Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20777 del 11/09/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20777 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 7478-2009 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del
Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona
del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati
in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope
2013

legis;
– ricorrenti –

1669
contro

RIZZO MARIO;
– intimato –

avverso

la

sentenza

n.

177/2007

della

Data pubblicazione: 11/09/2013

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di CALTANISSETTA, depositata
il 22/04/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/05/2013 dal Consigliere Dott. ETTORE
CIRILLO;

chiesto raccoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udito per il ricorrente l’Avvocato DETTORI che ha

Ritenuto in fatto
Con sentenza del 22 aprile 2008 la sezione nissena della Commissione tributaria regionale della Sicilia ha
rigetta l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate
nei confronti di Rizzo Mario, confermando
l’annullamento dell’avviso di rettifica notificato al
contribuente il 7 dicembre 1998, per l’anno d’imposta

razioni ritenute soggettivamente inesistenti.
Il giudice d’appello, nel motivare la sua decisione,
«rileva che l’ufficio fonda il suo convincimento sul
fatto che le fatture emesse nei confronti dell’impresa
del contribuente da imprese edili che hanno mantenuto
comportamenti contrari alla legge debbano essere considerate come emesse per operazioni inesistenti, e non
considerando che nessun imprenditore può essere responsabile del comportamento illegittimo dei suoi fornitori».
Aggiunge che «era onere dell’ufficio, in quanto attore
sostanziale, produrre concreti elementi di prova delle
legittimità della pretesa erariale».
Hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due
motivi, l’Agenzia delle entrate e il Ministero
dell’economia e delle finanze, mentre il contribuente
non ha spiegato attività difensiva.

Considerato in diritto
1. In rito, preliminarmente si rileva la carenza di legittimazione processuale del ricorrente Ministero
dell’economia e delle finanze, che non è stato parte
nel giudizio di secondo grado ed è oramai estraneo al
contenzioso tributario dopo la creazione delle agenzie
fiscali.
L’intervento ministeriale in cassazione è, dunque, inammissibile e il ricorso va esaminato unicamente riguardo all’Agenzia delle entrate, che è la sola a essere legittimata ad causam.
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1997, con riferimento a detrazioni IVA relative a ope-

2. Nel merito, con il primo motivo, l’agenzia ricorrente denuncia violazione di norme di diritto [art.54 d.P.
R. 633/72; art.2697 cod. civ.] nella parte in cui la
sentenza d’appello trascura che l’accertamento operato
dall’ufficio, in riferimento agli elementi dedotti nel
processo verbale di constatazione, ha invertito l’onere

ni alla quale è consentito ricorrere in materia tributaria.
Con il secondo motivo, inoltre, l’agenzia ricorrente
denuncia violazione di norma di diritto [art. 19 d.P.R.
633/1972], nella parte in cui la sentenza d’appello
trascura che la detrazione d’imposta è consentita solo
quando vi sia assoluta corrispondenza tra la realtà
commerciale e la sua espressione documentale e non come, nella specie, quando tale corrispondenza non sia
sussistente per la presenza di evidenti discrasie.

3. I mezzi, da trattarsi congiuntamente per la reciproca correlazione logica e giuridica, vanno entrambi disattesi.
Secondo i più recenti approdi dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria (v. Corte di Giustizia,
21/06/2012, nelle cause riunite C-80/11 e 142/11),
spetta all’amministrazione finanziaria, che contesta il
diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA
pagata su fatture emesse da soggetto diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio (cd. operazioni
soggettivamente inesistenti), provare che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso dell’ordinaria
diligenza, che il soggetto formalmente cedente abbia,
con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta
o compiuto una frode. (Sez.5, Sentenza n.23560 del
20/12/2012, Rv.624737)
La relativa prova può essere fornita anche attraverso
presunzioni semplici, dimostrando che, al momento in
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probatorio secondo i criteri della prova per presunzio-

cui pagò l’imposta che successivamente intese portare
in detrazione, il contribuente disponeva di elementi
tali da porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto
e mediamente esperto. (ult. cit.)
Inoltre, siccome l’ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente si risolve nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diver-

rivalsa, la prova che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perché ad esempio sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla
sua esecuzione, costituisce di per sé stesso idoneo elemento sintomatico dell’assenza di buona fede del contribuente, poiché l’immediatezza dei rapporti (cedente
o prestatore – fatturante – cessionario o committente)
può indurre ragionevolmente a escluderne l’ignoranza
incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato
all’obbligo del pagamento dell’imposta. (Sez.5, Sentenza n.6229 del 13/03/2013, Rv.625538).
In tal caso, é il contribuente a dover provare di non
essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante,
ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla
detrazione dell’IVA versata. (ult. cit.).

4. Nel ricorso in esame, invece, mancano da/ parte del
Fisco – finanche graficamente – l’enunciazione e il riscontro documentale di quegli indizi (gravi, precisi e
concordanti), circa l’inesistenza soggettiva, richiesti
dalla giurisprudenza comunitaria (v. Corte di Giustizia, 21/06/2012, cit.) e nazionale (Sez. 5, Sentenza n.
23560 del 20/12/2012, cit.).
Dalla parte narrativa della sentenza d’appello si apprende che il Fisco avrebbe addotto in secondo grado
alcuni indici rivelatori dell’asserita utilizzazione di
fatture non riconducibili a operazioni veritiere.

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so da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in

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Ma nella specie quello che manca proprio è quell’indi-

spensabile esposizione logica ed esauriente (Cass.
7825/2006) che sola consente la chiara e completa cognizione dei fatti (Sez. Un. 11663/2006 e 2602/2003).
Nel ricorso non si rinvengono, infatti, quegli elementi
minimi per un’adeguata conoscenza (Cass. 3905/1987 e
13550/2004) delle operazioni contestate, della loro na-

potesse sapere che il soggetto formalmente cedente avesse evaso l’imposta o compiuto una frode, senza la
necessità per questa Corte di ricorrere ad altre fonti
(art. 366 c.p.c.; conf. Sez.5, Sentenza n.11987 del
31/05/2011, Rv.618265).
Ne deriva l’inammissibilità di entrambi i motivi, per
difetto del requisito dell’autosufficienza.

5. La completa reiezione del ricorso non comporta conseguenze sulle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo la parte contribuente svolto alcuna
attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2013.

tura fittizia e del fatto che il contribuente sapesse o

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