Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20791 del 10/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 10/10/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 10/10/2011), n.20791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

COMUNE di PISA (OMISSIS), in persona del Dirigente della

Direzione Finanze e Politiche Tributarie, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PANARITI

BENITO, rappresentato e difeso dall’avvocato LAZZERI GLORIA giusta

Delib. consiliare 18 gennaio 2001, art. 18 e giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ BAGNO SARDEGNA SRL (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIUNIO BAZZONI 1, presso lo studio dell’avvocato ASCIANO FRANCESCO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNELLI ALBERTO giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA del TERRITORIO di ROMA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 47/2008 della COMMISSIONE REGIONALE di FIRENZE

del 6/03/08, depositata il 02/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito l’Avvocato Giovannelli Alberto, difensore della

controricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. TOMMASO BASILE che aderisce

alla relazione.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La CTR della Toscana con sentenza dep. il 02/10/2008 ha, accogliendo l’appello della società contribuente, riformato la sentenza della CTP di Pisa che aveva rigettato il ricorso del medesimo avverso l’avviso di liquidazione e irrogazione sanzioni del Comune di Pisa per ICI 1999 in ordine a immobili costruiti in virtù di antica concessione su demanio comunale e statale destinati ad uso stabilimento balneare.

La CTR ha ritenuto che, trattandosi di annualità anteriore alla L. Finanziaria del 2001, art. 18, la controversia andava decisa in base alla natura del diritto attribuito con la concessione e che, nel caso in esame, la natura dell’atto (locazione) e l’obbligo assunto dal concessionario di rimuovere il manufatto facevano ritenere che si trattasse di diritto d natura obbligatoria, a nulla rilevando le contrarie osservazioni circa la sostanziale inamovibilità delle opere per le consuete rinnovazioni delle concessioni, la dedotta impropria qualificazione della concessione quale locazione e il diritto di concedere ipoteca o alienarli al terzo subentrante la concessione in quanto era necessario il preventivo assenso del Comune. Ha proposto ricorso per cassazione, illustrato con memoria, con sette motivi, il Comune di Pisa per violazione e falsa applicazione di legge e vizio motivazionale. La società contribuente ha resistito con controricorso. Preliminarmente è fondato il rilievo di cui al controricorso di inammissibilità del ricorso per quanto rivolto all’Agenzia del Territorio non parte della precedente fase del giudizio.

Infondato è però il rilievo di non integrità del contraddittorio nei confronti della S.E.Pi. Società Entrate Pisa s.p.a. in quanto per costante giurisprudenza non esiste litisconsorzio necessario tra Ente titolare della pretesa tributaria e concessionario della riscossione(Cass. n. 22939/07, SS.UU. n. 16412/07). Col primo motivo il Comune deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 e L. n. 388 del 2000, art. 18 in quanto tale ultima disposizione doveva intendersi riferita alle sole aree date in concessione o già edificate,attribuendosi ai relativi concessionari la soggettività passiva d’imposta, laddove il concessionario che avesse costruito in virtù di concessione lo era già sotto la precedente normativa, D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58.

Le SS.UU di questa Corte(n. 3692/2009) hanno osservato che “la L. n. 388 del 2000, art. 18, cui fondatamente il giudice tributario riconosce efficacia non retroattiva, modificando il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 2, ha esteso la soggettività passiva dell’imposta ai concessionari di aree demaniali.

La fattispecie considerata dalla norma riguarda tuttavia – come è reso palese dal tenore letterale della disposizione – il mero concessionario di area demaniale, precedentemente di certo non soggetto all’imposta, ma non il proprietario di un immobile costruito, in forza di concessione, su un’area demaniale, che invece – secondo la giurisprudenza di questa Corte – doveva ritenersi già soggetto ad ICI. Come si sottolinea infatti con chiarezza, da ultimo, nelle sentenze 22757/04 e 8637/05, il provvedimento amministrativo di concessione ad aedificandum su un area demaniale può in astratto dare luogo sia ad un diritto di natura reale, riconducibile alla proprietà superficiaria (cfr. Cass. 1718/07 e 21054/07, proprio con riferimento all’ipotesi di stabilimento balneare), sia ad un diritto di natura personale, che possa essere fatto valere nei confronti del solo concedente, gravando sulla parte che invoca tale seconda configurazione giuridica l’onere di dedurre chiari indici rilevatori (Cass. 4402/98, 7300/01, 9938/08), tra i quali rilievo decisivo deve essere attribuito alla destinazione dell’opera costruita dal concessionario al momento della cessazione del rapporto, “dato che è evidente che, se essa torna nella disponibilità del concedente, ci troviamo in presenza di un rapporto obbligatorio” (così Cass. 22757/04).

Premesso che il relativo accertamento, integrando una questione di fatto, va rimesso al giudice del merito, deve sottolinearsi che, nel caso di proprietà superficiaria, l’assoggettamento dell’immobile all’ICI deriva dal testo originario del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 (v. Cass. 7273/99) e non dalla modifica apportatavi dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, comma 1, che ha espressamente ricompreso tra i soggetti passivi il titolare del diritto di superficie, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte il carattere meramente interpretativo della norma del 1997 (Cass. 242/04, 17730/06 e altre)”.

La CTR ha fatto corretta applicazione di tali principi nel momento in cui ha riconosciuto tale discrimine e ha, per il periodo anteriore alla entrata in vigore della detta legge (il caso in esame) ritenuto necessario l’esame dell’atto concessorio per valutare la sussistenza in capo al concessionario di un diretto reale o di in diritto personale.

In base a tale giurisprudenza è infondato anche il secondo motivo di diritto con cui si assume che solo dal 1998 i gestori di stabilimenti balneari assumerebbero la veste di legittimati passivi, laddove il contestuale censura di vizio motivazionale non si conclude con il momento di sintesi omologamente richiesto da questa giurisprudenza ai fini dell’ammissibilità del motivo.

Il ricorso andava soggetto alle disposizioni di cui all’art. 366 bis in ordine alla formulazione dei quesiti. Questa Corte (Cass. n. 7119/2010) ha ritenuto che solo i ricorsi per Cassazione proposti contro provvedimenti pubblicati o depositati dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (4 luglio 2009) sono soggetti alla norma abrogatrice dell’art. 366 bis c.p.c..

Nel caso di specie il provvedimento impugnato è stato depositato in data anteriore (2/10/2008).

Orbene questa Corte ha già avuto modo di chiarire (SS.UU n. 16528/2008) che secondo l’art. 366 bis c.p.c. introdotto dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, l’illustrazione di ciascun motivo, a pena di inammissibilità, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4) si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto (Cass. SS.UU. n. 23732/2007, n. 23153/2007, n. 20360/2007, n. 19892/2007), mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. 3441/2008, 2697/2008). Pertanto, la relativa censura (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) “deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), costituente una parte del motivo che si presenti, a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità”.

Nel caso in esame sebbene siano stati correttamente proposti i quesiti i ordine alle censure per violazione o falsa applicazione di legge invece, in ordine al vizio motivazionale, il predetto momento di sintesi non risulta proposto nè, comunque è deducibile dal contesto.

Pertanto la valutazione effettuata dalla CTR sulla natura del diritto del concessionario,- ritenuto di natura personale, non è lambita da valida censura di vizio motivazionale che sola avrebbe potuto incidere su un giudizio di fatto.

Col terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., e vizio motivazionale.

Il motivo non è autosufficiente non portando la trascrizione del testo integrale dell’atto.

Della contestuale censura di vizio motivazionale analogamente al precedente motivo non risulta alcun momento di sintesi.

Per quanto concerne il quarto motivo, la dedotta considerazione della circostanza che la CTR avrebbe erroneamente supposto che gli immobili erano tutti accatastati E/9 investirebbe un errore revocatorio.

Va però osservato che la CTR non afferma nè presume che gl’immobili abbiano tale accatastamento, limitandosi ad osservare che una cat.

D/8 non avrebbe potuto essere riferita all’anno d’imposta in esame, onde il motivo non investe tale ratio; comunque il motivo è assorbito nel rigetto degli altri.

Il quinto motivo è apparentemente una censura in quanto il Comune si chiede se possa omettere il pagamento dell’ICI il contribuente che abbia omesso di dichiarare l’immobile e pertanto pone quesito circolare con ovvia risposta; il quesito è inammissibile.

Anche il sesto motivo è un’apparente censura chiedendosi il comune se possa o meno rinunciare al prelievo fiscale in presenza di immobili non accatastati, in assenza di casi similari e di scritture contabili.

Anche il settimo motivo è una falsa censura invocando il Comune astratti principi di rilievo costituzionale.

Il ricorso può, pertanto decidersi in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., con il rigetto per manifesta infondatezza.

Possono compensarsi giustamente le spese per l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2011

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