Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20780 del 02/10/2014
Civile Sent. Sez. 6 Num. 20780 Anno 2014
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO
equa riparatone
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
sentenza con motivazione
semplificata
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tenore,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura
pro
generale
dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– ricorrente contro
SPAZIANO Elisabetta; ROMANO Maurizio; ROMANO Màriagrazia,
quali eredi di Romano Guido; MASSERANO Francesco, tutti
rappresentati e difesi, per procura a margine dal ricorso,
r .9„.
dall’Avvocato GiuseppeFerraro, elettivamente domiciliati
in Roma, via Bertoloni n. 14, presso lo studio
dell’Avvocato Fabio Ferraro;
Data pubblicazione: 02/10/2014
controricorrenti e ricorrenti
incidentali
–
nonché contro
GAVASSIN° Maria Maddalena, quale erede di Sechy Wanda; PES
Luigi;
avverso il decreto della Corte d’appello di Roma
depositato in data 11 febbraio 2013 (R.G. n. 61358/09).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25 giugno 2014 dal Presidente relatore Dott.
Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Fabio Ferraro.
Ritenuto
che, con ricorso
depositato in data 2
dicembre 2009 presso la Corte d’appello di Rama, SPAZIANO
Elisabetta, ROMANO Maurizio, ROMANO Mariagrazia, quali
eredi di Romano Guido, MASSERANO Francesco, GAVASSINO
Maria Maddalena, quale erede di Sechy Wanda, PES Luigi,
chiedevano la condanna del Ministero della Giustizia al
pagamento dei danni non patrimoniali derivanti dalla
irragionevole durata di un giudizio previdenziale avente
ad oggetto la richiesta di adeguamento del trattamento
pensionistico ad essi erogato, iniziato presso gli uffici
giudiziari di Napoli il 10 aprile 1995, deciso in primo
grado con sentenza depositata il 22 febbraio 1996, in
appello con sentenza depositata il 1 settembre 2005 e in
– intimati –
cassazione, a seguito di ricorso depositato in data 13
luglio 2006, con sentenza pubblicata il 21 luglio 2009;
che la Corte d’appello riteneva che, tenuto conto
della difficoltà della controversia determinata dal numero
accertamenti tecnici necessari e dalle prove acquisite, la
durata ragionevole avrebbe dovuto essere di quattro anni
per il primo grado, di tre anni per il grado di appello e
di due anni per la fase di legittimità; liquidava, quindi,
un indennizzo di 7.000,00 euro per ciascuno dei
ricorrenti, facendo applicazione del criterio di 1.000,00
euro per anno di ritardo, oltre agli interessi legali
dalla domanda, compensando integralmente le spese di lite
in considerazione del rilevante divario tra la somma
richiesta e quella liquidata;
che per la cassazione di questo decreto il Ministero
della giustizia ha proposto ricorso sulla base di dieci
motivi;
che hanno resistito
SPAZIANO Elisabetta, ROMANO
Maurizio, ROMANO Mariagrazia, quali eredi di Romano Guido,
MASSERANO
Francesco, i quali hanno altresì proposto
ricorso incidentale affidato a due motivi;
che non hanno invece svolto attività difensiva gli
intimati GAVASSINO Maria Maddalena, quale erede di Sechy
Wanda, PES Luigi;
delle parti, dalla quantità di documenti prodotti, dagli
che in prossimità dell’udienza il ricorrente
principale e quelli incidentali hanno depositato memoria.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
che con il primo motivo il Ministero della giustizia
denuncia il vizio di motivazione insufficiente e/o
contraddittoria su un fatto decisivo della controversia,
rilevando che dalle indicazioni contenute nel decreto
impugnato circa le date delle varie fasi del giudizio
presupposto emerge che la durata complessiva del giudizio
è stata di circa tredici anni e quattro mesi;
che, dunque, la Corte d’appello avrebbe dovuto
contenere la durata irragionevole nel minor lasso
temporale di quattro anni e tre mesi, detratti i nove anni
ritenuti ragionevoli;
che, con lo stesso motivo, il Ministero censura,
altresì, l’errore di calcolo in cui sarebbe incorsa la
Corte territoriale nella determinazione della somma da
indennizzare alle parti istanti;
che con il secondo motivo l’amministrazione ricorrente
deduce ulteriore vizio di motivazione omessa e/o
insufficiente, per non avere la Corte d’appello
considerato che nel giudizio di appello si era verificata
una interruzione, dichiarata all’udienza del 18 novembre
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sentenza;
2003, alla quale aveva fatto seguito la riassunzione in
data 14 maggio 2004;
che, quindi, il Ministero si duole del fatto che la
Corte d’appello non abbia detratto dalla durata
all’ufficio;
che con il terzo motivo il Ministero denuncia
motivazione ammessa e/o insufficiente su un fatto decisivo
della controversia in relazione all’art. 360, comma l, n.
5 cod. proc. civ., sostenendo che il decreto Impugnato
sarebbe totalmente omissivo quanto alle eccezioni
formulate con riferimento alla individuazione della data
di inizio del giudizio di appello, nella quale
ricorrenti avevano assunto la posizione di appellati;
che, ad avviso dell’Avvocatura erariale, non si
sarebbe dovuto tenere conto del periodo intercorso tra la
data di deposito del ricorso in appello da parte del Banco
di Napoli (18 ottobre 1996) e la data di deposito del
ricorso in appello degli appellati (21 febbraio 1997);
che con il quarto motivo il Ministero ricorrente
deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 della
legge n. 89 del 2001, nonché dell’art. 75 cod. proc. civ.,
dolendosi del fatto che la Corte d’appello non abbia
disatteso richieste risarcitorie relative anche a periodi
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complessiva il detto segmento, certamente non imputabile
nei quali le parti non erano costituite in giudizio,
segnatamente nella fase di appello;
che con il quinto motivo l’amministrazione ricorrente
lamenta motivazione omessa e/o insufficiente in ordine
dell’indennizzo, non ragguagliato a 750,00 euro per i
primi tre anni di irragionevole durata, pur in presenza di
una pluralità di indici rilevanti in senso riduttivo;
che con il sesto motivo il Ministero della giustizia
denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2
della legge
n. 89 del 2001 e dell’art. 112 cod. proc.
civ., per avere la Corte d’appello riconosciuto gli
interessi legali sulla somma liquidata non dalla data
della pronuncia, ma da quella della domanda pur in assenza
di una espressa richiesta di interessi nell’atto
introduttivo;
che con il settimo motivo il Ministero deduce
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc.
civ., in relazione all’art. 360, n. 4, stesso codice,
dolendosi del fatto che la Corte d’appello non abbia
tenuto conto delle eccezioni formulate nell’atto di
costituzione con riferimento alla posizione dei ricorrenti
e
che agivano in qualità di eredi, e segnatamente della
contestazione concernente la mancata dimostrazione della
asserita qualità, non essendo a tal fine sufficiente
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alla scelta del parametro utilizzato per la determinazione
l’allegazione di dichiarazioni sostitutive di atto
notorio;
che con l’ottavo motivo, proposto in via subordinata e
alternativa al mancato accoglimento del settimo,
motivazione omessa e/o insufficiente quanto alla
individuazione del dies ad quem della durata del giudizio
presupposto utile ai fini della domanda di equa
riparazione, coincidente con quello del decesso del
de
culus, e si duole del fatto che la Corte d’appello abbia
immotivatamente riconosciuto l’indennizzo anche a chi
aveva agito nella qualità di erede per la intera durata
del giudizio presupposto, senza limitazione alla data di
decesso dei rispettivi danti causa;
che con il nono motivo il Ministero deduce, sempre in
via subordinata, violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., sostenendo la erroneità del
decreto impugnato relativamente ai ricorrenti che avevano
agito quali eredi, atteso che, andando ultra petita, non
ha limitato ogni valutazione alla frazione temporale in
cui il de culus era in vita;
che con il decimo motivo, anch’esso proposto in via
subordinata, il Ministero ricorrente denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 75 cod. proc. civ.,
censurando il decreto impugnato per non avere la Corte
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l’amministrazione ricorrente denuncia il vizio di
d’appello apprezzato il difetto di legittimazione attiva
dei ricorrenti che avevano agito quali eredi per il
periodo successivo al decesso del de cuius;
che con il primo motivo del proprio ricorso i
circa un fatto decisivo del giudizio, rappresentando che
la irragionevole durata del giudizio presupposto aveva
comportato l’assoggettamento della loro posizione alla
norma di interpretazione autentica, pregiudizievole per i
loro interessi, intervenuta nel 2004;
che, sostengono i ricorrenti incidentali, la stessa
Corte d’appello, pur riconoscendo la rilevanza della
controversia, aveva poi finito per liquidare un indennizzo
nella misura minima anziché in quella massima consentita,
omettendo di considerare la natura previdenziale della
controversia e la necessità che la stessa si svolgesse in
un arco temporale inferiore a quello ritenuto ragionevole
dalla Corte d’appello;
che con il secondo motivo i ricorrenti incidentali
denunciano violazione e falsa applicazione di norme di
diritto in tema di compensazione delle spese di lite,
rilevando che, esclusa la sussistenza di giusti motivi,
doveva ritenersi altresì ingiustificata la disposta
compensazione non potendosi ravvisare nell’accoglimento
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ricorrenti incidentali deducono il vizio di omesso esame
non integrale della domanda di equa riparazione una
ipotesi di soccombenza reciproca;
che il primo, il secondo, il terzo e il quinto motivo
del ricorso principale e il primo motivo del ricorso
che invero, le Sezioni Unite di questa Corte hanno
affermato che «la riformulazione dell’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del
d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012,
n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni
ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come
riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di
legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in
cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in
violazione di legge costituzionalmente rilevante, in
quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé,
purché il vizio risulti dal testo della sentenza
impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”,
nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile
tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione
perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa
qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza”
della motivazione», precisando altresì che il medesimo
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incidentale sono inammissibili;
art. 360, primo coma, n. 5, cod. proc. civ., come
riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico
denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di
un fatto storico, principale o secondario, la cui
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione
tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che,
se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto
delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e
369, secondo coma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente
deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso
risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia
stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la
sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di
elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di
Omesso
esame di un fatto decisivo qualora il fatto
storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze probatorie» (Case. n.
8053 del 2014);
che, nella specie, il decreto impugnato, sia quanto
alle ragioni della individuazione della maggior durata del
giudizio presupposto (primo motivo del ricorso
lo
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
incidentale) sia quanto alle ragioni della individuazione
dei segmenti temporali rilevanti ai fini della
determinazione della irragionevole durata del processo
presupposto (primo, secondo e terzo motivo dal ricorso
indennizzo (primo motivo del ricorso incidentale, quinto
motivo del ricorso principale) presenta una motivazione
che non è riconducibile al paradigma della assenza di
motivazione nei sensi di cui alla citata pronuncia;
che il quarto motivo di ricorso è infondato, non
ravvisandosi le denunciate violazioni di legge e non
potendosi condividere l’assunto dell’amministrazione
ricorrente, secondo cui la durata del giudizio di appello
utile al fini della valutazione complessiva della durata
ragionevole del giudizio presupposto dovrebbe, per la fase
di appello, iniziare dalla data di deposito dell’autonomo
appello proposto dai ricorrenti;
che, invero, «in tema di equa riparazione ai sensi
della legge 24 marzo 2001, n. 89, al fine di verificare se
un giudizio di cognizione abbia o no ecceduto la durata
ragionevole occorre avere riguardo al momento in cui il
giudizio stesso ha avuto inizio con la iscrizione a ruolo
della causa» (Cass. n. 5212 del 2007);
che, nella specie, il motivo di ricorso appare
generico, atteso che nessuna specificazione viene fatta
11
in
principale), sia infine quanto alla scelta del criterio di
ordine alla data di notificazione dell’atto di appello
agli appellati, odierni ricorrenti, sicché la pretesa del
Ministero ricorrente di detrarre dalla durata complessiva
il segmento temporale compreso tra la data di deposito
deposito dell’appello proposto dagli appellati non appare
meritevole di accoglimento, incorrendo nella violazione
del principio di specificità del ricorso per cassazione;
che il sesto motivo del ricorso principale è fondato,
atteso che dall’atto introduttivo del giudizio di merito
emerge che i ricorrenti non ebbero a formulare esplicita
richiesta degli interessi sulla somma liquidata;
che trova, quindi, applicazione il principio per cui
«in materia di liquidazione dell’equa riparazione per la
durata irragionevole del processo presupposto, dal
carattere indennitario dell’obbligazione discende che gli
interessi legali decorrono dalla data della domanda di
equa riparazione, sempreché, tuttavia, essi siano stati
richiesti» (Casa. n. 24962 del 2011);
che il settimo mezzo è fondato, nei limiti di seguito
precisati;
che, con riferimento alla posizione della ricorrente
GAVASSINO Maria Maddalena, quale erede di Sechy Wanda,
deve rilevarsi che dall’esame degli atti, consentito in
considerazione della natura della censura proposta, il
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dell’appello del Banco di Napoli e quella della data di
Ministero resistente aveva formulato apposita eccezione
sulla mancata dimostrazione della qualità di erede da
parte della menzionata ricorrente, osservando che
l’istante
non aveva allegato la
apposita documentazione
inesistenza di altri eredi;
che la Corte d’appello non ha formulato alcun rilievo
su detta specifica contestazione decidendo nel merito la
pretesa patrimoniale avanzata da detta ricorrente;
che, quindi, la Corte d’appello non ha operato, in
termini
adeguati,
un
controllo
sulle indicazioni poste
dall’attrice a fondamento della domanda formulata in
qualità di erede e, pertanto, sussiste, nella specie, il
denunciato vizio;
che, per GAVASSINO Maria Maddalena, quale erede di
Sechy Wanda, raccoglimento del settimo motivo comporta
l’assorbimento dell’ottavo mezzo di gravame;
che, invece, con riferimento alle posizioni dei
ricorrenti SPAZIANO Elisabetta, ROMANO Maurizio, ROMANO
Mariagrazia, quali eredi di Romano Guido, l’ottavo motivo
del ricorso principale risulta fondato alla luce del
principio per cui «qualora la parte costituita in giudizio
sia deceduta nel corso di un processo avente una durata
irragionevole, l’erede ha diritto al riconoscimento
dell’indennizzo iure proprio soltanto per il superamento
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ì
comprovante la natura, il grado di parentela e la
della predetta durata verificatosi con decorrenza dal
momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha
assunto a sua volta la qualità di parte; non assume,
infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità della
causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto
il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto
in norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001 non si fonda
sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello
Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a
beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni
patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi
modulabili in relazione al concreto patema subito, il
quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse
alla sua rapida conclusione» (Cass. n. 10517 del 2013;
Cass. n. 13803 del 2011);
che, dunque, in relazione agli eredi che si sono
costituiti nel giudizio presupposto, il decreto della
Corte d’appello incorre nel denunciato omesso esame di
fatto decisivo, atteso che ha omesso di considerare quale
sia stata la data del decesso dei danti causa e quindi di
limitare l’indennizzo dovuto agli eredi alla irragionevole
durata protrattasi sino alla data del decesso;
che raccoglimento del settimo e dell’ottavo motivo
del ricorso principale comporta l’assorbimento dei
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sua posizione processuale rispetto a quella del dante
restanti motivi del medesimo ricorso, proposti in via
subordinata;
che tale esito suggerisce di differenziare la
decisione tra le parti che hanno proposto la domanda di
nella qualità di eredi nel presente giudizio;
che, invero, per quanto riguarda le parti interessate
dall’accoglimento del sesto motivo la causa può essere
decisa nel merito;
che tale soluzione richiede l’esame anche del secondo
motivo del ricorso incidentale con il quale il decreto
impugnato è stato censurato per aver compensato
interamente le spese processuali;
che detto motivo è fondato, atteso che la domanda dei
ricorrenti è stata comunque accolta e che la ragione
addotta a giustificazione avrebbe al più potuto sorreggere
una statuizione di compensazione parziale;
che, dunque, per quanto riguarda i ricorrenti PES
Luigi e MASSERANO Francesco, il decreto impugnato deve
essere cassato in relazione alla censura accolta, il che
comporta che gli interessi legali sulla somma liquidata
sono dovuti dalla data del decreto e non da quella della
domanda;
che, con riferimento a tali parti, le spese del
giudizio di merito vanno poste a carico del Ministero
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equa riparazione iure pixopmlo e quelle che hanno agito
nella misura liquidata in dispositivo, mentre le spese del
giudizio di cassazione possono essere compensate in
considerazione dell’esito del giudizio;
che, in relazione alla posizione dei ricorrenti
di eredi, il decreto va,
invece,
cassato con rinvio alla
Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, perché
provveda ad accertare la sussistenza della qualità di
erede, con riferimento alla posizione della ricorrente
GAVASSINO Maria Maddalena, quale erede di Sechy Wanda, in
tal senso dovendosi intendere corretto il dispositivo del
decreto impugnato secondo l’istanza a tal fine depositata
dalla parte, nonché, con riferimento alle posizioni dei
ricorrenti SPAZIANO Elisabetta, ROMANO Maurizio, ROMANO
Mariagrazia, quali eredi di Romano Guido, il momento del
decesso del dante causa, atteso che tale data rappresenta
il
dies
ad guem della durata del giudizio presupposto,
rilevante ai fini della determinazione dell’equo
indennizzo;
che per le parti per le quali il giudizio prosegue il
giudice del rinvio provvederà altresì a nuova
regolamentazione anche delle spese di questo giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
accoglie
il sesto, il settimo e l’ottavo
motivo del ricorso principale, rigetta i motivi dal primo
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incidentali che hanno agito in equa riparazione in qualità
al quinto, assorbiti il nono e il decimo; rigetta il primo
motivo del ricorso incidentale,
sensi di cui in motivazione;
accoglie il secondo, nei
cassa il decreto impugnato in
relazione alle censure accolte e, con riferimento alle
disponendo che gli interessi decorrano dalla data del
decreto e non da quella della domanda; con riferimento a
tali parti condanna il Ministero della giustizia al
pagamento, in favore dei detti ricorrenti, delle spese del
giudizio di merito, che liquida in euro 2.000,00 per
compensi, oltre ad euro 100 per esborsi e agli accessori
di legge, e compensa le spese del giudizio di legittimità;
quanto alla posizione dei ricorrenti che hanno agito
in
qualità di eredi, cassa il decreto impugnato in relazione
alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese
del giudizio dà legittimità, alla Corte d’appello di Roma,
in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,
posizioni di chi ha agito iure proprio, decide nel merito