Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20798 del 10/10/2011

Cassazione civile sez. II, 10/10/2011, (ud. 21/03/2011, dep. 10/10/2011), n.20798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata

e difesa dall’avvocato TIMOSSI GUALTIERO;

– ricorrente –

contro

C.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, LUNGOTEVERE ARNALDO DA BRESCIA 9/10, presso lo studio

dell’avvocato BARONI MARTA VITTORIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ARBASINO AMBROGIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 711/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 29/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/03/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato Fioretti Andrea con delega depositata in udienza

dell’Avv. Arbasino Ambrogio difensore del resistente che si riporta

agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 . – Con atto di citazione notificato m data 31 dicembre 1994, C.M. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Tortona T.M.A., chiedendo la risoluzione, ex art. 1490 cod. civ., di un contratto preliminare di vendita, stipulato il 3 settembre 1994, avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo sito in (OMISSIS), e la condanna alla restituzione della caparra per l’importo di L. 30.000.000, oltre al risarcimento dei danni in pari misura. L’attore espose, a fondamento della domanda, che l’immobile, del quale la T. gli aveva promesso la vendita per il prezzo complessivo di L. 180.000.000, con previsione della stipulazione del contratto definitivo entro il 10 dicembre 1994, era risultato privo degli scarichi fognari e che non era stato effettuato l’allacciamento alla pubblica fognatura, come stabilito dalla L.R. Piemonte 23 marzo 1990, n. 13. Dedusse, inoltre, che, nonostante il 5 dicembre 1994 avesse notificato atto di diffida ad adempiere alla T., quest’ultima non si era presentata davanti al notaio per la stipula del contratto definitivo alla data, convenzionalmente differita, del 23 dicembre 1994.

La convenuta, costituitasi in giudizio, chiese, in via riconvenzionale, che fosse pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attore e che questi fosse condannato al risarcimento dei danni.

2- – Il Tribunale adito rigettò la domanda principale, accogliendo quella riconvenzionale, e condannando, quindi, l’attore al risarcimento dei danni, da liquidare in separato giudizio. I,a sentenza di primo grado fu impugnata dal C., che concluse in principalità per la risoluzione del contratto, con restituzione della caparra, ed al risarcimento dei danni, e, in subordina, per a dichiarazione dello scioglimento del contratto preliminare per recesso del C., con condanna della T. al pagamento della somma di L. 60.000.000, pari al doppio della caparra versata, oltre ad interessi e rivalutazione.

3. – La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 29 aprile 2005, accolse la domanda principale, rigettando quella riconvenzionaie, e, così, dichiarando il recesso dell’appellante dal contratto preliminare de qua per inadempimento della T., e condannando quest’ultima al pagamento in favore del C. della somma di Euro 30987,41, pari al doppio della caparra versata, oltre agli interessi legali dalla domanda ai saldo, con esclusione della rivalutazione monetaria della somma, trattandosi di debito di valuta, nè maggior danno da svalutazione monetaria ai sensi dell’art. 1224 cpv. cod. civ., per mancanza di prova che la misura della svalutazione monetaria medio tempore maturata eccedesse il saggio degli interessi legali. La T. fu, inoltre, condannata al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. La Corte di merito ritenne fondata la censura dell’affermazione del primo giudice che, pur rilevando il difetto di regolari scarichi fognari nell’immobile de quo, lo aveva ritenuto non grave ai fini dell’art. 1455 cod. civ. Al riguardo, il giudice di secondo grado, premesso che l’assenza di uno scarico fognario conforme alla disciplina vigente incide in modo immediato sull’abitabilità di un immobile, e che, a differenza ai quanto sostenuto dal primo giudice, la eventuale costruzione del fabbricato in epoca anteriore alla prima disciplina di settore, risalente al 1967, non giustificava la mancanza di condizioni di abitabilità alla data del contratto preliminare, richiamò l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il venditore di un immobile destinato ad abitazione, in assenza di patti contrari, ha l’obbligo di dotare il bene della licenza di abitabilità, senza la quale esso non acquista la normale attitudine a realizzare la sua funzione economico-sociale. Nella specie, dalla relazione del c.t.u., e dalla documentazione ad essa allegata, era risultato che solo dopo più di tre anni dalla proposizione della domanda principale di risoluzione, il fabbricato era stato munito di uno scarico fuori fognatura, consistente nella depurazione dei reflui mediante fossa i di tipo Imhoff e successivo pozzo assorbente, giusta autorizzazione in deroga alla citata L.R. n. 13 del 1990, rilasciata dal Comune di Tortona in data 11 marzo 1998.

Il difetto di abitabilità dell’immobile costituiva, secondo la Corte di merito, al momento della proposizione della domanda di risoluzione, un inadempimento di non scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse del promissario, così legittimando il rifiuto del C. a stipulare il contratto definitivo e la sua pretesa di risolvere il contratto. Infatti, il fondo mancava, sia alla data del preliminare, sia a quella di inizio della controversia, delle opere necessario a conseguire l’autorizzazione in deroga – la cui esecuzione faceva carico alla parte promittente – essendo state queste ultime eseguite successivamente e solo ad iniziativa del terzo divenuto proprietario dell’immobile. Nè poteva fondatamente obiettarsi cig, trattandosi di contratto preliminare, l’obbligazione principale consistesse nella prestazione del futuro consenso al contratto definitivo, e che l’inadempimento di obbligazioni accessorie non avesse rilevanza risolutoria. Infatti, per un verso – osservò la Corte – l’inadempimento di non scarsa importanza non è solo quello relativo alla obbligazione principale; per l’altro, in sede di contratto definitivo, le parti non sono tenute a prestare un consenso meramente riproduttivo delle pattuizioni contenute nel preliminare, ma a manifestare un accorcio corrispondente nei fatti a quanto promesso.

Quanto alla domanda accessoria volta alla restituzione della caparra ed al risarcimento dei danni, ovvero alla restituzione del doppio della caparra, rilevò il giudice di secondo grado che, nonostante le espressioni adottate dall’appellante, fra le due formulazioni dei petitum formale non sussisteva un reale nesso di subordinazione, ma un rapporto di alternatività, e che, non avendo l’appellante provato un danno superiore al doppio della caparra, doveva riconoscersi il diritto del C. di recedere dal contratto preliminare e di ripetere dall’appellata l’importo pari al doppio della caparra. Tale ultima domanda, secondo la Corte territoriale, benchè non espressamente formulata in primo grado, non poteva considerarsi nuova, avendo minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione del contratto e risarcimento dei danni, sicchè era irrilevante il rifiuto del contraddittorio espresso dalla parte appellata.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la T. sulla base di sei motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso C.M., che ha depositato anche memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. in relazione anche all’art. 183 c.p.c., per avere la Corte di merito ammesso eccezioni nuove. Avrebbe errato il giudice di secondo grado nell’affermare che la mancanza del decreto di abitabilità integrava gli estremi dell’inadempimento legittimando il C. a recedere dal contratto preliminare e a non stipulare i contratto definitivo, laddove la eccezione di mancanza di tale decreto, in quanto sollevata per la prima volta in grado di appello, sarebbe stata tardiva perchè prospettata oltre i termini preclusivi di cui all’art. 183 cod. proc. civ.2.1. – La censura è infondata.

2.2. – Ai giudizi di appello instaurati dopo il 30 aprile 1995 deve ritenersi applicabile la disciplina di cui all’art. 345 testo previgente cod. proc. civ. (a condizione che il giudizio di primo grado sia stato, ovviamente, instaurato prima della data predetta), in virtù della disposizione transitoria di cui alla L. n. 353 del 1990, art. 90 (nella formulazione risultante dalla modifica apportata dal D.L. n. 432 del 1995, art. 9), che ha riguardo al giudizio unitariamente considerato e non già alle fasi o ai gradi in cui esso si scandisce (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 21785 del 2010, n. 23389 del 2008, n. 18207 del 2004).

Nella specie, dunque, la deducibilità di nuove eccezioni in appello era ammissibile fino al momento della precisazione delle conclusioni.

3. – Con la seconda censura si lamenta la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione agli artt. 345, 183 e 184 ccd. proc. civ. sotto il profilo della domanda o eccezione nuova. A fronte della dichiarazione della T. di non accettazione del contraddittorio sul tema, nuovo, della mancanza del certificato di abitabilità, la Corte di merito avrebbe dovuto indicare il motivo in forza dei quale aveva disatteso il rilievo di inammissibilità sollevato dalla stessa T. in ordine alla novità della eccezione sollevata, ed era invece entrata nel merito della relativa questione.

4. – La censura è inammissibile in quanto, essendo questa Corte giudice del fatto in ordine alla violazione delle norme processuali, non è denunciabile un vizio di motivazione sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. 5. – Con i terzo motivo, si deduce : Art. 360 c.p.c., n. 1 Motivi attinenti la giurisdizione; n. 3 per violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c.; e all’art. 1490 c.c. (ed ove occorre n. 5) anche in relazione al D.P.R. 22 aprile 1994, n. 425. Posto che il difetto di abitabilità è stato prospettato nella sentenza impugnata come asserita ed immediata conseguenza della irregolarità amministrativa dello scarico delle acque e non già in quanto intrinsecamente tale, si rileva che la sussistenza o meno dei requisiti per concedere il decreto di abitabilità e valutazione di pertinenza amministrativa, e quindi sottratta all’accertamento del giudice ordinario. In ogni caso – si osserva -controparte non aveva tempestivamente eccepito la mancanza del decreto di abitabilità.

Comunque, il silenzio della p.a. protrattosi per oltre per quarantacinque giorni dalla data di presentazione della domanda di attestazione di abitabilità dell’immobile – ricompresa di fatto ne la richiesta al Comune di allaccio alle pubbliche fognature: – avrebbe determinato la formazione del silenzio assenso sulla domanda, a norma del D.P.R. n. 425 del 1994, art. 3 applicabile ratione temporis.

6.1. – La censura è inammissibile.

6.2. – Premesso che non si pone neanche una questione di giurisdizione, poichè in realtà il problema affrontato dai giudici di merito non è quello della sussistenza o meno dei requisiti per il conseguimento del certificato di abitabilità, nè quello della identificazione di detti requisiti con la irregolarità degli scarichi, ma piuttosto quello della inesistenza, nella specie, dello stesso certificato, dalla quale la Corte d’appello ha inferito, discostandosi dalla conclusione del giudice di primo grado, la non scarsa importanza dell’inadempimento della promittente venditrice, e, così, la legittimità del rifiuto del C. di stipulare l’atto definitivo, si ribadisce, in ordine alla questione della mancata tempestiva eccezione relativa al difetto del certificato di abitabilità, quanto già chiarito sub 2.2.: e cioè che nella disciplina di cui al testo previgente dell’art. 345 cod. proc. civ., la deducibilità di nuove eccezioni in appello era ammissibile fino al momento della precisazione delle conclusioni.

6.3. – Nova, e, come tale, inammissibile nel presente giudizio e poi la questione della pretesa formazione del silenzio-assenso del Comune sulla domanda di conseguimento del certificato presentata dalla T..

7. – Con il quarto motivo, si lamenti violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 cod. civ. nonchè omessa e/o insufficiente motivazione e/o comunque contraddittorietà in relazione all’applicazione di detta disposizione. La Corte di merito, nel giudicare grave, in difformità dalle conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado, l’inadempimento della promettente venditrice agli effetti di cui all’art. 1455 cod. civ., avrebbe totalmente omesso di effettuare la doverosa valutazione dell’interesse del C. alla conclusione del contratto, avendo quest’ultimo chiesto alla T. di operare l’allacciamento della fognatura comunale, ma anche di procedere alla stipulazione del contratto definitivo, e con ciò dimostrando il proprio perdurante interesse alla stipulazione.

8. – La censura è inammissibile, siccome prospettante una questione mai proposta nei precedenti gradi del giudizio.

9. – Con il quinto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 345 cod. proc. civ., nonchè agli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., nonchè difetto di motivazione per avere la Corte d’appello ammesso domande nuove in secondo grado, ed ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 cod. civ. e dell’art. 1385 cod. civ. nonchè omessa motivazione in relazione all’applicazione di tale ultima disposizione. Posto che la domanda avente ad oggetto il recesso del C. era stata proposta solo in grado di appello ed in via subordinata rispetto a quella di risoluzione per inadempimento, e che in relazione ad essa la T. aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio, la Corte di merito avrebbe dovuto verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia d” una sentenza costitutiva di risoluzione, e solo se il contratto non fosse stato risolvibile, avrebbe dovuto verificare la sussistenza di un giustificato atto unilaterale di recesso posto in essere dal C.. Nella specie, invece, la Corte territoriale, dopo aver ritenuto legittima la pretesa del C. di risolvere il contratto, avrebbe fatto conseguire a tale conclusione non già gli effetti della disciplina della risoluzione, ma quelli di una sentenza dichiarativa del diritto di recedere per non essere stato dimostrato il danno.

10.1. – La doglianza è fondata nei termini che seguono.

10.2. – In tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, questa Corte, a sezioni unite, ha affermato che, qualora il contraente non inadempiente abbia agito perla risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative (Cass., sent. n. 553 del 2009).

10.3. – La sentenza della Corte di merito, che non si è attenuta all’enunciato principio di diritto, deve essere, in parte qua, cassata.

11. – Con il sesto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 cod. civ. Si richiama la seguente clausola del contratto preliminare: L’unità immobiliare promessa m vendita sarà trasferita a corpo e non a misura, cosi come vista e gradita, nello stato di fatto, di diritto e di consistenza in cui si trova……, con immissione del promesso acquirente in pieno luogo e stato del promesso venditore medesimo. Era, cioè – si osserva nel ricorso – pattiziamente conosciuta la completa cognizione della situazione dell’immobile in questione, sicchè non si sarebbe potuto fare riferimento a vizi occulti o altre mancanze, inoltre si rileva – in due punti della scrittura si ripeteva essere venduta una unità immobiliare, cioè, genericamente, una struttura, senza indicazione di una specifica caratteristica di abitabilità.

12. – La doglianza si appalesa inammissibile, in quanto coinvolgente una questione nuova, mai posta nei precedenti gradi del giudizio.

13. – Conclusivamente, deve essere accolto il quinto motivo del ricorso, rigettati gli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad un diverso giudice, che viene designato in altra sezione della Corte d’appello di Torino – cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminerà la controversia facendo applicazione del principio di diritto enunciato sub 10.2.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 21 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2011

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