Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20797 del 10/10/2011

Cassazione civile sez. II, 10/10/2011, (ud. 21/03/2011, dep. 10/10/2011), n.20797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23542/2005 proposto da:

V.D.G.R.M. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 357, presso lo studio

dell’avvocato DI SIMONE GIUSEPPE, rappresentata e difesa dagli

avvocati MAURO ROSA, CILIEGI SERGIO;

– ricorrente –

contro

P.C., P.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA A CATALANI 39, presso lo studio dell’avvocato ADOTTI

ALESSANDRO, rappresentati e difesi dall’avvocato DE MICHELE Antonio;

– controricorrenti –

e contro

D.C., D.T.V., P.A., D.

F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1332/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 04/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

21/03/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato Ciliegi Sergio difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato in data 28 novembre 1996, V.D.G.R.M. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Benevento P.C. e P.A..

Espose che la propria madre naturale V.D. era proprietaria di un fondo rustico sito in (OMISSIS), e che aveva avuto, oltre a lei, altre tre figlie, e cioè L., che era deceduta, lasciando erede il figlio D.T.V., P. A. e P.C., proprietaria di un fondo confinante con quello della madre, e che quest’ultima, con atto del 19/6/1987, aveva donato alla figlia P.A. il fondo di proprietà della madre, deceduta senza testamento il (OMISSIS), lasciando eredi, quindi, le figlie superstiti ed il nipote.

L’attrice chiese, pertanto, che, previo accertamento della sua qualità di erede di V.D., le convenute fossero condannate alla restituzione dei fondo di proprietà della de cuius e del fabbricato su di esso edificato.

Le convenute si costituirono, eccependo la carenza di legittimazione attiva dell’attrice, di cui contestarono la qualità di erede e l’accettazione dell’eredità, ed escludendo che V.D. fosse proprietaria del fondo in questione, che sarebbe stato, invece, di proprietà di D.B.G., e condotto in affitto dalla P., e riguardo al quale sarebbe intervenuta l’usucapione, che chiesero, in via riconvenzionale, dichiararsi.

2. – Chiamati in causa Suor D.F., Suor D. C. e D.G., quali eredi legittimi di D’.Co., a sua volta erede del predetto D.B., che rimasero contumaci, il Tribunale di Benevento rigettò la domanda dell’attrice ed accolse quella riconvenzionale, dichiarando che P.C. era divenuta proprietaria del fondo in oggetto.

V.D.G.R.M. propose appello avverso la predetta sentenza.

P.C. e P.A. si costituirono in giudizio spiegando appello incidentale per ottenere la vittoria delle spese di lite anche in primo grado, compensate dal Tribunale di Benevento.

La Corte dispose la notifica dell’atto di appello a D.T.V., P.A., Suor D.C. e Suor D. F..

3. – Con sentenza depositata il 4 maggio 2005, la Corto d’appello di Napoli respinse sia il gravame principale sia l’appello incidentale.

Per quanto ancora rileva nella presente sede, osservò anzitutto il giudice di secondo grado che le deposizioni testimoniali raccolto nel giudizio di primo grado formavano un quadro probatorio adeguato a far ritenere maturata l’usucapione del fondo pretesa dalle appellate, essendo emerso che la P. lo aveva posseduto, animo domini, sin dal 1960, mentre, fino a quell’epoca, esso era stato da lei detenuto a titolo di affitto, a fronte della corresponsione del relativo canone nelle mani del D.B.. Il contratto agrario con quest’ultimo si era concluso automaticamente con la morte dello stesso, e da quei momento la P. si era comportata da proprietaria, coltivando il fondo e facendone propri i frutti senza corrispondere più alcun canone.

Nè tale possesso era stato in alcun modo contrastato da alcuno, e nemmeno poteva ritenersi che il rapporto obbligatorio fosse continuato nei confronti degli eredi del D.B., peraltro contumaci nei due gradi del giudizio. Infatti, la costituzione ex lege di un rapporto di affitto tra coeredi, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 49, comma 1, in presenza delle condizioni previste dalla legge, è possibile rilevò la Corte di merito – solo con riferimento alle successioni apertesi per morte del proprietario di fondo rustico coltivato direttamente da lui o dai familiari successivamente alla entrata in vigore di detta legge, non potendo questa trovare applicazione retroattiva, neppure con riferimento al disposte dell’art. 53 della stessa, in quanto i rapporti in corso in esso menzionati sono esclusivamente i rapporti agrari e non anche quelli di natura diversa come i rapporti successori.

La Corte aggiunse che la V. non aveva documentato la sua qualità di erede, contestata dalle parti costituite in entrambi i gradi, avendo prodotto in primo grado solo lo stato di famiglia, e, in secondo grado, lei copia fotostatica dell’atto di nascita, con attestato di conformità non all’originale, ma solo al documento esibitogli, da parte dell’ufficiale di stato civile, a mezzo di timbro palesemente illeggibile, con la conseguenza che tale copia non assumeva il valore di prova legale, ma la limitata efficacia di un principio di prova per iscritto ai sensi dell’art. 2717 cod. civ..

Peraltro, il documento in questione non poteva neanche ritenersi ritualmente prodotto nel giudizio di primo grado: la dicitura apposta dall’appellante “già doc. 3 fascicolo 1^ grado” sulla parte alta a destra del documento contrastava con l’effettivè documento – certificato di morte P.L. – allegato a quel numero del follano del fascicolo depositato.

La Corte partenopea respinse anche l’appello incidentale spiegato dalle appellate in relazione alla compensazione delle spese di lite disposta dal giudice di primo grado, ritenendo adeguata la motivazione della decisione sul punto, riferita alla particolarità della controversia ed ai presunti rapporti familiari intercorrenti tra le parti.

4. – Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso V.D. G.R.M., sulla base di cinque motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resistono con controricorso P. C. e P.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la erronea o falsa applicazione dell’art. 2719 cod. civ. e degli artt. 214 e 715 cod. proc. civ.. Avrebbe errato il giudice di secondo grado nel ritenere che la V.D.G. non avesse fornito la prova della sua qualità di erede. Si osserva in proposito che, in base al disposto dell’art. 2719 cod. civ., la copia fotografica di una scrittura ha, sul piano probatorio, la stessa efficacia di quella autentica se la conformità è attestata da un pubblico ufficiale o se non è espressamente disconosciuta. Nella specie, il giudice di secondo grado avrebbe escluso la sussistenza solo di una delle due richiamate condizioni, senza verificare la configurabilità dell’altra. A tale scopo non potrebbe, infatti, ritenersi sufficiente il riferimento alla contestazione della utilizzabilità dell’atto da parte delle appellate, odierne controricorrenti. Ed infatti, per un verso, i termini utilizzati dalla difesa delle appellate non consentirebbero di attribuire alla contestazione il valore di un espresso disconoscimento; dall’altro, il preteso disconoscimento sarebbe tardivo, in quanto non effettuato nella comparsa di costituzione e risposta, ma solo all’udienza del 4 luglio 2003. Comunque, la contestazione della utilizzabilità del documento riguarderebbe il merito del documento stesso, ma non la genuinità della copia ovvero della sua conformità all’originale.

2.1. – Il motivo è infondato.

2.2. Non è corretta l’affermazione della ricorrente secondo la quale il giudice di secondo grado si sarebbe fatto carico di una sola delle due condizioni cui l’art. 2719 cod. civ. subordina la efficacia probatoria delle fotocopie, senza accertare la insussistenza dell’altra.

Infatti, la utilizzabilità del documento era stata esclusa non solo in virtù della considerazione della mancata attestazione da parte del pubblico ufficiale della conformità all’originale (e della sola attestazione, tra l’altro, a mezzo di timbro illeggibile) del documento esibitogli, ma anche perchè detto documento era stato prodotto solo in secondo grado. E, dunque, la produzione documentale diretta a comprovare la qualità di erede della V.D.G. era tardiva.

Tale conclusione non risulta adeguatamente censurata sotto il profilo della indispensabilità della produzione del documento ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ..

2.3. – Nè, ovviamente, alcun valore può attribuirsi alla produzione del documento avvenuta con la memoria ex art. 378 cod. civ., nel presente giudizio di legittimità nel quale, a norma dell’art. 372 cod. proc. civ., non e ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del giudizio, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso.

3. – Con il secondo motivo, si deduce la erronea o falsa applicazione degli artt. 236, 565 e 566 cod. civ. e dell’art. 2967 cod. civ., nonchè la omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia. La Corte partenopea, nel ritenere non adeguata la dimostrazione da parte dell’attrice, attuale ricorrente, dello status di figlia naturale di V.D. attraverso l’allegazione del solo stato di famiglia, e carente di efficacia probatoria la copia fotostatica dell’atto di nascita prodotta in corso di causa, non avrebbe fatte corretta applicazione dei principio di diritto secondo il quale l’onere della prova della qualità di erede è soddisfatto mediante la produzione degli atti dello stato civile da cui si desume il rapporto di parentela con il de cuius a norma dell’art. 565 cod. civ.. Tra gli atti dello stato civile dovrebbe annoverarsi infatti anche lo stato di famiglia.

4.1. – La doglianza è immeritevole di accoglimento.

4.2. – A norma dell’art. 236 cod. civ., la filiazione legittima – che da luogo alla chiamata alla successione legittima – si prova con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile, e, in mancanza, con il possesso continuo dello stato di figlio legittimo.

Alle risultanze degli atti dello stato civile, dunque, non può essere assimilato il certificato di stato di famiglia.

La equiparazione è a torto sostenuta dalla ricorrente, sulla base di un orientamento giurisprudenziale (Cass., sent. n. 18856 del 2004) inesattamente invocato, in quanto riferito alla sola legittimazione processuale.

La Corte di merito si è rigorosamente attenuta al dettato normativo e nessuna violazione di diritto, come nessuna carenza motivazionale, può essere ad essa addebitata.

5. – Con il terzo motivo, si deduce erronea e falsa applicazione dell’art. 1141 cod. civ. e dell’art. 244 cod. proc. civ., nonchè dell’art. 253 cod. proc. civ., ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia. Si rileva che, a differenza di quanto sostenuto dai giudici di merito, avendo P.C. iniziato ad utilizzare al fondo di cui si tratta come detentrice quale fittavola, non si sarebbe potuta avvalere della presunzione di cui all’art. 1141 cod. civ., comma 1, ai fini del possesso utile all’usucapione, ma avrebbe dovuto dare prova di un atto di interversione.

6.1. – La doglianza è inammissibile.

6.2. – In presenza dell’accertamento da parte della Corte territoriale che il fondo in questione era originariamente di proprietà del D.B., e non di V.D., nessun interesse sussisteva in capo all’attuale ricorrente a dolersi della omessa interversione nel possesso da parte della P..

7. – Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonchè la omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato la Corte di merito nel dichiarare rigettato integralmente il gravame, nonostante avesse implicitamente riconosciuto l’appartenenza del bene in questione all’asse ereditario con il ritenere che esso fosse “fuori della comunione” solo per essere stato usucapito dalla P..

8.1. – La censura è palesemente infondata.

8.2. – La ricorrente opera un evidente travisamento delle affermazioni della Corte partenopea, la quale ha inteso semplicemente confermare la originaria proprietà del fondo in capo al D.B. ed il successivo acquisto dello stesso per usucapione da parte della P., senza che da tale conclusione possa evidentemente inferirsi alcuna implicita ammissione ci appartenenza del bene all’asse ereditario di V.D..

9. – Con il quinto motivo si lamenta la erronea e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c., degli artt. 922 e 769 cod. civ.. La Corte di merito, nei rigettare implicitamente la domanda di accertamento della illegittimità dell’atto di donazione del fondo in questione, avrebbe obliterato la circostanza che il mancato preventivo esercizio da parie della P. dell’azione di intervenuta usucapione rendeva nulla la donazione in favore della figlia.

10. – Il motivo è inammissibile per le ragioni, esposte sub 6.2. Non è, infatti, ravvisabile alcun interesse in capo alla ricorrente a far valere la nullità della donazione del fondo in questione da parte della P. alla figlia una volta che la Corte di merito ha sostenuto la proprietà originaria del fondo in capo al D. B., escludendone l’appartenenza alla madre della ricorrente medesima.

1. – In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Nella natura della controversia e nei rapporti tra le parti i giusti motivi per:

la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Dispone la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2011

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