Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20791 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/07/2021, (ud. 26/03/2021, dep. 21/07/2021), n.20791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4416/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.M.G., rappresentata e difesa dall’avv. Michele

Castellano, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato

Arnaldo Del Vecchio in Roma, viale Mazzini 73;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, n. 1/6/13, depositata il 2 gennaio 2013, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2021

dal Consigliere Adet Toni Novik.

 

Fatto

RITENUTO

che:

– l’agenzia delle entrate ricorre per Cassazione avverso la sentenza resa dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, n. 1/6/13, depositata il 2 gennaio 2013, che ha accolto l’appello di G.M.G. proposto contro quella della Commissione tributaria provinciale di Bari, che ne aveva respinto il ricorso relativo agli avvisi di accertamento per Iva, Irpef ed altro, relativi agli anni di imposta 2003-2004;

– risulta dagli atti, che gli avvisi di accertamento impugnati traevano origine da una verifica fiscale effettuata nei confronti della ditta individuale G.M.G., all’esito della quale i verificatori avevano ritenuto che sotto la forma della ditta individuale era da ravvisarsi la società di fatto “Motauto 2C di G.M.G., C.G. e C.V.”;

– la CTP aveva accolto il ricorso della contribuente ritenendo inesistente una società di fatto; la CTR aveva confermato la sentenza; l’agenzia delle entrate aveva prestato acquiescenza e, nel prosieguo, utilizzando il PVC della pregressa verifica fiscale, aveva emesso nuovi avvisi di accertamento nei confronti della ditta individuale “Motauto 2C di G.M.G.”;

– la contribuente aveva impugnato tali avvisi con distinti ricorsi;

– la CTP, riuniti i ricorsi, li aveva respinti, sul rilievo della sussistenza delle irregolarità contabili ed omissioni riscontrate;

– la CTR ha accolto l’appello della contribuente, censurando il comportamento dell’agenzia che aveva aderito acriticamente al PVC della Guardia di Finanza emesso nei confronti di un soggetto inesistente e ritenendo privo di motivazione l’accertamento redatto con l’utilizzo delle risultanze contenute nel PVC elevato nei confronti della società di fatto, che rappresentava formalmente altro soggetto giuridico e d’imposta, diverso dalla ditta individuale;

– la contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, l’agenzia eccepisce la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”: in particolare, si duole che la sentenza impugnata aveva omesso di esaminare la questione della inammissibilità dei ricorsi introduttivi per tardività, sollevata in primo grado, avendo la contribuente proposto ricorso il 26 febbraio 2009, oltre il termine di 60 giorni dalla notifica degli avvisi di accertamento, perfezionatasi in data 2 dicembre 2008, dopo il decorso di 10 giorni previsti per compiuta giacenza il 2 dicembre 2008 (avviso di deposito dell’atto era avvenuto il 22 novembre 2008); osserva l’agenzia di aver sollevato la questione nelle controdeduzioni in appello e depositato “con l’apposizione delle annotazioni da parte dell’agente postale, copia del mod. 23 L, correttamente compilato ed inviato all’ufficio accertatore mittente, congiuntamente all’avviso di ricevimento, per entrambi gli atti impositivi inviati per la notifica all’ente Poste Italiano”; rileva come la nullità sia rilevabile d’ufficio, e censura che entrambi i giudici di merito non abbiano approfondito l’ammissibilità dei ricorsi iniziali;

– con il secondo motivo, in subordine, la medesima questione viene proposta come “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”;

– il ricorso è infondato per le ragioni che si espongono;

– la questione che si pone all’esame del Collegio attiene alla sola impugnazione nel secondo grado di merito;

– nel ricorso per cassazione l’agenzia afferma che nel giudizio di primo grado essa, nelle controdeduzioni, aveva sollevato preliminarmente l’eccezione di inammissibilità del ricorso del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, perché, come sopra dettagliatamente indicato, proposto tardivamente;

– il giudice di primo grado non aveva esaminato l’eccezione, ma si era pronunciato nel merito rigettando le eccezioni di nullità sollevate dalla contribuente;

– la sentenza era stata appellata dalla contribuente; costituendosi in giudizio, l’agenzia aveva riproposto la questione della inammissibilità dei ricorsi introduttivi per tardività, già sollevata in primo grado;

– ciò posto in punto di fatto, ne segue in diritto che l’agenzia, ove avesse voluto introdurre in appello la questione della tardività del ricorso, avrebbe dovuto proporre appello incidentale condizionato avverso la suddetta statuizione, come da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite n. 11799 del 12/05/2017, Rv. 644305 – 01, in motivazione, secondo cui, con riferimento alle eccezioni di rito, da affrontare per prime, secondo l’ordine posto dall’art. 276 c.p.c., in quanto esse pregiudicano astrattamente la possibilità di decidere nel merito “qualora esse siano state disattese espressamente o indirettamente dal primo giudice, che, dunque, su di esse abbia pronunciato, non è dubbio che la parte soccombente su di esse, ma vittoriosa quanto all’esito finale della lite e, dunque, in posizione di soccombenza teorica, se vuole ottenere che esse siano riesaminate dal giudice, investito dell’appello principale sul merito della controparte, deve farlo proponendo appello incidentale e non ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

Può accadere che il giudice, nel pronunciare nel merito, rigettando la domanda, ometta di decidere su un’eccezione di rito proposta dal convenuto, nel senso che se ne disinteressi completamente. In tal caso il giudice non solo ha violato l’art. 276 c.p.c., ma il suo disinteresse, a differenza di quello su un’eccezione di merito, non si presta affatto solo ad una valutazione astratta di infondatezza dell’eccezione ma senza alcuna possibilità di considerarla come effettiva, potendo, come s’e’ detto, il giudice solo avere scelto la soluzione più liquida. In questo caso, poiché l’eccezione di rito doveva esaminarsi prima del merito e ne condizionava l’esame, il silenzio del giudice si risolve però – ancorché la sua opinione sull’eccezione di rito non sia stata manifestata e possa in ipotesi essere espressione di scelta della soluzione più liquida – in un error in procedendo, cioè nell’inosservanza della regola per cui il merito si sarebbe potuto esaminare solo per il caso di infondatezza dell’eccezione di rito. La violazione di tale regola, in quanto ha inciso sulla decisione, esige allora una reazione con l’appello incidentale e non la riproposizione dell’eccezione di rito, perché è necessario che essa venga espressa con un’attività di critica del modus procedendi del giudice di primo grado, che necessariamente avrebbe dovuto esaminare l’eccezione di rito (circa il modo in cui il giudice d’appello andrà investito si ricorda che non si tratterà della denuncia del vizio di omessa pronuncia, bensì della denuncia dell’esistenza del vizio della sentenza per l’eccezione di rito di cui trattasi: in termini Cass. n. 1791 del 2009 e n. 5482 del 1997; adde: Cass. n. 10073 del 2003, n. 14670 del 2001; n. 3927 del 2002; n. 603 del 2003)”:

– si deve, quindi affermare, che allorquando il giudice di primo grado ha erroneamente giudicato implicitamente o ha omesso di pronunciarsi su una questione di diritto, la parte che intenda dolersi del silenzio sulla questione, ha l’onere di denunciare l’error in procedendo proponendo appello incidentale;

– nel caso in esame, è l’agenzia stessa che qualifica come riproposizione, e non come appello incidentale, la questione della inammissibilità dei ricorsi per tardività;

– né può invocarsi il potere della Corte di provvedere d’ufficio, dal momento che, una volta che l’eccezione sia stata formalmente introdotta, da cui consegue l’obbligo del giudice di provvedere, cade il potere del giudice di rilevare d’ufficio d’inammissibilità (v. in tema di giurisdizione “La parte risultata vittoriosa nel merito nel giudizio di primo grado, al fine di evitare la preclusione della questione di giurisdizione risolta in senso ad essa sfavorevole, è tenuta a proporre appello incidentale, non essendo sufficiente ad impedire la formazione del giudicato sul punto la mera riproposizione della questione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., in sede di costituzione in appello, stante l’inapplicabilità del principio di rilevabilità d’ufficio nel caso di espressa decisione sulla giurisdizione e la non applicabilità dell’art. 346 c.p.c. (riferibile, invece, a domande o eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione o non autonome e interne al capo di domande deciso) a domande o eccezioni autonome espressamente e motivatamente respinte, rispetto alle quali rileva la previsione dell’art. 329 c.p.c., comma 2, per cui in assenza di puntuale impugnazione opera su di esse la presunzione di acquiescenza”. (Sez. U, Ordinanza n. 25246 del 16/10/2008, Rv. 604935 – 01)”;

– nulla per le spese: rileva il Collegio che, in relazione alla notificazione a mezzo posta, è consolidato l’orientamento della Corte secondo il quale, per il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario, è necessario ch’egli abbia ricevuto l’atto o che esso sia pervenuto nella sua sfera di conoscibilità; e che l’unico documento idoneo a fornire tale dimostrazione, nonché della data in cui essa è avvenuta e dell’identità ed idoneità della persona cui il plico sia stato consegnato, è la ricevuta di ritorno della raccomandata (L. n. 890 del 1982, art. 149 cit., e art. 4, commi 3 e 8); ovvero, per il caso di suo smarrimento o distruzione, il duplicato rilasciato dall’ufficio postale. Così che, quando la legge – nel caso l’art. 370 c.p.c. – richiede la notificazione del controricorso ed il notificante non ottemperi, come nella specie, all’onere di depositare in giudizio la ricevuta di ritorno, il controricorso è inammissibile.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara inammissibile il controricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

 

 

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