Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20774 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/07/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 21/07/2021), n.20774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24666/2017 R.G. proposto da:

P.S. e L.M., rappresentati e difesi dagli Avv.ti

Alberto Caretti e Riccardo Tagliaferri, con domicilio eletto presso

il loro studio in Roma, via Bisagno, n. 14;

– ricorrenti –

contro

REGIONE TOSCANA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata

e difesa dagli Avv.ti Lucia Bora e Arianna Paoletti, con domicilio

eletto in Roma, P.zza Barberini, n. 12, presso lo studio Marcello

Cecchetti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana depositata il 15 marzo 2017 – NR 654/16/17 -;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 2 febbraio

2021 dal Consigliere Maria Elena Mele.

 

Fatto

RITENUTO

che:

P.S. e L.M. sono titolari di una concessione demaniale marittima rilasciata dal Comune di (OMISSIS) avente ad oggetto un’area su cui insiste un fabbricato di proprietà dello Stato adibito dai contribuenti in parte ad albergo, ed in parte a ristorante. Nel 2014 la Regione Toscana notificava loro un avviso di accertamento con cui intimava il pagamento di Euro 11.842,74 a titolo di omesso versamento dell’imposta regionale sulle concessioni demaniali marittime per l’anno 2009. Tale atto veniva impugnato dai contribuenti avanti alla Commissione tributaria provinciale di Firenze, contestando la commisurazione dell’imposta. In particolare, i contribuenti rilevavano come essa fosse quantificata, ai sensi della L.R. della Toscana n. 85 del 1995, in misura pari al 15 per cento del canone demaniale di concessione la cui determinazione, tuttavia, era oggetto di contestazione. Il P. e la L., infatti, avevano impugnato, dapprima davanti al tribunale ordinario e quindi avanti al giudice amministrativo, i provvedimenti con cui il Comune di (OMISSIS) aveva richiesto il pagamento del canone demaniale nelle varie annualità a partire dal 2007; tali giudizi erano ancora pendenti. Rilevavano, inoltre, che in data 18 febbraio 2014 avevano presentato al Comune e all’Agenzia del demanio istanza per definire il contenzioso pendente per gli anni dal 2007 al 2013, ai sensi della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 732, mediante il pagamento in un’unica soluzione del 30 per cento delle somme dovute. Contestualmente, avevano chiesto alla Regione Toscana di rideterminare l’imposta sulla base dell’importo versato in forza della disposizione richiamata. La Regione aveva rigettato l’istanza, sicché i contribuenti avevano impugnato l’avviso di accertamento avanti alla CTP.

Nelle more del giudizio, e precisamente dopo la notifica del ricorso alla CTP, ma anteriormente alla costituzione in giudizio dei contribuenti, la Regione, preso atto dell’intervenuto pagamento di Euro 2.250, in data 26 novembre 2014 annullava il provvedimento impugnato ed emanava un nuovo atto impositivo recante l’intimazione di pagamento di Euro 9.412,74 a titolo di insufficiente e tardivo versamento dell’imposta per l’anno 2009. Tale provvedimento era notificato ai contribuenti in data 1 dicembre 2014. Ciononostante, in data 9 dicembre 2014 essi iscrivevano la causa a ruolo. Non impugnavano invece il nuovo avviso.

La CTP, in considerazione del sopravvenuto annullamento dell’atto impositivo originariamente impugnato e della mancata impugnazione del nuovo avviso di accertamento, dichiarava la cessazione della materia del contendere.

Tale sentenza veniva impugnata avanti alla Commissione tributaria regionale della Toscana la quale confermava la decisione del primo giudice rilevando come l’atto impugnato non era più esistente a seguito della decisione di annullamento in autotutela.

I contribuenti hanno proposto ricorso per la cassazione di tale decisione affidato a due motivi e assistito da memoria.

Ha resistito con controricorso la Regione Toscana.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Preliminarmente deve essere rigettata l’istanza di sospensione del processo formulata dai contribuenti nella memoria e motivata in ragione della presentazione, nelle more del giudizio, al Comune di (OMISSIS) e all’Agenzia del demanio di istanza di definizione dei canoni demaniali marittimi ai sensi del D.L. n. 104 del 2020, art. 100, comma 7, conv. in L. n. 126 del 2020, nonché di istanza alla Regione Toscana di rideterminazione dell’imposta regionale.

Il richiamato art. 100, al comma 7, stabilisce che, “al fine di ridurre il contenzioso relativo alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, derivante dall’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni ai sensi del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 03, comma 1, lett. b), n. 2.1), convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, i procedimenti giudiziari o amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, concernenti il pagamento dei relativi canoni, possono essere definiti, previa domanda all’ente gestore e all’Agenzia del demanio da parte del concessionario, mediante versamento: a) in un’unica soluzione, di un importo, pari al 30 per cento delle somme richieste dedotte le somme eventualmente già versate a tale titolo; b) rateizzato fino a un massimo di sei annualità, di un importo pari al 60 per cento delle somme richieste dedotte le somme eventualmente già versate a tale titolo”.

Il successivo comma 10, dispone che la presentazione della domanda nel termine previsto dal comma 8, “sospende i procedimenti giudiziari o amministrativi di cui al comma 7, compresi quelli di riscossione coattiva nonché i procedimenti di decadenza della concessione demaniale marittima per mancato pagamento del canone. La definizione dei procedimenti amministrativi o giudiziari si realizza con il pagamento dell’intero importo dovuto, se in un’unica soluzione, o dell’ultima rata, se rateizzato”.

Appare chiaro dal tenore letterale che la sospensione prevista dalla disposizione ora richiamata fa esplicito riferimento unicamente ai giudizi aventi ad oggetto il pagamento dei canoni delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative ed è connessa alla definizione agevolata prevista soltanto per tali controversie, mentre non riguarda i giudizi – qual è il presente – concernenti l’imposta regionale sulle concessioni marittime.

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 dei 1992, art. 46, e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Sostengono i ricorrenti che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto cessata la materia del contendere in quanto il nuovo provvedimento emesso dalla Regione a seguito del parziale pagamento dell’imposta era atto meramente confermativo del precedente e conteneva un mero ricalcolo dell’importo dovuto, sicché era privo di elementi nuovi e diversi, fondandosi sulla medesima pretesa tributaria del precedente avviso, in ordine alla quale sarebbe rimasto intatto l’interesse dei contribuenti ad ottenere una pronuncia di merito. Conseguentemente il giudice d’appello avrebbe dovuto esaminare il merito della pretesa oggetto del ricorso, nonché le contestazioni svolte dai contribuenti in ordine alla illegittima quantificazione dell’imposta regionale.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La CTR non si sarebbe pronunciata sulle domande e censure che i ricorrenti avevano riproposto in grado di appello, in quanto non erano state delibate dal giudice di primo grado. Per tale ragione, i contribuenti hanno riproposto le censure già svolte e non esaminate nei precedenti gradi del giudizio con le quali hanno contestato nel merito l’illegittimità della pretesa tributaria formulata dalla Regione.

In particolare, la contestazione ha riguardato le modalità di quantificazione del canone demaniale conseguente alla erronea qualificazione dell’attività svolta nell’immobile oggetto della concessione, nonché l’illegittima applicazione della normativa di riferimento.

Il primo motivo è infondato.

Nell’ambito del processo tributario, la pronuncia di cessazione della materia del contendere è specificamente codificata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, il quale dispone che ad essa consegua l’estinzione del giudizio. Le ipotesi comunemente ricondotte alla cessazione della materia del contendere presuppongono il venir meno della posizione di contrasto tra le parti a causa del sopravvenire, nel corso del giudizio, di fatti sostanziali idonei a far venir meno l’interesse giuridicamente rilevante alla pronuncia. Ciò significa che i fatti in questione devono “incidere sul petitum e sulla causa petendi della lite contestata (la cui definizione, per via diversa da quella giudiziale, abbia determinato il venir meno dell’interesse delle parti ad una pronuncia)” (Sez. 5, n. 5351 del 27/02/2020, Rv. 657342 – 01).

Tra i fatti che incidono su detto interesse rientra senz’altro l’annullamento, nelle more del giudizio, dell’atto impugnato. In tal caso, infatti, esso viene caducato e pertanto cessa di esistere di tal che la prosecuzione del giudizio non potrebbe comportare alcun risultato utile per il contribuente, stante l’inammissibilità, nel processo tributario, di pronunce di mero accertamento dell’illegittimità della pretesa erariale. In tal modo, peraltro, non si determina una lesione del diritto di difesa del contribuente laddove l’Amministrazione finanziaria abbia nuovamente esercitato il potere attraverso l’adozione di un nuovo atto impositivo, in quanto questo potrà essere autonomamente impugnato (Sez. 5, n. 33587 del 28/12/2018; Sez. 65, n. 9753 del 18/04/2017).

Diversa è l’ipotesi – cui si riferisce a giurisprudenza richiamata dai contribuenti – in cui l’atto impositivo impugnato sia modificato dall’Amministrazione o solo parzialmente annullato.

Con riguardo all’autoannullamento parziale da parte dell’erario, questa Corte ha affermato la necessità di distinguere a seconda che esso consista in una semplice riduzione quantitativa dell’originario credito erariale, ovvero in una riduzione non disgiunta dalla ripresa a tassazione di altri profili impositivi. Nel primo caso, l’autoannullamento “non comporta “nuova” imposizione, bensì un semplice ridimensionamento unilaterale del credito tributario, così da ingenerare una situazione non dissimile da quella che si definisce in ambito processuale – di mera riduzione del petitum” (Cass., Sez. 5, n. 29595 del 16/11/2018, Rv. 651288-01; n. 7511 del 15/04/2016, Rv. 63962801). Per questa ragione, tale atto non determina alcuna nuova lesione degli interessi del contribuente rispetto provvedimento originario a lui già noto, sicché esso non richiede la notificazione di successivo avviso di accertamento ovvero di avviso bonario, ma solo la “comunicazione” al contribuente di quanto disposto in autotutela.

Nel secondo caso, invece, l’autoannullamento parziale comporta una nuova imposizione mediante la deduzione di presupposti e materie imponibili dapprima non rappresentati (per es., riprendendosi a tassazione altre voci e causali imponibili, non contemplate nel primo accertamento), e pertanto il contribuente deve essere posto in grado di contestare la nuova posizione assunta dall’ente impositore, mediante impugnazione dell’avviso di accertamento a tal fine notificatogli (citata Cass. n. 29595 del 16/11/2018).

Ancora diversa è l’ipotesi oggetto del presente giudizio, in cui non vi è stato un autoannullamento parziale bensì un annullamento integrale dell’originario provvedimento impositivo impugnato dal contribuente, il quale è stato in toto sostituito con un altro atto, diverso dal precedente non solo per il quantum, ma anche per il titolo.

In tal caso, l’atto impositivo originario impugnato dai contribuenti, per effetto dell’autoannullamento, ha cessato di esistere. La Regione ha poi esercitato nuovamente il proprio potere impositivo emettendo un nuovo e diverso atto, recante una differente pretesa impositiva, distinta non solo per l’importo (Euro 9.412,74, anziché Euro 11.842,74), ma anche per il titolo, costituito non più (come la precedente) dall’omesso versamento di imposta, ma dall’insufficiente e tardivo versamento della medesima.

Pertanto, l’annullamento da parte della Regione del provvedimento impugnato ne ha determinato l’integrale caducazione, sicché, avendo cessato di esistere, è venuto a mancare l’oggetto stesso del giudizio instaurato dai contribuenti. Al contempo, il nuovo atto non può qualificarsi come un provvedimento di mera riduzione della pretesa impositiva originaria che pertanto giustifica il permanere dell’interesse ad una pronuncia giudiziale, ma costituisce un atto nuovo ed autonomo, espressione di una diversa pretesa, seppure afferente alla medesima imposta.

Correttamente, dunque, la CTR ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, dovendo ritenersi venuto meno l’interesse giuridicamente rilevante alla pronuncia sull’atto originariamente impugnato.

Il rigetto del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento della seconda censura.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, e la parte ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 1.500 per compensi, oltre spese forfetarie, accessori di legge e oltre Euro 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

 

 

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