Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20791 del 05/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 05/09/2017, (ud. 22/06/2017, dep.05/09/2017),  n. 20791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19935/2016 proposto da:

N.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato CARMELA PEPE GROSSO;

– ricorrente –

contro

D.E., quale procuratore generale di V.P.,

V.C.I., V.M.V., V.F.,

V.A. (detta A.), V.O.C.,

V.M., VA.AN., V.C., VA.CA.,

VA.MI., V.P., V.E., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI, 288, presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO IACONO QUARANTINO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIO DI DESIDERO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 738/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/06/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che N.M., con ricorso affidato a due motivi, ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, in data 13 maggio 2016, che, in accoglimento dell’appello interposto da D.E., quale procuratore generale degli eredi di Va.Mi., avverso la decisione del Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, dichiarava risolto il contratto di comodato senza determinazione di durata intercorso tra le predette parti, con condanna della N. all’immediato rilascio del fondo rustico detenuto in forza del predetto contratto;

che resiste con controricorso D.E., nella qualità di procuratore generale degli eredi V. (in epigrafe indicati);

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione delle norme sull’interpretazione negoziale (artt. 1362-1370 c.c.) in relazione al contratto di comodato (artt. 1803-1812 c.c.), avendo la Corte territoriale (diversamente dal primo giudice) erroneamente applicato le predette norme nell’interpretazione, in termini di contratto di comodato, della scrittura privata inter partes del 21 settembre 1998;

a.1) il motivo è in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile:

– è manifestamente infondato in quanto non è dato apprezzare la dedotta violazione delle regole di ermeneutica contrattuale da parte del giudice di appello, il quale – in armonia con il combinato operare degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c. – è giunto alla qualificazione del contratto come comodato procedendo (cfr. pp. 4 e 5 della sentenza impugnata) dapprima alla ricostruzione della comune volontà dei contraenti desunta non dal mero tenore letterale di singole espressioni utilizzate dalle parti, ma dando rilievo al complessivo testo contrattuale (e valorizzando la voluta gratuità della concessione del fondo rustico), tenuto conto anche del comportamento successivo dei contraenti (segnatamente, delle dichiarazioni rese in altro giudizio dalla N. e della non significatività del tentativo di conciliazione agraria), nonchè delle condizioni stesse delle parti (ossia della circostanza che fossero sprovviste di specifiche competenze giuridiche e che, dunque, non potevano ritenersi inequivoche talune espressioni presenti nella scrittura privata);

– è inammissibile là dove insiste nel valorizzare l’interpretazione del primo giudice e nel contrapporla a quella assunta dalla Corte territoriale, risolvendosi la critica in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da quest’ultima esaminati (cfr., tra le altre, Cass. n. 2465/2015);

b) con il secondo mezzo è dedotta violazione degli artt. 214,215 e 216 c.p.c., per aver la Corte territoriale ritenuto necessaria la querela di falso da parte di essa N. ai fini del disconoscimento, in assenza di istanza di verificazione, della sottoscrizione della procura difensiva a margine della comparsa di costituzione del 15 maggio 2002 relativa ad altro giudizio (quale atto utilizzato a fini interpretativi del contratto da parte del giudice di appello, sebbene disconosciuto anche nel contenuto e non avente valore confessorio quanto alle dichiarazioni rese dal difensore);

b.1) il motivo è manifestamente infondato, con esso intendendo il ricorrente accreditare la tesi della inutilizzabilità della comparsa anzidetta (come statuito dal primo giudice) a seguito del relativo disconoscimento della sottoscrizione e della mancata istanza di verificazione, in contrasto con l’orientamento di questa Corte, fatto proprio dal giudice di appello, secondo cui la funzione del difensore di certificare l’autografia della sottoscrizione della parte, ai sensi degli artt. 83 e 125 c.p.c., pur trovando la sua base in un negozio giuridico di diritto privato (mandato), ha natura essenzialmente pubblicistica, atteso che la dichiarazione della parte, con la quale questa assume su di sè gli effetti degli atti processuali che il difensore è legittimato a compiere, è destinata a dispiegare i suoi effetti nell’ambito del processo. Ne consegue che il difensore, con la sottoscrizione dell’atto processuale e con l’autentica della procura riferita allo stesso, compie un negozio di diritto pubblico e riveste la qualità di pubblico ufficiale, la cui certificazione può essere contestata soltanto con la querela di falso (Cass. n. 10240/2009; Cass. n. 17473/2015);

che il ricorso va, pertanto, rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in confounità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 2.500,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 22 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2017

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