Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20773 del 14/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 14/10/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 14/10/2016), n.20773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28999-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.F.;

– intimato –

avverso la decisione n. 5159/2010 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

ROMA, depositata il 14/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti della sentenza n. 5159 del 14 ottobre 2010 con cui la Commissione tributaria centrale del Lazio, nella controversia concernente l’impugnazione di un avviso di rettifica del volume di affari ai fini IRPEF ed IVA relativo all’anno d’imposta 1977, emesso nei confronti della fallita ditta D.F., sul rilievo che la decisione della Commissione Tributaria di secondo grado aveva confermato la decisione di primo grado favorevole (ancorchè parzialmente) alla contribuente, avendo ridotto il volume di affari determinato dall’Ufficio, ritenuto applicabile il disposto di cui al D.L. n. 40 del 2010, art. 3, comma 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 120 del 2010, dichiarava il giudizio definito ai sensi della citata disposizione.

2. Non si costituisce l’intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’Agenzia ricorrente nell’unico mezzo di impugnazione proposto deduce la violazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione al D.L. n. 40 del 2010, art. 3, comma 2 bis, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 73 del 2010. Sostiene che la predetta disposizione prevede che le controversie tributarie pendenti, che originano da ricorsi iscritti a ruolo in primo grado da oltre dieci anni, possono essere definite dalla Commissione tributaria centrale con dichiarazione di estinzione della lite soltanto se l’Amministrazione finanziaria sia rimasta totalmente soccombente nei precedenti giudizi di merito, con esclusione, quindi, dei casi di soccombenza parziale, come nel caso di specie, in cui la Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone (a seguito di rinvio operato dalla CTR del Lazio, che aveva riformato una prima sentenza della CTP, che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso del contribuente perchè tardivamente proposto) accolse solo in parte l’originario ricorso proposto dal D., con statuizione impugnata dall’Agenzia delle entrate ma confermata in grado di appello.

2. Il motivo è infondato e va rigettato.

3. Il D.L. n. 40 del 2010, art. 3, comma 2 bis, lett. a), (nel testo in vigore al 31 luglio 2010), convertito in l. n. 73 del 2010, prevede che al fine di contenere la durata dei processi tributari nei termini di durata ragionevole dei processi, previsti ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1, della predetta Convenzione, le controversie tributarie pendenti che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, da oltre dieci anni, per le quali risulti soccombente l’Amministrazione finanziaria dello Stato nei primi due gradi di giudizio, sono definite con le seguenti modalità: a) le controversie tributarie pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale, con esclusione di quelle aventi ad oggetto istanze di rimborso, sono automaticamente definite con decreto assunto dal presidente del collegio o da altro componente delegato…”.

4. Successivamente è intervenuto il D.L. n. 216 del 2011, art. 29, comma 16 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2012, in base al quale il D.L. n. 40 del 2010, art. 3, comma 2-bis, lett. a), primo periodo, si interpreta nel senso che, con riferimento alle sole controversie indicate nel predetto comma ed in presenza delle condizioni previste dalla predetta disposizione, nel caso di soccombenza, anche parziale, dell’Amministrazione finanziaria nel primo grado di giudizio, opera la predetta definizione automatica.

5. Come questa Corte ha già avuto modo di osservare (cfr. Cass. 16944 del 2015), si tratta di norma avente natura interpretativa e non innovativa, che, al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione – esprime univocamente l’intento del legislatore di impone un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (Cass. Sez. un. n. 9941 del 2009). La disposizione in esame opera, quindi, retroattivamente nei processi pendenti, quale il presente, essendo stata impugnata, dinanzi a questa Corte, la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Centrale.

6. Nella specie, dunque, la lite era senz’altro definibile ai sensi dell’art. 29 citato, in quanto la decisione di primo grado era stata solo parzialmente sfavorevole all’Amministrazione finanziaria, invece totalmente soccombente in esito all’appello da essa proposto, avendo il giudice di secondo grado confermato la sentenza appellata, cosicchè era soddisfatta la condizione posta dall’art. 29 citato, in base al quale era sufficiente anche la soccombenza parziale dell’Amministrazione finanziaria in primo grado, confermata nei successivi gradi del giudizio.

7. Pertanto, in forza della disposizione sopravvenuta non può più seguirsi l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. n. 21697 del 2010) antecedente all’entrata in vigore del citato art. 29, sulla cui linea si pone la tesi interpretativa della disposizione censurata offerta dalla difesa erariale con il motivo in esame, con la conseguenza che lo stesso va rigettato perchè infondato.

8. In mancanza di costituzione dell’intimato non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2016

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