Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20790 del 02/10/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 20790 Anno 2014
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso 27874-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore Centrale
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente contro
GAMMARDELLA ALESSANDRO, elettivamente domiciliato in
ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avv. EZIO ANTONUCCI, giusta procura speciale in calce al
controricorso;

Data pubblicazione: 02/10/2014

- controrkorrente –

avverso la sentenza n. 273/12/2012 della Commissione Tributaria
Regionale di NAPOLI – Sezione Staccata di SALERNO del 13.4.2012,
depositata il 19/04/2012;

09/07/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Pietro Garofoli che si riporta ai
motivi del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato Ezio Antonucci che si riporta
agli scritti.

Ric. 2012 n. 27874 sez. MT – ud. 09-07-2014
-2-

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

Svolgimento del processo
1. Gli atti del giudizio di legittimità.
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Commissione tributaria regionale di Napoli, con la quale -in controversia concernente
impugnazione del silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso della trattenuta di acconto

dell’erogazione dell’assegno straordinario di sostegno al reddito ai sensi dell’art.5 del
D.Lgs.n.314/1997 (c.d. incentivo all’esodo)- è stato accolto l’appello proposto da
Gammardella Alessandro avverso la decisione della CTP di Salerno n.433/15/2010
che aveva respinto il ricorso del contribuente medesimo.
Si è costituito con controricorso Gammardella Alessandro che resiste
all’impugnazione della pronuncia.
La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
La causa è stata quindi discussa alla pubblica udienza del 9.07.2014.
2. La motivazione della sentenza impugnata.
La CTR —atteso che l’appellante aveva asserito, nella propria censura, che il termine
di decadenza per l’istanza di rimborso decorre non già dalla data della ritenuta ma
invece dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea con
la quale si era ritenuto che l’ad.17 comma 4-bis del DPR n.917/1986 contrasta con i
principi comunitari di parità di trattamento tra uomo e donna per quanto riguarda
l’accesso al lavoro, la formazione e la promozione professionale e le condizioni di
lavoro (Direttiva del Consiglio 9.2.1976, n.207) nella parte in cui prevede
l’assoggettamento ad aliquota ridotta, quale quella applicabile all’imponibile soggetto
a tassazione separata, per l’ipotesi di esodo in età compresa tra 50 e 55 anni, soltanto
per le donne e non anche per gli uomini- ha ritenuto che non potesse essere trascurata
la circostanza che solo per effetto della predetta pronuncia della Corte di Giustizia la

(a titolo di IRPEF per l’anno 2005) operata dal datore di lavoro a fronte

disciplina nazionale era divenuta disapplicabile da parte del giudice italiano, sicchè
solo a decorrere dalla data di pubblicazione di detta sentenza decorreva il termine di
mesi 48 per la presentazione dell’istanza di rimborso.
3. Il ricorso per cassazione

il valore della causa nella misura di Euro 11.909,00- si conclude con la richiesta che
sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione anche in ordine
alle spese processuali.
Motivi della decisione
4. Il primo motivo di impugnazione
Con il motivo unico di ricorso (centrato sulla violazione dell’art.38 del DPR
n.602/1973″), la parte qui ricorrente si duole della decisione di appello per avere il
giudicante omesso di considerare che il termine di decadenza previsto dalla anzidetta
norma opera sempre dalla data in cui il pagamento è stato effettuato o la ritenuta è
stata operata, anche nel caso in cui la ragione dell’asserito indebito sia da rinvenirsi
nel contrasto tra diritto interno e diritto comunitario, atteso che l’applicazione della
disciplina dell’indebito di diritto comune può avvenire solo nel caso in cui —per
effetto del contrasto- l’intera fattispecie del tributo debba essere disapplicata ed
espunta dall’ordinamento.
In diversa ipotesi, non assume rilievo la sopravvenuta pronuncia della Corte di
Giustizia, atteso il principio di intangibilità delle situazioni giuridiche cristallizzate ed
esaurite per omessa impugnazione del provvedimento amministrativo divenuto
definitivo, che costituisce limite per la retroattività degli effetti della pronuncia della
Corte di Giustizia, alla stessa stregua di quanto succede in ipotesi di declaratoria i
incostituzionalità della norma ad opera della sentenza della Corte Costituzionale.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con unico motivo d’impugnazione e -dichiarato

Il motivo appare fondato, e si impone perciò l’accoglimento del ricorso, alla luce del
pressocchè costante indirizzo interpretativo di questa Corte.
Già in epoca remota Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15259 del 27/11/2000 aveva chiarito
che:” La richiesta di rimborso della tassa di concessione governativa per la iscrizione
delle società nel registro delle imprese per ogni anno solare successivo alla iscrizione

Febbraio 1985, n. 17, e successive modificazioni ed illegittima in quanto contrastante
con la direttiva del Consiglio CEE n. 335 del 17 Luglio 1969) è soggetta al termine di
decadenza triennale previsto dall’art. 13, comma secondo, del d.P.R. 26 Ottobre 1972,
n. 641, termine che decorre dal giorno del pagamento del tributo, non già da quello in
cui la direttiva è stata, con D.L. n. 331 del 1993 convertito in legge 427 del 1993,
trasposta nell’ordinamento italiano, senza che tale disposizione possa ritenersi
incompatibile con i principi del diritto comunitario o della Costituzione. Ed infatti, il
contribuente italiano che, in esecuzione di una norma interna, ha effettuato il
versamento relativo ad una imposta ritenuta contrastante con una direttiva
comunitaria, ha la possibilità di formulare la domanda di rimborso anche prima che
alla direttiva stessa venga data attuazione nello Stato italiano, purché essa direttiva sia
incondizionata e precisa, e sia trascorso un tempo ragionevole dalla sua emanazione.
In tale ipotesi, il giudice nazionale ha infatti il potere – dovere di disapplicare la
norma interna , e riconoscere la fondatezza della pretesa al rimborso, anche se il
legislatore nazionale abbia emanato norme incompatibili con la direttiva” (conformi
Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2809 del 11/02/2005; Cass.Sez. 5, Sentenza n. 17187 del
27/08/2004; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12707 del 09/07/2004).
Più di recente, anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 13676 del 2014 (su sollecitazione del
collegio di questa sezione: Cass. sez. VI-trib. ordinanza interlocutoria n. 959 del
2013, anche alla luce dell’opinione dissenziente manifestata da Cass. 22282/2011 e
del processo evolutivo manifestato, in diversa ma collegata materia, per effetto della
pronuncia di Cass. 15144/2011), ha inteso ribadire (proprio in ordine ad istanza di
rimborso similare a quella qui in esame) che:”Ia posizione del soggetto che, in

(tassa prevista dall’art. 3 del D.L. 19 Dicembre 1984, n. 853, convertito in legge 17

vigenza della norma che lo escludeva dal beneficio, è rimasto inerte fino
all’intervento della sentenza (o anche successivamente), così trovandosi in tutto o in
parte decaduto dal diritto al rimborso, non è assimilabile, sotto il profilo dell’esigenza
di tutela, a quella” di chi “si ritrova ex post decaduto in ragione di un imprevedibile
revirement giurisprudenziale che ha, in sostanza, abbreviato il termine”. Perciò, “la

delle situazioni giuridiche (tanto più cogente in materia di entrate tributarie), che
riceverebbe un grave vulnus, in ragione della sostanziale protrazione a tempo
indeterminato dei rapporti tributari che ne deriverebbe”, sicchè “spetta, in definitiva,
al solo legislatore, in casi come quello in esame (così come in quello del sopravvenire
di una legge retroattiva), la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi
costituzionali coinvolti, in ordine all’eventuale introduzione di norme che prevedano
termini e modalità di riapertura di rapporti esauriti”.
Alla luce di questi ribaditi principi, e risultando pacifico in causa che l’istanza di
rimborso donde promana il provvedimento impugnato è posteriore di oltre 48 mesi al
momento dell’effettuata ritenuta d’acconto per il titolo di imposta di cui si tratta
(senza che vengano qui in considerazione le ipotesi eccettuative nelle quali la
giurisprudenza ha ritenuto che si debba fare riferimento alla data del versamento del
saldo; sul punto si confronti, per tutte Cass. 4166/2014), non resta che ritenere che il
motivo di impugnazione debba essere accolto e perciò stesso debba essere cassata la
pronuncia di appello.
Non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte ritiene di dover poi
pronunciare anche nel merito, con il rigetto dell’impugnazione contro il silenziorifiuto, e la regolazione delle spese di lite in ragione della integrale compensazione,
attesa la obiettiva controvertibilità delle questioni in esame.
P.Q.M.

tutela di una tale situazione deve ritenersi recessiva rispetto al principio della certezza

la Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
rigetta il ricorso della parte contribuente avverso il silenzio-rifiuto sull’istanza di
rimborso. Compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio 2014

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