Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20793 del 01/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 01/08/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 01/08/2019), n.20793

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15120-2014 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 6,

presso lo studio dell’avvocato VANIA ROMANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato DARIO D’ORIA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ESTER ADA

SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A., (già Equitalia Lecce S.p.A. ed Equitalia ETR

S.p.A., già Equitalia Lecce S.p.A, in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNI GRECO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4044/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 25/11/2013 R.G.N. 3980/2011.

Fatto

Rilevato

che:

La Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 4044/2013, ha respinto l’impugnazione proposta da M.M. (quale socio della s.d.f., M.M. & Compagni, che aveva dichiarato di aver cessato ogni attività sin dal 15 settembre 1980 con cancellazione dal Registro delle imprese e chiusura della partita i.v.a.) avverso la sentenza emessa dal Tribunale Giudice del lavoro di Lecce, nei confronti dell’Inps anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a. e di Equitalia Sud s.p.a., con la quale era stata rigettata l’opposizione proposta avverso il ruolo esattoriale ordinario n. 2005/23 emesso dall’Inps in data 10-12-2004 in ragione dell’omesso versamento della contribuzione dovuta in relazione ai modelli DM10 inviati il 23 febbraio 2004 e riferiti al periodo 2002-2003, oltre somme aggiuntive ed interessi di mora) asseritamente mai notificato e di cui la parte aveva affermato essere venuta a conoscenza solo casualmente, in data 23 gennaio 2008;

i motivi d’appello erano basati: 1) sulla nullità e o inesistenza della iscrizione a ruolo del debito contributivo nei riguardi di soggetto inesistente dato che la società era estinta sin dal 1980, in violazione dell’art. 2945 c.c.; 2) sulla erronea attribuzione di atti idonei ad interrompere la prescrizione dei crediti contributivi azionati, ai DM/10 tardivamente prodotti in copia dall’INPS e che erano stati disconosciuti dalla parte opponente senza che l’INPS avesse chiesto la verificazione; 3) sull’omesso riconoscimento da parte del Tribunale della decadenza prevista dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25; 4) sulla eventuale necessaria applicazione delle sanzioni previste dalla L. n. 388 del 2000, art. 116, lett. a) e b);

ad avviso della Corte territoriale, rilevata la novità delle ultime due questioni e condivisa la tempestività dell’opposizione per la nullità della notifica della cartella eccepita dal concessionario, l’appello era infondato in ragione del fatto che il credito contributivo preteso traeva origine da posizioni denunciate dalla stessa datrice di lavoro su modelli DM10, non passibili di essere messi in discussione e le somme aggiuntive erano state calcolate secondo legge; peraltro, la prescrizione era stata interrotta dalla ricognizione di debito avvenuta nel febbraio 2004 nonchè nel gennaio 2008;

avverso tale sentenza ricorre per cassazione, M.M. sulla base di quattro motivi;

resistono con controricorso Inps, anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a., ed Equitalia Sud s.p.a..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, intitolato “violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 4” si deduce l’erroneità e la nullità della sentenza impugnata laddove la stessa non avrebbe pronunciato su gran parte delle domande proposte ritenendole nuove mentre, al più, questioni nuove avrebbero potuto considerarsi solo la eccepita decadenza ed il calcolo delle sanzioni, mentre vi sarebbe stata omessa pronuncia in ordine all’eccezione di illegittimità del ruolo in quanto rivolto a società estinta, alla prescrizione dei crediti, alla opponibilità all’ex socio della società estinta del credito contributivo iscritto a ruolo, alla illegittimità dell’esecuzione iniziata senza alcuna notifica all’esecutato di alcun idoneo titolo ed all’inesistenza di un debito dell’ex socio per presunti debiti sociali;

con il secondo motivo si denuncia violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 2945 e 2312 c.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio consistente nella estinzione della società;

il terzo motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 214 e 218 c.p.c. posto che la Corte non aveva considerato che i DM10 erano stati disconosciuti e l’INPS non aveva chiesto la verificazione;

il quarto motivo è riferito alla violazione degli artt. 2943,2944 e 1219 c.c. in ragione del fatto che, oltre alla mancata verificazione dei DM10, la Corte di merito aveva trascurato di considerare che i medesimi risultavano rilasciati da soggetto societario diverso dall’opponente per cui non potevano assumere l’efficacia di un atto di ricognizione del debito;

ì primi due motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati; la sentenza impugnata, infatti, seppure implicitamente, ha deciso nel merito ritenendo esistente nei confronti di M.M. il credito contributivo iscritto a ruolo e, quindi, ha ritenuto infondate le tesi sostenute dall’appellante che tendevano a far accertare il proprio difetto di titolarità passiva, quale socio di fatto della M.M. & Compagni e, comunque, l’inesistenza del medesimo debito; per costante giurisprudenza di questa Corte di cassazione, non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. n. 15255 del 4 giugno 2019; Cass. n. 20718 del 2018);

peraltro, va considerato che,nel caso di specie, l’appellante non ha negato che la s.d.f. M.M. & Compagni fosse mai esistita, ma ha ritenuto che a seguito della cancellazione dal registro delle imprese e della chiusura della partita IVA, addirittura risalenti al 15 settembre 1980, non si potesse più configurare un rapporto contributivo con l’Inps, nonostante la emissione di denunce a mezzo DM10, comunque disconosciute;

in primo luogo, va rilevato che il ricorrente non ha allegato al ricorso, nè ha riportato i contenuti della documentazione relativa alla cancellazione della società di fatto che pone a base dei motivi;

in generale, comunque, in ordine agli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, dopo la riforma del diritto societario attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, proseguendo l’opera ricostruttiva già avviata con le sentenze nn. 4060-4061-4062 del 22 febbraio 2010, va rimarcato che le Sezioni Unite hanno affermato che, solo dall’entrata in vigore della novella del 2003, la cancellazione determina l’estinzione della società di capitali e la presunzione d’estinzione della società di persone, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad esse facenti capo, avendo la riforma adottato, per una ratio di certezza giuridica, il sistema della liquidazione “formale” (Sez.U. 22 febbraio 2010, n. 4060); da tale premessa, le Sezioni Unite muovono quindi, con la sentenza 12 marzo 2013 n. 6070, per ricostruire le conseguenze dell’estinzione in termini – lato sensu successori;

dunque, ratione temporis, la ricostruzione giuridica invocata dal ricorrente non è applicabile trattandosi di pretesa cancellazione risalente al 1980 ed in relazione a contribuzione dovuta dal novembre 2002 al dicembre 2003;

quanto, poi, agli effetti sostanziali passivi, è noto che la società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte ai terzi, quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l’insorgere dell’opinione ragionevole che essi agiscano come soci e del conseguente legittimo affidamento circa l’esistenza della società stessa: in tale ipotesi, a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trattato col socio apparente provi un comportamento che sia idoneo a designare la società come titolare del rapporto;

in tal caso incombe sulla società apparente la prova che controparte fosse consapevole dell’inesistenza del vincolo sociale e, quindi, non meritevole di tutela (Cass. n. 9250/2006) infatti, rispetto ai terzi, soprattutto per la configurabilità della responsabilità delle persone o dell’ente, è sufficiente dimostrare la c.d. “apparenza della società”, ossia l’operare nel mondo esterno di due o più persone in modo da generare il convincimento che le stesse agiscano come soci (Cass. n. 11491 del 2004; Cass. n. 9030 del 1997; Cass. n. 6770 del 1996; Cass. n. 3003 del 1996);

nel caso di specie, tale apparenza è costituita dalle denunce inviate con i modelli DM10 e, dunque, sarebbe spettato all’opponente dimostrare l’insussistenza del rapporto societario e, quindi, l’erroneità della pretesa;

neppure ha pregio l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’attuale ricorrente in quanto soggetto differente dalla società presunta datrice di lavoro, considerato che è ammissibile l’azione promossa dall’INPS, contro il socio di una società di fatto, per il pagamento di contributi assicurativi ed essa non richiede l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri soci, coobbligati in solido; la solidarietà passiva, infatti, non si ricollega ad un unico ed inscindibile rapporto fra creditore e debitori, e, pertanto, non dà luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. n. 4018 del 3 novembre 1976);

il terzo motivo è pure infondato;

sostiene il ricorrente di aver disconosciuto, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., nel corso dell’udienza del 20 gennaio 2010, una comunicazione prodotta dall’INPS datata 16 novembre 2007, e che, a fronte di tale disconoscimento, l’Istituto non aveva chiesto la verificazione per cui alcuna efficacia probatoria avrebbe potuto riconoscersi alla documentazione prodotta dall’Istituto;

il rilievo è infondato giacchè non deduce circostanze idonee a far ritenere violate le regole processuali richiamate;

infatti, in nota, viene riprodotto il testo del verbale d’udienza nella parte in cui l’odierno ricorrente, dopo aver precisato di non saper dire “personalmente” se e quando fossero stati presentati all’Inps i mod. DM10, in quanto tali informazioni le conoscevano i consulenti, dichiara che non è propria la firma in calce alla comunicazione che gli viene mostrata;

è, dunque, evidente che il mancato riconoscimento della firma non determina alcuna incertezza sulla effettiva provenienza della denuncia da soggetto comunque riferibile alla società di fatto alla quale la denuncia è riferita;

invero, il disconoscimento della scrittura privata da parte di una persona giuridica, perchè sia validamente effettuato e sia idoneo ad onerare l’avversario (che insista ad avvalersi dello scritto) di richiederne la verificazione, necessita di un’articolata dichiarazione di diversità della firma risultante sul documento rispetto alle sottoscrizioni di tutti gli organi rappresentativi, specificamente identificati od identificabili, atteso che, nel caso della persona giuridica, assistita da una pluralità di organi con il potere di firmare un determinato atto, sussistono più sottoscrizioni qualificabili come proprie del soggetto societario (Cass. n. 3620 del 2010; n. 7240 del 2019);

il quarto motivo è pure infondato; in parte, per quanto appena detto circa la irritualità dell’affermato disconoscimento ai fini della efficacia degli atti interruttivi positivamente valutati dalla sentenza impugnata ed, in parte, per la erronea ricostruzione giuridica della definizione del soggetto titolare passivo dell’obbligazione contributiva in materia di società di fatto;

il motivo, infatti, laddove mira a paralizzare l’operatività dell’efficacia interruttiva degli atti valorizzati dalla Corte d’appello, in quanto posti in essere dalla società, soggetto diverso dallo stesso ricorrente, non tiene conto che questa Corte di legittimità ha, in proposito, affermato che quanto alla titolarità dell’obbligazione contributiva, le società di fatto, sono equiparabili alle società in nome collettivo irregolari e si caratterizzano per la responsabilità solidale ed illimitata verso i terzi di tutti i soci e non solo di coloro che hanno agito in nome della società; pertanto la responsabilità per il mancato adempimento dell’obbligo contributivo verso l’I.N.P.S. incombe, oltrechè sulla società, su tutti i componenti della medesima, salva la prova di un patto sociale noto ai terzi in tema di attribuzione dei poteri di rappresentanza ad un determinato socio o di limitazione degli stessi poteri (Cass. n. 14084 del 2010);

pertanto, il motivo, che neanche contesta ulteriormente i contenuti degli atti valutati dalla Corte territoriale con riguardo alla ricognizione di debito che si è affermata essere intervenuta nel 2004, non intacca adeguatamente la decisione impugnata in punto di infondatezza dell’eccezione di prescrizione, essendo peraltro non risolutiva la considerazione della irrilevanza della consegna del ruolo avvenuta nell’anno 2008, considerato che il ricorso proposto dal M., quanto alla prescrizione dei contributi pretesi, era riferito alla prescrizione maturata alla data di consegna del ruolo e non a quella successiva a tale evento;

vale, infatti, il principio secondo il quale l’eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso (Cass. n. 14135 del 23 maggio 2019; Cass. n. 15991 del 2018);

in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo, in favore di ciascun controricorrente;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4500,00 per compensi, per ciascun contro ricorrente, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2019

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