divieto introdotto dal Legislatore per le Fondazioni lirico – sinfoniche di assumere a tempo indeterminato non poteva legittimare la violazione delle regole e delle garanzie di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001. Con l’atto introduttivo del giudizio si era sostenuto che i due contratti di lavoro, stipulati nel giugno e nel dicembre 2007, erano “afflitti da molteplici vizi formali e sostanziali” e che il negozio posto in essere in data 24 dicembre 2007 era espressione di un illecito frazionamento di un unico rapporto in più contratti a termine. La stessa Corte di appello aveva confermato che il secondo contratto era nullo, perchè in frode alla legge, e che le dimissioni rassegnate dal primo rapporto erano simulate. In tale contesto doveva trovare applicazione il regime sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 368del 2001, art. 5.

3. Il secondo motivo è fondato per le ragioni che seguono, restando assorbito l’esame del primo motivo che verte sull’operatività di una disciplina legale (di cui la Corte di appello ha fatto applicazione) che afferisce ad assunzioni legittimamente adottate dalle Fondazioni lirico sinfoniche nei limiti consentiti dalla L. n. 43 del 2005 e successive. La domanda proposta dal lavoratore T. era, invece, intesa al riconoscimento dell’applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 sul presupposto dell’esistenza di una reiterazione abusiva di più contratti a tempo determinato ed anche per vizi genetici dell’originario contratto a termine.

4. La Corte di appello, pur affermando che il primo contratto del 25 giugno 2007 “effettivamente non reca le motivazioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1”, non ha valutato gli effetti sul piano normativo del comportamento ritenuto contra legem. Ha difatti diffusamente argomentato circa l’inefficacia della transazione impugnata ex art. 2113 c.c. e l’annullabilità delle dimissioni rassegnate dal T. dal primo contratto. L’effetto dell’accoglimento in parte qua delle domanda aveva comportato il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro, mai validamente interrotto nè da dimissioni, nè dal licenziamento intimato in costanza del secondo contratto. Si è dunque ritenuto, da parte dei giudici di merito di primo e di secondo grado, che il rapporto di lavoro, instaurato con il contratto originario, non fosse mai stato validamente interrotto e fosse proseguito de iure fino alla scadenza del termine originariamente fissato.

5. Tale ordine argomentativo non è stato efficacemente censurato dall’odierno ricorrente, che tuttavia, nel prospettare l’erroneità della mancata applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, ha ribadito l’esistenza (anche) di vizi genetici del contratto del 25 giugno 2007 ed ha menzionato, a sostegno dei propri assunti, in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., la sentenza n. 260 del 2015 della Corte costituzionale, nelle more intervenuta.

6. Tale censura è fondata per le ragioni che seguono.

7. Occorre innanzitutto richiamare quanto statuito da Cass. n. 6547 del 2014, cui si rinvia per la compiuta disamina dell’evoluzione del complesso quadro normativa (conf. Cass. n. 10924 del 2014 ed altre; da ultimo Cass. n. 19189 del 2016), che ha affermato i seguenti principi di diritto: a) successivamente alla trasformazione delle Fondazioni lirico sinfoniche (a partire, dunque, dal 23 maggio 1998), e fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, ai contratti di lavoro a termine stipulati da dette Fondazioni si applica la disciplina prevista dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, con l’unica esclusione costituita dell’art. 2 legge cit., relativa alla proroghe, alla prosecuzione ed ai rinnovi dei contratti a tempo determinato, come stabilito dal D.Lgs. n. 367 del 1996, art. 22; b) dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, ai contratti di lavoro a termine stipulati dal personale delle Fondazioni lirico – sinfoniche previste dal D.Lgs. n. 367 del 1996, si applicano le disposizioni di cui ai D.Lgs. n. 368 del 2001, con le uniche esclusioni costituite dall’art. 4, relativo alle proroghe, e dall’art. 5, relativo alle prosecuzioni ed ai rinnovi, come stabilito da detto decreto legislativo, art. 11, comma 4.

7.1. La violazione “delle norme che prevedono la forma scritta ad substantiam e la specifica indicazione della causale, …, devono essere riportate nell’ambito della disciplina ordinaria del contratto di lavoro a tempo determinato, con la conseguente conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato” (sent. cit.); in altri termini, l’esclusione dell’applicabilità del D.Lgs. n. 368 del 2001 alle Fondazioni lirico – sinfoniche opera in caso di successione dì contratti e non si estende alle anomalie genetiche dei medesimi.

8. Tale ricognizione del quadro normativo ha trovato riscontro nella sentenza della Corte costituzionale n. 260 del 11 dicembre 2015, che ha richiamato non solo Cass. n. 6547/2014, ma anche Cass. n. 10924, n. 10217, n. 7243, n. 5748 del 2014, oltre alle più risalenti Cass. n. 18263 del 2013 n. 11573 del 2011, quali espressione di un “orientamento conforme” e “restrittivo” nel sancire che il divieto di conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato per le fondazioni liriche è circoscritto alla materia dei rinnovi e a quella connessa delle proroghe, ma non investe ogni ipotesi di violazione delle norme sulla stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine. Il Giudice delle leggi ha così dichiarato “l’illegittimità costituzionale del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, art. 40, comma 1 – bis, (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, art. 1, comma 1, nella parte in cui prevede che il D.L. 30 aprile 2010, n. 64, art. 3, comma 6, primo periodo, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 giugno 2010, n. 100, art. 1, comma 1, si interpreta nel senso che alle fondazioni lirico – sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine”.

8.1. Ha ritenuto, infatti, che la norma impugnata non enuclea una plausibile variante di senso del D.L. n. 64 del 2010, art. 3, comma 6, primo periodo, e della L. n. 426 del 1977, art. 3, commi 4 e 5, in quanto “la norma, oggetto di interpretazione, contiene un riferimento specifico ai rinnovi dei contratti a termine”. “Secondo il significato proprio delle parole – continua la Corte – che è canone ermeneutico essenziale (art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale), il vocabolo “rinnovo” evoca un concetto diverso rispetto a quello dell’illegittimità del termine, apposto al primo contratto. Se il rinnovo attiene alla successione dei contratti e all’aspetto dinamico del rapporto negoziale, la questione scrutinata nel giudizio principale verte su un vizio genetico, che inficia il contratto sin dall’origine”. Con il che risulta inequivocabilmente avallata la giurisprudenza di legittimità innanzi riportata sull’interpretazione dello stesso D.L. n. 64 del 2010, art. 3, comma 6, conv. in L. n. 100 del 2010, oggetto della norma interpretativa dichiarata incostituzionale.

8.2. Secondo la Corte costituzionale “la disposizione impugnata, che non interferisce con il divieto di stabilizzazione nelle ipotesi di proroghe e di rinnovi illegittimi, opera in una latitudine circoscritta e riguarda la sola ipotesi della violazione delle norme sull’illegittima apposizione del termine”, così ledendo in pari tempo, per la sua natura retroattiva, “l’affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria”. L’illegittimità costituzionale della norma scrutinata viene colta anche sotto un distinto e non meno cruciale profilo, in quanto “nell’estendere il divieto di conversione del contratto a tempo determinato oltre i confini originariamente tracciati, includendo anche l’ipotesi di un vizio genetico del contratto a tempo determinato, la norma pregiudica un aspetto fondamentale delle tutele accordate dall’ordinamento ai rapporti di lavoro, in un contesto già connotato in senso marcatamente derogatorio rispetto al diritto comune”.

8.3. In tal senso la sentenza n. 260 del 2015 rammenta che, “con riguardo ai lavoratori dello spettacolo, la Corte di giustizia ha valorizzato il ruolo della “ragione obiettiva” come mezzo adeguato a prevenire gli abusi nella stipulazione dei contratti a tempo determinato e come punto di equilibrio tra il diritto dei lavoratori alla stabilità dell’impiego e le irriducibili peculiarità del settore (sentenza 26 febbraio 2015, nella causa C-238/14, Commissione contro Granducato di Lussemburgo, che riprende le affermazioni della sentenza della Corte di giustizia, 26 novembre 2014, nelle cause riunite C-22/13e da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed altri)”.

8.4. Per completezza, si evidenzia, infine, che la Corte costituzionale osserva come nel giudizio incidentale di costituzionalità “non incide la nuova disciplina in tema di contratti a tempo determinato delle fondazioni di produzione musicale, introdotta dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 3, comma 6”; infatti “per effetto dell’art. 57, tale disciplina (art. 23, comma 3, e art. 29, comma 3) si applica soltanto dal 25 giugno 2015, giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, e pertanto non concerne i diritti sorti nel vigore della normativa antecedente”. Se ne trae la conclusione che tali novità legislative non dispiegano alcuna influenza sui giudizi in corso.

9. In questa cornice normativa, giova pure richiamare l’orientamento di questa Corte (da ultimo ribadito da Cass. n. 17064 del 2015 e da Cass. n. 19189 del 2016), espresso riguardo all’ipotesi prevista dalla L. n. 230 del 1962, art. 1, lett. e), che, nel testo sostituito dalla L. n. 266 del 1977, consente l’assunzione a termine di personale “riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi”, testo poi riprodotto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, comma 7, lett. c).

10. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata onde consentire al giudice del rinvio un nuovo esame della fattispecie concreta, alla stregua dei principi di diritto innanzi esposti.

11. Conclusivamente il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, con assorbimento del primo mezzo di gravame, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo altresì a regolare le spese.

PQM

La Corte, pronunciando sul secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2017

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