Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20769 del 11/09/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20769 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 24822-2009 proposto da:
PAVIA E ANSALDO STUDIO LEGALE in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio
dell’avvocato VASCIMINNI MAURIZIO, rappresentato e
difeso dall’avvocato VANZ GIUSEPPE giusta delega in
calce;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 11/09/2013

STATO, che lo rappresenta e difende ape legis;

controricorrente

avverso la sentenza n. 75/2008 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 29/09/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato VANZ che ha
chiesto l’accoglimento, l’Avvocato VANZ alla fine
dell’udienza deposita note di replica;
udito per il controricorrente l’Avvocato GUIDA che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
l’accoglimento con riferimento al 6 ° motivo del
ricorso.

udienza del 09/04/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO

PREMESSO IN FATTO.
1. Con sentenza n. 75/30/08, depositata il 29.9.08, la
Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello principale proposto dall’associazione professionale Pavia e Ansaldo – Studio Legale, con sede in
Milano, e accoglieva l’appello incidentale proposto
dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano l avverso
la decisione di primo grado, emessa dalla CTP di Milano.
Tale decisione aveva, invero, parzialmente accolto il ricorso
proposto
dalla
contribuente
nei
confronti
dell’avviso di accertamento, emesso dall’Amministrazione
finanziaria ai fini IVA per l’anno di imposta 2000, annullando le sanzioni per omessa fatturazione di operazioni esenti e confermando, nel resto, l’atto impositivo.
2. La CTR – riformando la decisione di primo grado solo
sul punto relativo alle sanzioni, in accoglimento del
gravame incidentale dell’Ufficio – riteneva, invero, che
l’avviso di accertamento fosse legittimo in relazione a
tutte e tre le contestazioni mosse dall’Agenzia delle Entrate alla contribuente, e relative ad omesse fatturazioni di operazioni imponibili, indebita detrazione di IVA,
ed omessa fatturazione di un’operazione esente, poste in
essere dallo studio legale Pavia ed Ansaldo nell’anno in
contestazione.
3. Per la cassazione della sentenza n. 75/30/08 ha proposto ricorso l’associazione professionale Pavia ed Ansaldo
– Studio Legale, affidato a sei motivi, ai quali
l’Agenzia delle Entrate ha replicato con controricorso.
OSSERVA IN DIRITTO.
1. In data 27.12.05, veniva notificato all’associazione
professionale Pavia e Ansaldo – Studio Legale, con sede
in Milano, avviso di accertamento ai fini IVA per l’anno
2000, con il quale L’Ufficio sulla base di un processo
verbale di constatazione formato in data 14.12.05 – contestava alla contribuente le seguenti violazioni:
a) omessa fatturazione di operazioni imponibili IVA, per
prestazioni di consulenza, fatturate ad alcune società
italiane dallo studio statunitense BBLP – Pavia e Ansaldo
di New York, che l’Ufficio riteneva, invece, si sarebbero
dovute fatturare a dette società da parte dello studio
Pavia e Ansaldo di Milano;
b) indebita detrazione IVA su autofattura emessa dal predetto studio legale, ritenendo l’ Amministrazione che il
documento contenesse una descrizione troppo generica
dell’operazione, e che non fosse accompagnato da documentazione idonea a dimostrare l’inerenza della stessa
all’attività dello studio;
c) omessa fatturazione di un’operazione esente da IVA,
consistente nella restituzione allo studio Pavia ed Ansaldo di un capitale di dollari USA 200.000, che lo studio legale italiano aveva dato in prestito a quello americano (BBPL – Pavia e Ansaldo di New York), violazione
che, trattandosi di operazione esente, avrebbe dato luogo
solo ad applicazione di una sanzione per violazione formale, senza recupero alcuno di imposta.
1.1. L’atto impositivo veniva impugnato dall’associazione
professionale dinanzi alla CTP di Milano, che respingeva

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tutti i motivi di ricorso, confermando l’avviso di accertamento dell’Ufficio, fatta eccezione per il profilo concernente l’omessa fatturazione di operazione esente, in
relazione alla predetta restituzione del mutuo erogato
dallo studio Pavia e Ansaldo di Milano allo studio americano BBPL di New York.
1.2. Avverso la pronuncia di prime cure proponeva, quindi, appello principale il contribuente, per le statuizioni a lui sfavorevoli in ordine alle riprese a tassazione
concernenti le altre violazioni ascrittegli dall’Ufficio,
nonché appello incidentale l’Amministrazione finanziaria,
in punto sanzione per omessa fatturazione di operazione
esente. La CTR della Lombardia respingeva l’appello principale dello studio Pavia e Ansaldo, accogliendo, invece,
l’appello incidentale dell’Ufficio, con sentenza n.
75/30/08, che il contribuente ha gravato di ricorso per
cassazione sulla base di sei censure.
2. Con i primi tre motivi di ricorso – che, per la loro
evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – lo
studio legale Pavia e Ansaldo denuncia la violazione e
falsa applicazione degli artt. 12, co. 7 della l. n.
212/00 e 21 octies della 1. n. 241/90, in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
2.1. Avrebbe, invero, errato la CTR nel ritenere che
l’avviso di accertamento notificato (in data 27.12.05)
prima del decorso del termine di sessante giorni dalla
chiusura della verifica (14.12.05), in violazione del disposto di cui all’art. 12, co. 7 1. 212/00, non fosse annullabile, ai sensi dell’art. 21 octies, co. 1 1. 241/90.
Ed invero, a parere del ricorrente, anche la violazione
del suddetto art. 12, co. 7 cit., al pari di qualsiasi
altra violazione di legge, sarebbe idonea a determinare
l’annullabilità del provvedimento amministrativo (nella
specie, l’avviso di accertamento).
2.2. Né, d’altra parte, sarebbe applicabile nella specie,
ad avviso dello studio Pavia e Ansaldo, la “sanatoria”
prevista dal co. 2 del menzionato art. 21 octies 1.
241/90, secondo cui, in caso di atti vincolati, la violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti
non determinerebbe l’annullabilità del provvedimento,
laddove la natura vincolata dell’atto rendesse palese che
il suo contenuto non poteva essere diverso da quello in
concreto adottato.
Ed invero, anche a voler considerare l’avviso di accertamento atto vincolato, l’applicabilità della predetta “sanatoria” sarebbe esclusa, in primo luogo, perché incompatibile con il diritto di origine comunitaria (enunciato
da C. Giust. CE, 18.12.08, C-349/07), ma recepito anche a
livello nazionale dal succitato art. 12, co. 7 dello Statuto del contribuente, ad un effettivo contraddittorio
procedimentale antecedente all’emissione a carico del
contribuente di un atto impositivo. In secondo luogo, la
disposizione da ultimo menzionata non integrerebbe, ad
avviso del contribuente, una norma sul procedimento, né tanto meno – una disposizione sulla forma degli atti,

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bensì una norma sull’attribuzione del potere, la cui violazione determinerebbe carenza di potere in concreto (non
in astratto, vizio più radicale che dà luogo a nullità),
da cui conseguirebbe l’annullabilità non sanabile
dell’atto impositivo.
2.3. Inoltre, a parere del contribuente, avrebbe errato
la CTR nel ritenere – peraltro con motivazione del tutto
incongrua – che il semplice fatto, enunciato nella motivazione dell’avviso di accertamento, che in data 31.12.05
sarebbe spirato il termine utile per la notifica
dell’avviso di accertamento, potesse integrare un caso
“di particolare e motivata urgenza”, tale da consentire
di giustificare il mancato rispetto del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12, co. 7 l. 212/00. Siffatte evenienze di particolare urgenza sarebbero, invero,
ravvisabili – secondo il ricorrente – solo in quei fatti
che siano del tutto indipendenti dalla volontà, o comunque dall’organizzazione dell’attività dello stesso Ufficio impositore.
2.4. Le censure suesposte sono infondate.
2.4.1. In ordine alle conseguenze del mancato rispetto
del termine di sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle
operazioni ispettive, per la notifica al medesimo
dell’avviso di accertamento, la giurisprudenza di questa
Corte si è andata – per vero – per lo più orientando nel
senso della lettura costituzionalmente orientata della
norma, suggerita da C. Cost. ord. n. 244/09. In particolare, si è affermato che l’atto impositivo, notificato
prima del decorso di detto termine, debba considerarsi
affetto da nullità – in forza del combinato disposto degli artt. 7, co. l 1. 212/00, 3 e 21 septies 1. 241/90 e
56, co. 5 d.P.R. 633/72 con specifico riferimento
all’IVA, in rilievo nel caso in esame (art. 42, co. 2 e 3
d.P.R. 600/73, in tema di imposte dirette) – salvo che si
sia in presenza di uno dei “casi di particolare e motivata urgenza”, che – a tenore dell’art. 12, co. 7 1. 212/00
– giustificano l’emissione dell’avviso di accertamento
prima dello spirare del termine suindicato.
2.4.2. E tuttavia, mentre un indirizzo più rigoroso si è
espresso, al riguardo, nel senso che l’atto impositivo
debba contenere la motivazione sull’eventuale urgenza che
ne abbia determinato l’adozione prima dello scadere del
termine suddetto (Cass. 22320/10, 16999/12), altro indirizzo ha, invece, ritenuto che l’esonero dal rispetto dei
sessanta giorni ex art. 12, co. 7 1. 212/00 operi in presenza del requisito dell’urgenza dell’emissione dell’ atto, anche se in questo non sia enunciato il fatto determinativo dell’urgenza stessa, giacchè ai sensi dell’art.
7 della legge cit., l’obbligo di motivazione si riferisce
esclusivamente alle ragioni della pretesa tributaria, ma
non anche ai tempi di emanazione dei provvedimenti impositivi o alle regole procedimentali (Cass. 11944/12).
La questione è stata rimessa, pertanto, con l’ordinanza
n. 7318/12 di questa sezione, alle Sezioni Unite, perché
vogliano provvedere – ai sensi dell’art. 374 c.p.c. – a
dirimere il contrasto di giurisprudenza, manifestatosi

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nella sezione tributaria, circa le conseguenze da ascrivere alla violazione summenzionata.
2.4.3. Nondimeno, con riferimento al caso concreto, la
Corte non ritiene si profili la necessità di sospendere
il presente giudizio, in attesa del deposito della pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione controversa.
Ed invero, è del tutto pacifico in causa – avendone dato
atto lo stesso studio legale ricorrente nel ricorso per
cassazione, nel quale ha trascritto in parte qua l’atto
impositivo – che l’avviso di accertamento emesso
dall’Amministrazione indicava espressamente la ragione di
urgenza che aveva indotto l’Ufficio a non rispettare il
termine di sessanta giorni ex art. 12, co. 1. 212/00. Tale ragione veniva, difatti, chiaramente evidenziata
dall’Agenzia delle Entrate con riferimento all’imminente
scadenza del termine di decadenza per l’accertamento in
rettifica della dichiarazione IVA, per l’anno di imposta
2000, scadenza che si sarebbe verificata, infatti, il
31.12.05. Sicché, la notifica dell’avviso di accertamento
in data 27.12.05 – ossia prima dello spirare del termine
di sessanta giorni dalla chiusura della verifica, avvenuta il 14.12.05 – era stata giustificata dall’Ufficio con
l’esigenza di evitare la decadenza dal potere di accertare eventuali violazioni da parte del contribuente, con
conseguente recupero a tassazione dell’imposta, in ipotesi, evasa, oltre alle sanzioni eventualmente applicabili.
E non può revocarsi in dubbio che siffatta ratio di evitare la decadenza dal potere impositivo in parola – in
quanto si iscrive nell’esigenza di carattere pubblicistico, connessa all’efficiente esercizio della potestà amministrativa nel fondamentale settore delle entrate tributarie (art. 97 Cost.), positivamente e congruamente vagliata, nella specie, dalla CTR – ben può giustificare la
notifica dell’avviso di accertamento prima del decorso
del predetto termine di cui all’art. 12, co. 7 l. 212/00
(Cass. 11944/12).
2.4.4. Né è da ritenersi condivisibile l’assunto dello
studio Pavia e Ansaldo, secondo cui l’art. 12, co. 7 1.
212/00 costituirebbe una fonte “rafforzata” dall’essere
direttamente riconducibile agli artt. 3, 23, e 53 Cost.
Le norme dello Statuto del contribuente infatti, come
questa Corte ha più volte chiarito, non hanno rango superiore alla legge ordinaria e, pertanto, non possono consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse (v. Cass. 8254/09,
8145/11). Di conseguenza, non potrebbero le suindicate
esigenze pubblicistiche, fondate queste ultime su principi di rango costituzionale desumibili dall’art. 97 Cost.,
essere pretermesse o posposte, ritenendosi cogente il rispetto dell’intero spatium deliberandi suindicato (previsto dall Statuto del contribuente), pur quando il termine
di decadenza del potere impositivo, diretto a garantire
il rispetto di dette finalità, sia prossimo alla scadenza.
2.4.5. E neppure conseguenza alcuna in suo favore potrebbe trarre il contribuente dai principi di rango comunitari, enunciati da C. Giust. CE, 18.12.08, C- 349/07, posto

che tale decisione, nel demandare alla discrezionalità
dei giudici degli Stati membri di stabilire la congruità,
o meno, dei termini per le osservazioni dei contribuenti
e per le successive decisioni dell’Amministrazione previsti dai diritti nazionali, ha ritenuto comunque congruo e
“conforme alle prescrizioni del diritto comunitario” un
termine da otto a quindici giorni (nella specie ne sono
decorsi tredici) concesso al contribuente per presentare
le proprie osservazioni.
2.5. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, le censure
in esame non possono che essere disattese.
3. Con il quarto motivo di ricorso, lo studio Pavia e Ansaldo denuncia l’insufficiente motivazione su un punto
decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n.
5 c.p.c.
3.1. Osserva il contribuente che, in relazione al rilievo
dell’omessa fatturazione di operazioni imponibili IVA, la
CTR avrebbe ritenuto fondato l’assunto dell’Ufficio, secondo il quale una serie di prestazioni professionali,
fatturate dallo studio americano BBLP di New York a società italiane (Parmalat, Eurolat, Coloniale, Gallo, Credito Emiliano, Hit, Azuritalia, Motovario), avrebbero dovuto essere fatturate a dette società dallo studio Pavia
e Ansaldo di Milano, in quanto clienti dello studio italiano, e non di quello statunitense. Al riguardo, il giudice di appello avrebbe, invero, tenuto conto solo delle
procure alle liti e dei correlativi atti giudiziari, che
avevano riguardato – tra l’altro – solo una parte dei
clienti italiani, mentre con riferimento alle pratiche
non giudiziarie, e per quelle per le quali non sarebbe
stata conferita procura alcuna, il convincimento della
CTR non sarebbe fondato su documentazione adeguata.
Di più, la CTR non avrebbe correttamente interpretato gli
atti difensivi del contribuente nel giudizio di appello,
dai quali non si sarebbe dovuto desumere – contrariamente
a quanto argomentato dal giudice di appello – elemento
alcuno di convincimento circa il preteso conferimento di
un mandato professionale allo studio di Milano da parte
delle predette società.
3.2. Il motivo è inammissibile.
3.2.1. Secondo il costante insegnamento di questa Corte,
infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione,
deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5,
c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di
merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile
il mancato o deficiente esame di punti decisivi della
controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello
preteso dalla parte. Ed infatti, la norma succitata non
conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello
di controllare, sotto il profilo logico-formale e della
correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal
giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo,
valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle

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ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (tra
le tante, v. Cass. 6288/11, 27197/11).
3.2.2. Nel caso concreto, la censura in esame investe,
per contro, la Corte di un sindacato circa la scelta del
materiale probatorio cui il giudice di merito avrebbe dovuto attingere per la decisione ed in ordine alla sua attendibilità e concludenza, nonché in relazione alla valutazione operata da detto giudice degli atti difensivi del
giudizio di seconde cure; accertamenti questi che non
possono costituire in alcun modo oggetto del giudizio di
legittimità, alla stregua dei principi suesposti.
3.3. La censura in esame va, pertanto, rigettata.
4. Analoghe considerazioni valgono, peraltro, anche per
il quinto motivo di ricorso, con il quale lo studio legale Pavia e Ansaldo denuncia l’omessa motivazione circa un
fatto decisivo della controversia, in relazione all’art.
360 n. 5 c.p.c.
4.1. Si duole, infatti, il ricorrente del fatto che la
CTR abbia ritenuto fondato l’addebito dell’ Amministrazione relativo all’indebita detrazione IVA su autofattura
emessa dal predetto studio legale, per prestazioni professionali ricevute dallo studio americano Pavia & Harcourt di New York, avendo ritenuto il giudice di appello
che il documento contenesse una descrizione troppo generica dell’ operazione, non indicando minimamente quali
fossero le prestazioni rese dallo studio americano, e che
esso non fosse accompagnato da documentazione idonea a
dimostrare l’inerenza della stessa all’attività dello
studio.
Di contro, a parere del contribuente, la CTR avrebbe dovuto tenere conto del contratto di collaborazione tra i
due studi, l’italiano e l’americano, dal quale si sarebbe
potuto desumere – a suo dire – il rapporto giuridico che
avrebbe originato detta autofattura, dovendo considerarsi
“evidente che, per uno studio a vocazione internazionale,
come lo studio Pavia e Ansaldo, un rapporto continuativo
di collaborazione (…), con un affine studio americano,
appare non solo opportuno, ma addirittura necessario”.
4.2. Il motivo è inammissibile.
4.2.1. In forza dei principi suesposti, invero, non può
la Corte sindacare il mancato riferimento, da parte della
CTR, a detto documento nella motivazione dell’impugnata
sentenza, non potendo da esso – per quanto possibile dedurre dalla parte trascritta nel ricorso – trarre elementi decisivi per la risoluzione della controversia. Trattasi, infatti, di un ampio e generale programma di cooperazione e assistenza reciproca tra lo studio italiano e
quello americano, dal quale non è possibile, quindi, dedurre alcunché in ordine all’effettiva e concreta individuazione delle specifiche prestazioni oggetto della fattura in questione, ed alla loro eventuale inerenza
all’attività dello studio italiano.
E – come dianzi detto – alla Corte non è possibile sindacare, per ragioni intrinseche ai limiti del giudizi di
legittimità, l’individuazione delle fonti del proprio
convincimento da parte del giudice di merito, e la loro
graduazione ai fini probatori, laddove non sia riscontra-

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bile dagli atti l’omesso esame di elementi probatori o di
punti decisivi della controversia.
4.2.2. Per tali ragioni, dunque, anche la censura in parola non può che essere rigettata.
5. Con il sesto motivo il ricorso, lo studio Pavia e Ansaldo denuncia, infine, la violazione degli artt. 3, co.
2, 10, co. l n. l e 13 co. l del d.P.R. 633/72, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
5.1. Il ricorrente deduce, invero, l’erroneità dell’ assunto della CTR, secondo la quale sarebbe fondato il terzo rilievo mosso dall’Ufficio al contribuente, relativamente alla pretesa omessa fatturazione di un’ operazione
esente da IVA, consistente nella restituzione allo studio
Pavia ed Ansaldo di un capitale di dollari USA 200.000,
che lo studio legale italiano aveva dato in prestito a
quello americano (BBPL – Pavia e Ansaldo di New York). A
tale conclusione – considerata erronea dal contribuente la CTR sarebbe, difatti, pervenuta considerando che si
verserebbe, nella specie, in ipotesi di “prestito di denaro” che, in quanto tale, sarebbe soggetto all’obbligo
di fatturazione, anche se costituente operazione esente
ex art. 10 d.P.R. 633/72, in quanto prestazione di servizi, ai sensi dell’art. 3, co. 2 n. 3 del decreto cit.
La CTR non avrebbe, di contro, considerato che – a tenore
del combinato disposto delle norme succitate- l’esenzione
in parola, ed il connesso obbligo di fatturazione, riguarderebbero solo il corrispettivo del finanziamento, e
non l’erogazione dei denaro in sé, o la sua restituzione,
ipotesi, quest’ultima, che viene in considerazione nel
caso di specie.
5.2. Il motivo è fondato.
5.2.1. Va osservato, infatti, che – a norma dell’art. 3,
co. 2 del d.P.R. 633/72, costituiscono prestazioni di
servizi – oltre alle prestazioni effettuate dietro corrispettivo in dipendenza di una serie di contratti, per lo
più aventi ad oggetto un facere
anche, ma purchè effettuati verso corrispettivo, prestiti di denaro e di
titoli non rappresentativi di merci, comprese le operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione pro soluto, di crediti, cambiali o assegni”.
Inoltre, a tenore dell’art. 10, co. l n. 1 del decreto
cit., sono esenti dall’imposta “le prestazioni di servizi
concernenti la concessione e la negoziazione di crediti,
la gestione degli stessi da parte dei concedenti e le
operazioni di finanziamento”.
Non va tralasciato, infine, il disposto dell’art. 13 dello stesso decreto, laddove dispone che “la base imponibile delle prestazioni di servizi è costituita dall’ ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al (…) prestatore”.
5.2.2. Orbene, dall’esame del combinato disposto delle
norme succitate si evince, dunque, che l’elemento qualificante le prestazioni di servizi, quale presupposto oggettivo dell’imposta in questione, è costituito – senza
distinzioni di sorta, essendo le prestazioni effettuate a
titolo gratuito al di fuori del sistema dell’IVA – dalla

e

presenza di un corrispettivo, che vale ad integrare anche
la relativa base imponibile. Ed è, quindi, esclusivamente
con riferimento al corrispettivo del prestito in denaro o
del finanziamento (interesse, commissione, provvigione)
che si applica l’esenzione da imposta di cui al menzionato art. 10, co. l n. l d.P.R. 633/72, e ad esso si riferisce, altresì, il connesso obbligo formale di fatturazione e di registrazione.
5.2.3. Tale conclusione è – dipoi – avvalorata dalla considerazione che l’art. 2, co. 3, lett. a) stabilisce che
“non sono considerate cessioni di beni: a) le cessioni
che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro”.
Ne discende che i due passaggi di proprietà che si verificano per effetto del mutuo (fattispecie in rilievo nel
caso concreto), ai sensi dell’art. 1814 c.c., originati
rispettivamente dal prestito e dalla restituzione, non
possono considerarsi di per sé soggetti ad IVA.
In effetti, la restituzione del denaro ricevuto a mutuo
– ipotesi ricorrente nel caso di specie – non può correttamente considerarsi il corrispettivo dell’averlo a suo
tempo ricevuto in prestito. L’eventuale corrispettivo imponibile – al quale si riferiscono sia l’esenzione, sia i
connessi obblighi di fatturazione e di registrazione non può che essere costituito, invero, che dall’eventuale
compenso (va considerato, infatti, che il mutuo è un contratto naturalmente oneroso, sicché esso ben può essere
anche gratuito, a seconda della volontà delle parti, come
dispone l’art. 1815, co. 1 c.c.) pattuito a fronte della
concessa disponibilità (e proprietà) della somma data a
prestito.
Del tutto erronea si palesa, pertanto, l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha frettolosamente e semplicisticamente concluso per la sussistenza dell’obbligo di
fatturazione e, quindi, per la correttezza
dell’irrogazione delle sanzioni per la sua violazione,
per il solo fatto che – pur in mancanza di un corrispettivo del mutuo in questione – si trattasse comunque di
restituzione di un prestito di somma di denaro.
5.3. Il motivo di ricorso in esame va, di conseguenza accolto.
6. L’accoglimento della censura suesposta comporta la
cassazione dell’impugnata sentenza in parte qua. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di
cui all’art. 384, co. l c.p.c., annulla l’avviso di accertamento in relazione alla sanzione per omessa fatturazione attinente alla restituzione di dollari USA 200.000.
6. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno
poste a carico della amministrazione, parzialmente soccombente, nella misura di 1/4. Concorrono giusti motivi
per dichiarare compensate fra le parti i 3/4 residui,
nonché le spese dei giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il sesto motivo di ricorso e rigetta gli altri;
cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, annulla l’avviso di accertamento in relazione alla sanzione

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- 9 –

MENTE DA RECASTIt AZIONE
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N.5
N.
MMULA T WS:431.il’AIMA

per omessa fatturazione attinente alla restituzione di
dollari USA 200.000; condanna la resistente al pagamento
delle spese del presente giudizio, che liquida, in ragione di 1/4, in C 5.000,00, oltre C 200,00 per esborsi e
accessori di legge; dichiara compensate tra le parti i
residui 3/4, nonché le spese dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 9.4.2013.

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