Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20770 del 14/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 14/10/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 14/10/2016), n.20770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21492/2010 proposto da:

T.F.P., domiciliato in ROMA VIA DEI MONTI

PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato ULISSE COREA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO PIGNATONE giusta delega

in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 44/2010 della COMM. TRIB. REG. della SICILIA,

depositata il 15/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

T.F.P. ha presentato regolarmente la dichiarazione dei redditi per gli anni (OMISSIS), ma non ha poi provveduto al versamento delle imposte in esse liquidate.

Il 31 maggio 2004 ha depositato istanza di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis, chiedendo il pagamento rateale dell’importo, versando però soltanto Euro 119.452,00 dei dovuti 137.283,00. L’Agenzia delle Entrate, constatato il mancato perfezionamento del condono, ha però trattenuto parte dell’ammontare versato, ossia 93 mila Euro dei 133 che in vista del condono erano stati pagati, a compensazione delle imposte dovute per gli anni (OMISSIS).

Il contribuente non ha impugnato il provvedimento con cui si dichiarava non perfezionato il condono, ma ha chiesto la restituzione della differenza tra il versato e quanto dal Fisco trattenuto per gli anni (OMISSIS) somma di cui però l’Agenzia ha negato la restituzione, portandola a compensazione delle imposte dovute per il (OMISSIS).

Il contribuente ha impugnato il diniego di rimborso ottenendo rigetto dapprima dalla Commissione provinciale di Palermo, con sentenza 226 del 2008 e poi dalla Commissione Regionale di Palermo, con decisione n. 44 del 2010.

Propone ora ricorso per cassazione con quattro motivi. Si è costituita tardivamente l’Agenzia, che no deposita controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

La decisione impugnata ha confermato quella di primo grado quanto al potere del Fisco di compensare il credito del contribuente con il debito di quest’ultimo per l’annodi imposta (OMISSIS).

In particolare, il contribuente aveva versato 133.327,00 Euro a titolo di condono per gli anni (OMISSIS). Il condono non si è perfezionato, e l’Agenzia, di quella somma, ha incamerato 93.297,24 Euro peri due suddetti anni di imposta.

Di conseguenza, il contribuente ha chiesto il rimborso della differenza tra quanto versato a titolo di condono non perfezionatosi e quanto trattenuto dall’Agenzia a titolo di imposte e sanzioni per gli anni (OMISSIS) (93 mila). Il Fisco ha tuttavia opposto diniego trattenendo quella differenza a pagamento delle imposte dovute per altra e diversa annata, quella del (OMISSIS).

Il ricorrente ritiene illegittima questa ulteriore compensazione (con l’annata del (OMISSIS)) e propone ricorso basato su quattro motivi.

1.- Con il primo motivo denuncia omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata. Secondo il ricorrente, i giudici di appello avrebbero motivato per relationem alla decisione di primo grado senza farla propria, o con argomenti tanto succinti da non consentire di capire l’iter logico che ha portato alla decisione.

Il motivo è infondato.

Il contribuente denuncia sia l’omessa che, in alternativa, l’insufficiente motivazione. Da un lato l’omessa motivazione è la mancanza dei motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, e nel caso presente invece, la decisione impugnata illustra le ragioni del rigetto, a volte ripetendo quelle già adottate in primo grado (Sez. U. n. 8053 del 2014). Per altro verso il ricorrente sembra censurare l’insufficienza della motivazione in termini di sua contraddittorietà, ed infatti assume che non sarebbe comprensibile, dal testo della motivazione, sei giudici di appello abbiano ritenuto compensate oppure semplicemente imputate con priorità le somme corrisposte dal contribuente. Ed invero si legge nella decisione impugnata che “in presenza di un debito certo, liquido ed esigibile…. Le somme successivamente versate dal contribuente, debbono essere trattenute a copertura del debito riconosciuto”, e dunque con evidente riferimento alla compensazione, come del resto si deduce dall’intero corpo della motivazione di secondo grado.

2.- Con il secondo motivo il contribuente fa valere violazione di legge, per erronea interpretazione dell’art. 1243 c.c. e D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 bis, lett. c), convertito in L. n. 156 del 2005.

Ritiene il ricorrente che la residua somma, ossia la differenza tra quanto da lui versato a titolo di condono e quanto compensato dall’Agenzia per gli anni (OMISSIS), è stata oggetto di ulteriore compensazione con le imposte dovute per l’anno (OMISSIS).

Tuttavia, nel momento in cui il Fisco ha operato la compensazione, era già decaduto dal potere di esigere il suo credito, in quanto, trattandosi di imposte per l’anno (OMISSIS), avrebbe dovuto notificare la cartella di pagamento (ex art. 36 bis) entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (ossia entro il 3 dicembre 2005).

Questa censura il ricorrente aveva già svolto nel gradi merito.

Il motivo è infondato.

La regola invocata dal ricorrente, infatti, presuppone un accertamento eseguito ai sensi dell’art. 36 bis, a seguito di controllo formale della dichiarazione. Nella fattispecie, invece, il Fisco non fa valere il suo potere di accertamento, il cui esercizio è soggetto ai termini di decadenza denunciati dal ricorrente, ma oppone un silenzio rifiuto alla istanza di rimborso. In tal caso è stato affermato dalla Sezioni Unite di questa Corte che: “In tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum”. (Sez. U. n. 5069 del 2016).

Trattandosi quindi di silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso non v’è alcuna decadenza dal potere di riscossione.

Va comunque osservato che, a prescindere da ciò, il termine non era affatto scaduto come suppone il contribuente. Infatti, del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 44, ha previsto che la notifica delle cartelle di pagamento relative alle dichiarazioni di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 36 comma 2, lettere a) e b), (che prevede il termine del 31 dicembre del quarto o del quinto anno successivo) nei confronti di contribuenti che abbiano presentato dichiarazioni o effettuato versamenti ai sensi dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, è prorogata al 31 dicembre 2008.

Il terzo motivo, che denuncia insufficiente motivazione sulla questione posta dal secondo motivo, può ritenersi da quest’ultimo assorbito, alla luce di quanto sopra esposto.

3.- Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 1193 c.c., deducendo che, avendo il contribuente indicato a quale debito fiscale andavano imputati i suoi versamenti, non poteva l’amministrazione dare, al contrario di quanto ritenuto dalla CTR, una imputazione diversa ed a sua discrezione.

Il motivo tuttavia non coglie la ratio della decisione (e, del resto, viene formulato nell’ipotesi che la decisione impugnata si intenda in un certo modo), in quanto la CTR ha ritenuto che l’Agenzia, conformemente a quanto da quest’ultima dichiarato, non ha imputato correttamente il pagamento, ma correttamente lo ha compensato. Così che la ratto della decisione non sta nella valutazione del criterio di imputazione del pagamento, bensì nella legittimità della compensazione effettuata.

Il ricorso va dunque accolto e le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessive 4000,00 Euro oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2016

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