Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20796 del 10/10/2011

Cassazione civile sez. II, 10/10/2011, (ud. 04/03/2011, dep. 10/10/2011), n.20796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

DE RANGO LAVORI PUBBLICI & PRIVATI DITTA SRL P.IVA (OMISSIS) IN

PERSONA DEL SUO LEGALE RAPPRESENTANTE PRO TEMPORE D.R.

R., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA DELLA CANCELLERIA

85, presso lo studio dell’avvocato RAFFO ALESSANDRO, rappresentato e

difeso dagli avvocati GUERRERA NICOLA, ACRI MARCELLO;

– ricorrente –

contro

SPINA FRANCESCO & PITRELLI CARLO COSTR SNC P.IVA (OMISSIS) IN

PERSONA DEGLI AMMINISTRATORI S.F. E P.C.

LEGALI RAPPRESENTANTI PRO TEMPORE, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell’avvocato TORRISI

SALVATORE, rappresentati e difesi dall’avvocato GENTILI ANGELO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 410/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 09/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Gentili Angelo difensore dei resistenti che si

riporta alle conclusioni di cui in atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.F. e P.C. con atto di citazione notificato in data 10.11.93, evocavano in giudizio avanti al tribunale di Cosenza la srl De Rango deducendo che quest’ultima, con scrittura privata del 12.9.87 aveva ad essi affidato l’appalto per la costruzione di un fabbricato per civile abitazione in località (OMISSIS), rimanendo creditori della somma di L. 68.250.000 per lavori extracontratto; chiedevano quindi la condanna della convenuta al pagamento della somma suddetta oltre rivalutazione ed interessi e con vittoria delle spese processuali.

Si costituiva la società convenuta contestando la domanda attrice, assumendo di aver pagato tutte le somme dovute per i lavori eseguiti come da quietanza definitiva a saldo rilasciata dall’impresa appaltante di cui alla fattura n. (OMISSIS) per l’importo di L. 105.000.000, oltre IVA al 4 %. L’adito tribunale di Cosenza, espletata la CTU, accoglieva la domanda attrice condannando la convenuta ala pagamento della somma di L. 29.985.263, ritenendo che le opere di sistemazione esterna non previste nel contratto d’appalto, ammontavano a tale somma, mentre la menzionata quietanza a saldo si riferiva solo ai lavori previsti nel contratto stesso.

Avverso tale decisione proponeva appello la convenuta, deducendo che la nominata fattura a saldo comprendeva invece tutti i lavori eseguiti, come poteva evincersi dalle dichiarazioni del teste escusso, secondo il quale, alla data di emissione della fattura, tutti i lavori erano stati completati. Si costituiva l’appellata chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale in punto distrazione spese processuali.

L’adita Corte di Appello di Catanzaro disponeva quindi nuova CTU per accertare in specie l’equivalente pecuniario dei lavori eseguiti in relazione al corrispettivo versato; quindi all’esito di tale accertamento tecnico, con la sentenza n. 410/2000 depos. in data 9.5.2005, in parziale accoglimento di entrambe le proposte impugnazioni, compensava per metà le spese processuali di primo grado e revocava la statuizione relativa alla distrazione, confermando nel resto la sentenza impugnata e regolando quindi le spese del grado. Sottolineava che il contratto di appalto non comprendeva i lavori di sistemazione esterna in relazione ai quali alcun rilevo poteva avere la quietanza prodotta, incombendo al debitore la prova dell’imputabilità di quel pagamento anche ai predetti lavori non rientranti nell’originario contratto. Osservava inoltre che l’impugnazione riguardava solo l’an, ma non il quantum debeatur, che dunque non poteva costituire oggetto di riesame in appello, essendosi al riguardo formato il giudicato (Cass. 2471/04;

Cass. 12785/92); invero l’effetto devolutivo dell’appello si estendeva alle questioni dipendenti rispetto a quella cui si riferiva l’impugnazione; tuttavia la dipendenza di una questione poteva comportare il riesame della stessa, anche in difetto di specifica impugnazione, solo in ipotesi d’accoglimento del motivo di appello sulla questione principale (art. 336 c.p.c.), non anche nel caso di rigetto dello stesso; da tutto ciò conseguiva, dunque, la conferma della sentenza impugnata anche in ordine all’importo della somma dovuta.

Avverso la predetta pronuncia, ricorre per cassazione l’odierna esponente sulla base di un solo mezzo; l’intimata snc SPINA e PITRELLI resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo ed unico motivo del ricorso l’esponente denunzia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della sentenza. Lamenta la non corretta valutazione delle risultanze processuali e probatorie circa la portata liberatoria della quietanza a saldo, sottolineando che l’impugnazione avrebbe dovuto trovare accoglimento quanto meno parzialmente, rideterminando il debito nella minor somma di L. 10.158.903, come accertata e quantificata in secondo grado dal ctu. In definitiva l’esponente ritiene di aver fornito la prova ” che i lavori tutti erano stati ultimati e consegnati dall’appaltatrice al momento della “ripetuta quietanza a saldo”, e che “successivamente a tale epoca l’appaltatrice non ebbe ad eseguire altri lavori e recarsi nei luoghi oggetto di appalto”, nonchè di avere corrisposto somme in misura maggiore di quelle dovute per i lavori oggetto del contratto d’appalto.

L’impresa invece avrebbe dovuto dimostrare che le somme riscosse erano da imputare esclusivamente ai lavori contrattuali.

Ad avviso del Collegio, la doglianza è chiaramente inammissibile trattandosi di rivisitazione delle risultanze istruttorie, facendo riferimento alle ctu espletate nei due gradi del giudizio di merito, ed alle testimonianze rese, senza però riportarne il contenuto ma solo la propria soggettiva lettura, in violazione del principio di autosufficienza.

Per costante insegnamento di questa Corte, invero, il motivo di ricorso per cassazione con il quale alla sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 dev’essere inteso a far valere, a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 4 in difetto di loro specifica indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello di cui trattasi – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità (v. Cass. n. 584 del 16/01/2004).

Nè, com’è del pari da tralaticio insegnamento di questa Corte, può imputarsi al detto giudice d’aver omesse l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza d’adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti – come è dato, appunto, rilevare nel caso di specie – da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo.

In altri termini, perchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.

Devesi, inoltre, considerare come, allorchè sia denunziato, con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, un vizio di motivazione della sentenza impugnata, della quale si deducano l’incongruità e/o l’insufficienza delle argomentazioni svoltevi in ordine alle prove, per asserita omessa od erronea valutazione delle risultanze processuali, sia necessario, in ottemperanza al principio dell1 autosufficienza del ricorso posto al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo – necessariamente preliminare ed, in caso d’esito negativo, assorbente – anche sulla decisività degli elementi di giudizio assuntivamente non valutati od erroneamente valutati, che il ricorrente indichi puntualmente ciascuna delle risultanze istruttorie alle quali fa riferimento e ne specifichi il contenuto mediante loro sintetica ma esauriente esposizione ed, all’occorrenza, integrale trascrizione nel ricorso, non essendo idonei all’uopo il semplice richiamo agli elementi di giudizio acquisiti nella fase di merito e la prospettazione del valore probatorio di essi quale inteso soggettivamente dalla parte in contrapposizione alle valutazioni effettuate dal giudice di quella fase con la sentenza impugnata in ordine al complesso delle acquisizioni probatorie e/o a quelle di esse ritenute rilevanti ai fini dell’adottata decisione e, tanto meno, inammissibili richiami per relationem agli atti della precedente fase del giudizio.

Ciò in quanto il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione necessariamente comporta, quale condizione d’ammissibilità del motivo, il consentire al giudice di legittimità d’effettuare la valutazione della decisività dei mezzi istruttori in discussione (ne caso eli prove per interpello o per testi, le circostanze oggetto dei capitoli sui quali interrogare od escutere;

nel caso di documenti, gli elementi identificativi ed il contenuto) in relazione alla prospettata pretesa d’una soluzione della controversia difforme da quella adottata dal giudice a quo, valutazione da compiere ancor prima di procedere a quella del merito della censura, dacchè l’una è logicamente preliminare ed il suo solo esito positivo può dare ingresso all’altra.

Il principio di preclusione nel giudizio di legittimità di temi nuovi di dibattito non precedentemente affrontati nella fase di merito, comporta, a sua volta, che questioni relative ai mezzi istruttori siano deducibili in sede di ricorso per cassazione solo ove della rilevanza ai fini decisionali dei mezzi stessi sia stata effettuata tempestiva e rituale deduzione innanzi al giudice di quella fase e che tali tempestività e ritualità (prospettazione con l’atto introduttivo ove pertinenti a mezzi d’impugnazione od entro la precisazione delle conclusioni ove pertinenti a mezzi d’eccezione e, quanto alle prove per interpello e per testi, specificazione dei capitoli ed indicazione dei soggetti da interrogare od escutere con le ragioni della qualificazione di ciascuno a rispondere) risultino dalla sentenza impugnata o, in difetto, da adeguata indicazione contenuta nel ricorso mediante precisazione dell’atto della fase di merito in cui le prospettazioni stesse erano state effettuate e delle modalità della loro formulazione, onde consentire al giudice di legittimità di controllare ex actis la veridicità dell’asserzione anzi d’esaminare nel merito la questione proposta, ovvio essendo come una censura che si traduca, di fatto, in un’istanza d’ulteriore diversa indagine istruttoria, della quale non si deduca nè dimostri aver già formato oggetto di specifica e rituale richiesta in sede di merito, non possa trovare ingresso in sede di legittimità. Nella specie, non risultano rispettati i due surrichiamati principi: parte ricorrente non ha riportato, neppure per sommi capi, il contenuto dei mezzi istruttori in discussione, nè ha adeguatamente esplicitato sotto quali aspetti dagli stessi sarebbero stati desumibili elementi di giudizio tali da consentire una decisione della controversia difforme da quella adottata dal giudice a quo, onde l’esame di quanto dedotto non consente di valutare se ed in quale misura sussistesse un’effettiva rilevanza delle prove alle quali è fatto riferimento e mancano, quindi, elementi di giudizio idonei a fornire qualsivoglia supporto al controllo di questa Corte sulla decisività, sia pure in astratto, d’un eventuale loro espletamento; nè, ancora, parte ricorrente ha riportato gli elementi necessari all’ulteriore previo esame della già avvenuta tempestiva e rituale prospettazione e/o contestazione in fase di merito dei mezzi istruttori in discussione.

In vero, il motivo, già non inteso a censurare la ratio decidendi ma a prospettare una diversa interpretazione degli accertamenti in fatto, estranea alle valutazioni rimesse al giudice della legittimità e per ciò solo inammissibile, neppure risulta adeguatamente specifico in ordine alle risultanze istruttorie delle quali denunzia l’erronea od insufficiente valutazione, e tale inottemperanza ai principi d’autosufficienza del ricorso per cassazione e preclusione delle questioni non prospettate nel giudizio di merito ne è ulteriore motivo d’inammissibilità. Dall’esame di quanto dedotto non è dato, infatti, desumere non solo l’effettiva rilevanza delle prove documentali e testimoniali alle quali parte ricorrente ha fatto riferimento – giacchè il materiale probatorio acquisito in fase di merito è indicato genericamente e/o solo parte di esso appare preso in considerazione – ma neppure l’esatto significato delle stesse – giacchè non ne è riportato l’integrale contenuto bensì una frammentaria ricostruzione, basata sull’estrapolazione di talune componenti o sulla prospettazione per riassunto del loro significato quale da parte ricorrente soggettivamente inteso – cosicchè, avulse dal loro contesto e dal complesso delle emergenze istruttorie e collegate con altri singoli elementi del pari riassunti od estrapolati, vengono utilizzate al fine d’estrarne significati verosimilmente favorevoli alle tesi sostenute dalla parte stessa, ma non risultano, all’evidenza, suscettibili d’adeguato riscontro e, quindi, costituiscono elementi di giudizio inidonei a fornire qualsivoglia supporto al controllo di questa Corte sulla decisività d’un eventuale loro riesame ai fini d’una soluzione dei punti salienti in controversia difforme da quella adottata dal giudice a quo.

Una notazione particolare meritano le argomentazioni critiche che il ricorrente svolge in ordine alla consulenza tecnica d’ufficio imputando ai giudici del merito, primo e secondo, d’averla recepita nonostante gli errori nei quali era, a suo avviso, incorso l’ausiliare.

In generale, non si può fondatamente rimproverare al giudice del merito, come fa parte ricorrente, di non aver operato valutazioni e raggiunto convincimenti autonomi sugli accertamenti effettuati da consulente tecnico d’ufficio e d’aver recepito le argomentazioni sviluppate e le conclusioni rassegnate da quest’ultimo disattendendo quelle di parte: in materia che richiede un elevato livello di cognizioni tecniche specifiche, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito, nella cui esclusiva competenza rientra pervenire a siffatta determinazione, incensurabile in questa sede, astenersi dall’effettuare considerazioni personali determinanti e valutazioni comparative che mancherebbero del supporto d’un’appropriata preparazione scientifica, tanto più ove le argomentazioni dell’esperto nominato dall’ufficio, assistite dalla presunzione d’imparzialità, si contrappongano, con supplementi di consulenza e/o relazioni a chiarimento, a quelle degli esperti di parte, comunque meno attendibili se non altro in quanto influenzate dall’esigenza di sostenere le ragioni del preponente.

Di conseguenza, giusta i già richiamati principi di specificità, autosufficienza e preclusione, ove parte ricorrente denunzi l’omesso od insufficiente esame di fatti, di circostanze, di rilievi mossi alle risultanze di ordine tecnico ed al procedimento pure tecnico seguito dal consulente d’ufficio, il motivo non può essere limitato a censure d’erroneità e/o di inadeguatezza della motivazione od anche d’omesso approfondimento di determinati temi d’indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto il consulente d’ufficio poi recepite dal giudice; è, per contro, necessario che parte ricorrente non solo precisi e specifichi, svolgendo concrete e puntuali critiche, le risultanze e gli elementi di causa dei quali lamenta la mancata od insufficiente valutazione, ma, soprattutto, indichi, in particolare, le esatte controdeduzioni alla consulenza d’ufficio che abbia effettivamente svolte nel giudizio di merito e dimostri come le stesse siano state neglette e come tale negligenza abbia comportato l’erroneità della decisione impugnata.

Orbene, esaminando il caso di specie, devesi rilevare come, anzitutto, nelle deduzioni di parte ricorrente non risulti adeguatamente esplicitato se, in quali termini, in quali occasioni e con quali atti, alla corte di merito fossero stati segnalati errori del consulente d’ufficio, così nel rilievo e nell’elaborazione dei dati posti a base della relazione commessagli come nello svolgimento dell’iter logico iniziato con l’analisi di quei dati e terminato con le rassegnate conclusioni, ed, in secondo luogo, non risulta se, in quali esatti termini e con quali precise finalità, alla corte stessa fossero stati richiesti una nuova consulenza od un ulteriore supplemento di quella già espletata e del suo supplemento, tanto più necessari attese le critiche che si assume fossero state rivolte all’opera svolta dal consulente d’ufficio; il ricorrente si limita a fare riferimento ad alcuni elementi di giudizio ed a trame le proprie personali conclusioni per dimostrare l’assunta erroneità delle argomentazioni del consulente d’ufficio e della corte territoriale, così traducendosi il motivo non in una specifica censura ma in una semplice prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice a quo, del tutto irrilevante in questa sede attenendo all’ambito della discrezionalità del giudice del merito nella valutazione dei fatti e nella formazione del proprio convincimento, dei quali si finisce per chiedere una revisione inammissibile in questa sede, e non ai vizi dell’iter di detta formazione rilevanti ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Non senza considerare, in definitiva, sia pure solo per completezza argomentativa, che la motivazione fornita dal detto giudice all’assunta decisione risulta logica e sufficiente, basata com’è su considerazioni adeguate in ordine alla valenza oggettiva dei vari elementi di giudizio risultanti dagli atti e su razionali valutazioni di essi; un giudizio operato, pertanto, nell’ambito dei poteri discrezionali del giudice del merito a fronte del quale, in quanto obiettivamente immune dalle censure ipotizzabili in forza dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la diversa opinione soggettiva di parte ricorrente è inidonea a determinare le conseguenze previste dalla norma stessa.

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in di Euro 1.700.000, di cui Euro 1.500,00 per onorario, oltre accessori come per legge;

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2011

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