Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20768 del 11/09/2013
Civile Sent. Sez. 5 Num. 20768 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI
SENTENZA
sul ricorso 17405-2012 proposto da:
CHIQUITA ITALIA SPA in persona dell’Amministratore
Delegato e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA GONDAR 22,
presso lo studio dell’avvocato ANTONELLI MARIA, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ARMELLA SARA giusta delega a margine;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
Data pubblicazione: 11/09/2013
- STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
a
– con troricorrente .
nonchè contro
AGENZIA DELLE DOGANE, UFFICIO DOGANE DI TRENTO,
CORTESI FRANCO;
intimati
–
avverso la sentenza n. 15/2012 della COMM. TRIBUTARIA
Il GRADO di TRENTO, depositata il 05/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/01/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato ARMELLA che si
riporta agli scritti;
udito per il controricorrente l’Avvocato CAPUTI
IAMBRENGHI che si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto dei primi due motivi del ricorso,
accoglimento del terzo, assorbiti gli altri.
–
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l. La Commissione tributaria regionale
cl(éZ TrentAt21202=Rdna,
con sentenza depositata il 5 marzo 2012, ha confermato la sentenza
resa dalla CTP di Trento che aveva respinto il ricorso proposto da
Chiquita spa avverso l’atto di rettifica relativo a dazi agricoli,
IVA interessi e spese non pagati per l’anno 1999 in relazione
alla falsità di certificati AGRIM, acclarata dal Ministero
dell’importazione, effettuata dalla Socoba s.r.l. in qualità di
importatrice nell’interesse esclusivo della proprietaria Chiquita
Italia spa di banane provenienti dall’America Latina e Centrale.
2. Premetteva il giudice di appello che la Comunità europea, nel
1993, aveva introdotto un trattamento daziario preferenziale in
sede di importazione di banane rapportato ai quantitativi di merce
importata e che, per fruire di tale beneficio, l’importatore era
tenuto a comunicare alle autorità competenti il volume di
quantitativi di banane commerciate nel triennio precedente
mediante autocertificazione.
3. Aggiungeva che tale sistema aveva favorito il fenomeno del
trasferimento di falsi certificati di importazione finalizzato
all’effettuazione di importazioni di banane con trattamenti
daziari ridotti o nulli e che l’Ufficio delle Dogane di Trento,
sulla base delle verifiche compiute dall’OLAF e dell’accertata
falsità dei certificati Agrim, aveva contestato il mancato
pagamento dei dazi alla Socoba, allo spedizioniere Errek ed alla
Chiquita Italia, la quale ultima aveva proceduto, mediante uno
sperimentato meccanismo di triangolazioni fra società,
ad una
prima fittizia cessione delle partite di banane dalla stessa
detenute alla sua consociata Socoba- tenutaria dei titoli Agrim
falsi- la quale, dopo lo sdoganamento, aveva nuovamente ceduto le
stesse partite alla Chiquita Italia spa che era dunque la vera
proprietaria della merce.
4. Rilevava il giudice di appello che:
a)il termine di prescrizione per l’azione di accertamento
decorreva dal passaggio in giudicato della sentenza -assolutoria o
dell’Economia spagnolo e dall’OLAF, in occasione
- di’ condanna-
resa nell’ambito del procedimento penale iniziato,
alla stregua del combinato disposto di cui agli artt.221 CDC e 84
TULD, non avendo consistenza il rilievo del contribuente in ordine
alla necessità che la segnalazione avvenisse entro il termine di
tre anni dall’accertamento doganale, peraltro risultando che la
Circoscrizione doganale di Trento aveva segnalato alla Procura di
Trento la notizia di reato il 23 novembre 2001 e che con sentenza
incompetente con trasmissione degli atti ad altra Procura ove il
procedimento era ancora pendente, per cui la richiesta
dell’amministrazione doveva considerarsi tempestiva;
b)era
infondata
la
doglianza
relativa
all’uso
delle
intercettazioni telefoniche che il giudice di prime cure non aveva
posto a fondamento della decisione;
c)corretta era stata la decisione di prime cure in ordine alla
ritenuta responsabilità della Chiquita Italia sulla base
dell’art.201 CDC, in quanto, come pure accertato dalla Commissione
Tributaria regionale nella sentenza prodotta dall’Agenzia delle
Dogane, era da ritenere la reale proprietaria delle merci in
relazione alla triangolazione acclarata con la dichiarante Socoba,
avendo la stessa Chiquita Italia sostenuto i costi di tutti gli
oneri sostenuti dallo spedizioniere Errek, anche anteriori allo
sdoganamento, e necessari per le verifiche doganali ed impartito
le istruzioni in merito alla logistica della merce sul territorio
nazionale. Era pertanto evidente che la Socoba si fosse
interposta, per conto della Chiquita, in realtà unica proprietaria
delle banane, in operazioni compiute prima e dopo la spedizione
doganale, risultando peraltro che gli organismi delle due società
erano costituiti dalle medesime persone e facevano capo a nuclei
familiari imparentati con il Direttore generale della Chiquita
Italia spa Franco Cortesi;
d)
la responsabilità del soggetto non dichiarante era stata
correttamente ritenuta dal giudice di primo grado sulla base della
circostanza che la Chiquita era proprietaria della merce e,
quindi, sicuramente debitrice del tributo evaso, configurandosi la
dell’8 novembre 2006 il Tribunale di Trento si era dichiarato
diChiarazione doganale del terzo interposto come modalità elusiva
dell’imposta;
e)La responsabilità della Chiquita era stata correttamente
ritenuta in relazione alla riferibilità alla stessa degli atti
compiuti dal proprio amministratore Cortesi, il quale aveva
effettuato le importazioni di banane per conto della stessa
società, nemmeno peraltro risultando intrapresa alcuna azione di
responsabilità della Chiquita Italia nei confronti del Cortesi;
f) la responsabilità della Chiquita Italia per l’utilizzazione di
certificati falsi non poteva escludersi in forza della sentenza
della Commissione europea dell’8 aprile 2010, la quale aveva
riconosciuto lo sgravio dei dazi di importazione di banane da
parte di una società belga provenienti dalla Colombia ed importate
in Belgio in relazione alle omissioni e negligenze degli Stati
membri nel verificare i titoli di importazione apparentemente
rilasciati dalle autorità spagnole, riferendosi tale decisione ad
un periodo di tempo limitato ed avendo espressamente affermato che
la domanda di sgravio non poteva essere presentata dalle due
imprese italiane che figuravano come cessionarie dei certificati e
che l’accoglimento dello sgravio presupponeva l’assenza di manovre
fraudolente e di negligenza, circostanze, queste ultime, invece
acclarate dal Tribunale di Genova con la sentenza resa il 16
settembre 2010, nella quale dichiarandosi prescritto il reato, si
era esclusa l’assenza dell’elemento soggettivo a carico dei
soggetti agenti nell’interesse della Chiquita Italia;
g) corretta, infine, doveva ritenersi la decisione impugnata nella
parte in cui aveva rigettato la domanda di sospensione del
procedimento avanzata sul presupposto della non definitività della
decisione che aveva rigettato la querela di falso relativa ai
certificati di importazione, evidenziando che la falsità dei
predetti era stata acclarata dalle autorità spagnole e dall’OLAFla cui attività aveva pieno valore probatorio-, dovendosi peraltro
qualificare le attestazioni anzidette come mere comunicazioni,
prive di efficacia probatoria qualificata;
—
5: Ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a 13 motivi, la
società Chiquita Italia, al quale ha resistito l’Agenzia delle
Dogane con controricorso. Le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6. Con il
di ricorso la società contribuente ha
primo motivo
dedotto violazione e falsa applicazione dell’art.2 comma 3
d.lgs.n.546/1992, in relazione all’art.360 comma l n.3 c.p.c.,
della sospensione del processo tributario in attesa della
definizione del giudizio di appello concernente la querela di
falso proposta contro le attestazioni delle autorità spagnole
circa la falsità dei certificati di importazione, aveva esorbitato
dai limiti della giurisdizione tributaria allorchè aveva ritenuto
le informazioni rilasciate dagli Stati membri prive di efficacia
probatoria
privilegiata,
in
tal
modo
ingerendosi
nella
giurisdizione del giudice civile.
7.
Con il
secondo motivo
si lamenta violazione dell’art.39
d.lgs.n.546/1992, in relazione all’art.360 comma l n.3 c.p.c., in
quanto ingiustamente la CTR non aveva sospeso il processo
tributario in relazione alla pendenza del giudizio di appello
sulla querela di falso già ricordata, evidenziando che in caso di
accoglimento della stessa ne sarebbe derivata l’estraneità della
stessa a qualsiasi forma di responsabilità solidale.
8. L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza di entrambe le
censure.
9. Ritiene la Corte che le censure, da esaminare congiuntamente
stante la loro stretta connessione, sono infondate.
9.1
Se
è
infatti
pacifico
che
in
forza
dell’art.39
d.lgs.n.546/1992 il giudice tributario è tenuto a sospendere il
giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie fino al passaggio in
giudicato della decisione in ordine alla querela di falso
presentata (o fino a quando non si sia altrimenti definito il
relativo giudizio), trattandosi di accertamento pregiudiziale
riservato ad altra giurisdizione, del quale il giudice tributario
non può conoscere neppure incidente tantum (Cass. 9389/07), non è
poiché il giudice di appello, rigettando la richiesta di proroga
- – méh vero che in caso di presentazione della querela di falso, il
medesimo giudice tributario non è chiamato a svolgere una funzione
meramente passiva prendendo semplicemente atto dell’istanza ed
arrestando il corso del procedimento a scapito della speditezza
del giudizio garantita dalle regole del giusto processo, ma deve
quanto meno verificare la pertinenza di tale iniziativa
processuale in relazione al documento impugnato e la sua rilevanza
finisca per costituire un inutile intralcio alla giurisdizione.
Ciò che abilita lo stesso giudice non certo a svolgere un giudizio
prognostico nel merito, ma a valutare la idoneità della proposta
querela ad arrestarne il corso-cfr.Cass.n.18139/2009-.
9.2 Orbene, nel caso di specie la CTR
si è perfettamente
conformata a tale indirizzo poiché per un verso ha considerato le
comunicazioni dell’autorità spagnola atti privi di efficacia
probatoria privilegiata in guisa da assegnare un valore neutro
alla querela di falso nell’economia del giudizio presso di essa
instaurato e, per altro verso, ha dato atto dell’utilizzazione, ai
fini del procedimento, del materiale probatorio prodotto
dall’Agenzia-relazioni ispettive dell’Olaf- che costituiscono
elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari
dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene (art.
9 Reg. 1073/99 CE) e le informazioni delle autorità spagnole le
quali, ai sensi dell’art. 16 Reg.CE n.515/97- norma di rango
comunitario, di immediata efficacia nel nostro ordinamento e
prevalente su qualsiasi altra disposizione di rilievo istruttorio
con essa incompatibile- possono essere invocate dagli organi
competenti dello Stato membro come elementi di prova-cfr., ancora,
Cass.n.18139/2009-.
9.3 Nessuna ingerenza vi è dunque stata da parte del giudice di
appello rispetto alle prerogative riservate al giudice civile
quanto al giudizio di querela di falso.
10. Con il
terzo motivo
di ricorso la società contribuente ha
dedotto violazione dell’art.84 secondo e terzo comma d.pr
n.43/1973 e dell’art.221 comma quarto del Reg.CEE n.2913/1992,
ai fini della decisione perché il provvedimento sospensivo non
oltrechè dell’art.11 d.lgs.n.374/1990, in relazione all’art.360
comma l n.3 c.p.c. Sostiene la ricorrente che l’art.84 ult. cit.
non poteva trovare applicazione in quanto non vi era, nel caso
concreto, alcuna sentenza o decreto irrevocabile al momento
dell’adozione degli accertamenti fiscali, in ogni caso ponendosi
tale disposizione in contrasto con i principi di certezza dei
rapporti giuridici e del diritto di difesa. Aggiungeva, ancora,
che in caso di contestazione penale, occorreva necessariamente che
entro il termine triennale dal compimento dell’operazione doganale
fosse intervenuta la notitia criminis all’Autorità competente con
riguardo ai fatti specifici oggetto dell’accertamento fiscale,
circostanza che era assente nel caso di specie, ove la
comunicazione di reato era stata genericamente rivolta a bollette
emesse negli anni 1998/1999 e 2000.
11. La censura, come puntualmente evidenziato dall’Agenzia delle
Dogane, è infondata, ancorchè occorra correggere la motivazione
espressa dal giudice di appello alla stregua dell’art.384 ult.
comma c.p.c.
11.1 Ed invero, in tema di tributi doganali, questa Corte è ferma
nel riconoscere che l’azione di recupero “a posteriori” dei dazi
all’importazione o all’esportazione non può essere avviata dopo la
scadenza del termine di tre anni dalla data di contabilizzazione a
meno che vi sia stata la formulazione di una
notitia criminis,
operando in tali ipotesi l’art.84 TULD – a cui tenore
qualora il
mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti abbia causa da
un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il
decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono
divenuti irrevocabili-
e l’art.221 CDC, secondo il quale la
comunicazione (di recupero dei dazi) al debitore non può essere
più effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione
doganale, ma se essa riguarda un atto penalmente perseguibile la
comunicazione può essere effettuata anche dopo la scadenza di tale
termine.
11.2 Ora,
è anzitutto infondato il rilievo relativo alla
violazione dell’art.11 d.lgs.n.374/1990.
–
r
11’1.3 Infatti, l’Amministrazione doganale è tenuta al rispetto del
particolare procedimento di revisione previsto dal D.Lgs. n. 374
del 1990, art. 11 (e, in precedenza, di quello previsto dal poi
abrogato D.P.R. n. 43 del 1973, art. 74) e dei corrispondenti
termini di decadenza solo in ipotesi di attività di revisione in
senso proprio (incidente,
cioè, sulla qualificazione delle merci
importate, in rapporto
alle relative caratteristiche); non,
rideterminazione o recupero del dazio
causata da evenienze
del
che,
tutto
prescindendo
dall’identificazione soggettiva ed oggettiva della merce nei suoi
elementi fiscalmente rilevanti (quali, tra le altre,
l’accertamento di falsificazioni o fatti penalmente perseguibili),
non comportano alcuna ulteriore indagine sulla merce. (cfr.
Cass.n.1578/2012;
Cass.
ord.
19549/09,
14522/08,
20733/06,
20361/06, 19196/06, 11406/96, 4892/94).
11.4 Questa Corte ha però ritenuto che in tema di tributi
doganali, l’azione di recupero “a posteriori” dei dazi
all’importazione o all’esportazione può essere avviata dopo la
scadenza del termine di tre anni dalla data di contabilizzazione
dell’importo originariamente richiesto- coincidente con la
presentazione della merce in dogana- quando la mancata
determinazione del dazio sia avvenuta a causa di un atto
perseguibile penalmente- a prescindere dall’esito- di condanna o
assolutorio- del giudizio- purchè sia trasmessa, nel corso del
termine di prescrizione e non dopo la sua scadenza, la “notizia
criminis”, primo atto esterno prefigurante il nodo di commistione
tra fatto reato e presupposto di imposta, destinato ad essere
sciolto all’esito del giudizio penale-cfr.Cass.
n.
5384
del
04/04/2012;Cass.n.14016/2012-.
11.5 Tale indirizzo, peraltro, non contrasta in alcun modo con la
previsione contenuta nell’art.221 Reg.CE n.2913/1992, avendo la
Corte di Giustizia di recente espressamente chiarito, proprio
nell’ambito di un rinvio pregiudiziale sollevato dalla CTP di
Alessandria, che l’art. 221, nn. 3 e 4, del regolamento (CEE) del
Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913 deve essere interpretato nel
invece, nelle ipotesi di
senso che non osta ad una normativa nazionale in base alla quale,
laddove il mancato pagamento dei diritti tragga origine da un
reato, il termine di prescrizione dell’obbligazione doganale
inizia a decorrere dalla data in cui il decreto o la sentenza,
pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabilicfr.Corte giust. 17 giugno 2010, CU75/09,
Agra s.r.1.-.
Del resto,
che tale indirizzo si sia ormai ben sedimentato è provato
quale tertium comparationis-cfr.Corte cost. n.244/2011, p.3.1-.
11.6 Ha pertanto errato il giudice di appello nel ritenere
irrilevante la comunicazione della notizia di reato entro il
triennio, ma sul punto è sufficiente correggere la motivazione
della decisione alla stregua dell’art.384 ult.comma c.p.c. nei
sensi sopra esposti, risultando la decisione corretta.
11.7 Ed infatti, l’azione promossa dall’Agenzia deve ritenersi
tempestiva alla stregua degli accertamenti in fatto compiuti dalla
CTR.
11.7 Nel caso di specie, infatti,
notitia criminis
la CTR ha rilevato che dalla
del 23 novembre 2001 è scaturita l’imputazione
per il reato continuato di contrabbando a carico (anche) del
legale rappresentante della Chiquita Italia e della Socoba, mentre
le importazioni oggetto dell’avviso di rettifica, per come
affermato dalla stessa ricorrente, riguardano il 1999-v.pag.6
ricorso-(al di là dell’evidente errore materiale nel quale è
incorso il giudice di appello a pag.4 della sentenza, ove è
indicato come periodo di riferimento l’anno 1998, invece
correttamente indicato alla pag.1 rigo 5 ed al rigo 7 del 4^
periodo di pag.1 della stessa sentenza-. Risulta, ancora, che
l’avviso di rettifica dell’accertamento è stato emesso in data
22.10.2004 e notificato 1’8 novembre 2004-v.pag.7 ricorso
introduttivo-.
11.8 D’altra parte, è irrilevante la circostanza, allegata dalla
ricorrente, per cui la
notitia criminis
non si riferirebbe
esclusivamente alle vicende per cui è causa, se è vero che la CTR,
con statuizione non impugnata, ha evidenziato che da quella
dall’utilizzazione che di esso ha fatto la Corte costituzionale
noetizia di reato è scaturita l’imputazione a carico dei legali
rappresentanti della Socoba e della Chiquita Italia.
11.9 Parimenti inconducente risulta la circostanza che la notizia
di reato sia stata inviata ad autorità giudiziaria poi
dichiaratasi incompetente in favore del Tribunale di Genova,
rilevando soltanto che detta notizia sia comunque intervenuta nel
triennio, dovendosi prescindere dalle vicende processuali che da
11.10 Parimenti errata la prospettiva dalla quale muove la
ricorrente, secondo la quale la sospensione del corso della
prescrizione non potrebbe operare né l’art.84 non potrebbe trovare
applicazione non risultando l’irrevocabilità del provvedimento in
sede penale, con la conseguente illegittimità degli atti adottati
dall’amministrazione doganale.
11.11 Ad onta di quanto postulato dalla società ricorrente, il
sistema interno e comunitario(art.84 TULD e art.221 Reg.CE
n.2013/192- non determina l’impossibilità di promuovere
accertamenti fiscali prima dell’irrevocabilità della decisione
all’interno del processo penale, rilevando l’art.84 cit,
interpretato alla luce della correlata disposizione comunitaria,
come rivolto ad estendere il termine di decadenza ordinariamente
fissato attraverso la sua sospensione e non certo a limitare la
possibilità dell’amministrazione doganale di promuovere gli atto
di accertamento volti a contestare la pretesa sulla base degli
atti disponibili.
11.12 Ed infatti, se è vero che l’azione dello Stato per
l’accertamento e la riscossione dei diritti doganali, ove il loro
mancato pagamento sia dovuto ad un reato, si prescrive, ai sensi
degli artt. 84 del d.P.R. n. 43 del 1973 e 29 della legge n. 428
del 1990, nel termine di tre anni, decorrente dalla data in cui il
decreto o la sentenza pronunciati nel procedimento penale siano
divenuti irrevocabili, ciò non preclude ,tuttavia, all’autorità
doganale la facoltà di notificare una richiesta di pagamento anche
prima che sia iniziata la decorrenza di tale termine e, quindi, si
tale notizia derivano.
n.
sfa concluso il procedimento penale-cfr.Cass.
7836
del
31/03/2010-.
12. Con il
quarto motivo di ricorso
la società contribuente ha
dedotto violazione degli artt.38 dPR n.43/1973 e 201 reg.Ce
n.2913/1992,
in relazione all’art.360
comma
l
n.3
c.p.c.,
evidenziando che la CTR aveva erroneamente ritenuto la sua
diretta responsabilità, tralasciando di considerare che le
per l’obbligazione doganale il dichiarante-nel caso di specie la
Socoba, unica licenziataria e titolare dei certificati di
importazione- al quale si affiancava quella dello spedizioniere
ove questi avesse agito in regime di rappresentanza indiretta.
13. Con il
sesto motivo di ricorso
la società contribuente ha
dedotto violazione e falsa applicazione degli artt.202 e 203
Reg.CE n.2913/1913, in relazione all’art.360 comma l n.3 c.p.c.,
lamentando che la CTR, per giustificare la sua responsabilità per
l’obbligazione doganale, aveva fatto riferimento alle disposizioni
sopra indicate,
inapplicabili alla fattispecie,
in quanto
riferibili alle diverse ipotesi di introduzione irregolare o di
sottrazione indebita al controllo doganale.
14. L’Agenzia delle dogane ha dedotto l’infondatezza delle censure
e la correttezza della decisione sul punto espressa dalla CTR in
relazione alle condotte di contrabbando contestate ai vertici
societari di Socoba e Chiquita Italia.
15. Tali doglianze, che in ragione della loro stretta connessione
vanno esaminate congiuntamente, sono infondate.
15.1 Ed invero, la CTR, per ritenere corretta la pretesa doganale
azionata nei confronti della Chiquita Italia ha esposto tutti gli
elementi di merito che portavano a concludere che detta società
fosse intervenuta nella sequenza causale che aveva condotto
all’importazione di partite di banane sulla base di falsi
certificati Agrim partecipando pienamente, insieme a Socoba con la
quale aveva perseguito un chiaro intento elusivo, alle relative
operazioni di importazione anche se formalmente compiute dalla
Socoba, inoltre evocando gli esiti del procedimento penale
disposizioni sopra evocate individuavano quale unico responsabile
definito con la statuizione assolutoria dei rappresentanti delle
società Socoba e Chiquita per intervenuta prescrizione.
15.2 La conclusione che la CTR ha tratto dall’esame di tali
emergenze probatorie non meritano, dunque, le censure prospettate
dalla società contribuente, se è vero che ai fini della
responsabilità per l’obbligazione doganale in caso di irregolare
introduzione della merce- scortata da certificati ritenuti falsi
quei soggetti i quali hanno:a) proceduto a tale introduzione
irregolare;b) partecipato a questa introduzione sapendo o dovendo,
secondo ragione ed in relazione alla particolare professionalità
richiesta dal soggetto coinvolto nelle importazioni, sapere che
essa era irregolare; c) acquisito o detenuto la merce considerata
e che sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere
allorquando l’hanno acquisita o ricevuta che si trattava di merce
introdotta irregolarmente-cfr.Cass.n.9773/2010-.
15.3 La giurisprudenza di questa Corte è, del resto, ferma nel
ritenere che quando una dichiarazione è resa in base a dati che
determinano la mancata riscossione totale o parziale dei dazi
dovuti per legge, le persone che hanno fornito i dati necessari
alla stesura della dichiarazione e che erano o avrebbero dovuto
essere a conoscenza della erroneità possono essere parimenti
considerati debitori conformemente alle vigenti disposizioni
doganali, e che, in linea con la regolamentazione comunitaria,
l’art. 38 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 vincola
all’obbligazione tributaria tutti coloro comunque ingeritisi
nell’operazione- Cass.n.3285/2012-.
15.4
In
questo
consolidato
indirizzo
giurisprudenziale
Cass.n.7261/2009 non ha nemmeno mancato di sottolineare che
obbligato al versamento dei dazi non è solo l’importatore
(direttamente e/o quale soggetto per conto del quale è resa la
dichiarazione) oltre al di lui rappresentante indiretto, ma anche
qualsiasi altro soggetto che partecipi alle formalità doganali
rispondendo dell’obbligazione doganale quale sottoscrittore della
dichiarazione o comunque “cooperante” al perfezionamento
dalle autorità preposte al controllo- rileva il contegno di tutti
dell’operazione, poi aggiungendo che “…l’obbligazione doganale
sorge in conseguenza del mero fatto oggettivo della dichiarazione
in dogana,
prescindendo da qualsiasi considerazione ulteriore,
anche concernente la titolarità della merce oggetto della
dichiarazione stessa.”
15.5 Da ciò non può che conseguire il rigetto delle due censure.
16. Con il
quinto motivo di ricorso
e’ stata ipotizzata, in
della sentenza impugnata in ordine a taluni fatti rilevanti e
decisivi che, se adeguatamente esaminati, avrebbero consentito
alla CTR di verificare che la Socoba era soggetto dotato di piena
autonomia rispetto alla Chiquita Italia, quali il limitato valore
delle transazioni commerciali concluse con la Chiquita(30 %), la
congruità dei prezzi praticati fra Socoba e Chiquita Italia
rispetto a quelli di mercato, l’insussistenza dell’asserita
amministrazione della Socoba per conto della Chiquita Italia da
parte dell’amministratore Cortesi, la risoluzione del rapporto fra
l’amministratore Cortesi e Chiquita Italia allorchè era emersa la
partecipazione occulta del primo nel capitale sociale della
Socoba.
17. Con il
settimo motivo
la società contribuente lamenta, in
relazione all’art.360 coma l n.5 c.p.c., l’omessa motivazione
della sentenza impugnata in ordine alla presunta mala fede di
Chiquita Italia nelle operazioni doganali. Il giudicante, secondo
la ricorrente, aveva apoditticamente affermato che Chiquita sapeva
o
doveva
sapere
che
l’importazione
era
irregolare,
in
quanto:a)Chiquita Italia non era proprietaria dei certificati dei
quali Socoba era unica cessionaria;b)l’indagine Olaf non aveva mai
riguardato dipendenti della Chiquita e la buona fede degli
amministratori Socoba e Chiquita Italia era certificata dalla
pronunzia assolutoria nel procedimento penale;c) la buona fede
della Chiquita era anche attestata dall’assenza di controlli,
protrattasi per un lungo lasso di tempo,
da parte degli uffici
doganali e della stessa Commissione europea in ordine alla
corretta applicazione dei contingenti assegnati a ciascuno Stato.
relazione all’art.360 comma l n.5 c.p.c., l’omessa motivazione
181 . L’Agenzia delle Dogane ha dedotto la piena esaustività del
compendio motivazionale della sentenza impugnata.
19 Le due censure ora sinteticamente riportate, da esaminare
congiuntamente ponendo in discussione asseriti deficit
motivazionali della decisione impugnata, sono inammissibili ed in
parte infondate.
19.1 Con le doglianze esposte, infatti, la società contribuente
operata dalla CTR e le valutazione in ordine all’intento elusivo
sotteso al modus operandi dei vari soggetti intervenuti a diverso
titolo in vicenda-Socoba, tenutaria dei falsi certificati Agrim e
Chiquita
Italia- volto a non rendere evidente la riferibilità
delle operazioni di acquisto della merce
mediante false
certificazioni da parte della Chiquita Italia.
19.2 La tesi sostenuta dalla società ricorrente, secondo la quale
le risultanze probatorie non avrebbero consentito di pervenire
alle conclusioni esposte dalla CTR, in realtà introduce un
inammissibile sindacato in fatto sulle questioni affrontate e
risolte dai giudici di seconde cure, tralasciando totalmente di
considerare la ricostruzione in punto di fatto esposta dal
giudicante, idonea a dimostrare che le operazioni di importazione
solo apparentemente erano state compiute dalla Socoba, risultando
unico acquirente della merce già prima dello sdoganamento la
società Chiquita.
19.3 Ora, sulla base di un’analitica disamina del materia
probatorio già vagliato dal giudice di primo grado ed
espressamente riportato nella sentenza qui impugnata, la CTR ha
esplicitamente condiviso le conclusioni alle quali era pervenuta
CTP circa la riferibilità in via esclusiva di tutte le operazioni
di sdoganamento alla Chiquita, la quale: a) aveva pagato allo
spedizioniere non solo il corrispettivo che per le operazioni di
sdoganamento, ma anche il rimborso delle spese sostenute prima
dello sdoganamento necessarie al dichiarante per effettuare la
procedura di importazione; b)sempre la Chiquita aveva sopportato i
costi per i diritti di rilascio e del nulla osta sanitario, per
intende, per un verso, criticare nel merito la ricostruzione
il prelievo e consegna dei campioni al laboratorio di analisi, per
la trasferta del funzionario della sanità marittima di Venezia,
nonché gli oneri connessi alle analisi di laboratorio, con ciò
dimostrandosi la diretta responsabilità nelle operazioni di
sdoganamento di tale società che pure aveva dato istruzioni allo
spedizioniere, sia in merito ai certificati Agrim che lo stesso
aveva ricevuto da Terminal Frutta Genova, che in ordine alla
CTR ha richiamato talune dichiarazioni rese dallo spedizioniere
della Errek, dalle stesse traendo ulteriore convincimento circa
la fittizietà delle operazioni di sdoganamento da parte di Socoba,
l’esclusiva riferibilità delle merce fin da epoca antecedente allo
sdoganamento e l’esistenza di un ramificato intreccio fra gli
organi statutari delle due società anzidette-…Del
resto, i soci e
gli organismi delle due società erano costituiti dalle stesse
persone e da loro parenti, come risulta dal fatto che i parenti
del direttore di Chíquita Italia spa(Franco Cortesi) detenevano il
60 delle quote di Socoba s.r.1., mentre 11 restante 40
96 era
nelle mani dei sindaci e consiglieri di Chiquita Italia spa, di
loro figli e di Antonletti Filippo, rappresentante dei piccoli
azionisti di Chi quita Italia spa-
che vieppiù conclamava
l’intento elusivo perseguito in modo congiunto dalle due strutture
societarie, tale da dimostrare un vero e proprio abuso del diritto
per come pure aveva ritenuto in vicenda simile altro organo della
giurisdizione tributaria.
19.4 Orbene, la CTR
ha dato quindi conto in maniera adeguata
delle modalità con le quali detto meccanismo è stato perpetrato
dalle società, risultando finalizzato ad acquisire indebite quote
di mercato mediante l’uso di certificazioni false. Attraverso
un’attenta e puntuale disamina delle risultanze di causa il
giudice di appello ha concluso per la fittizietà delle operazioni
intercorse fra le due società, tanto da
ritenere che la
costituzione di Socoba da parte della Chiquita Italia,
sulla
scorta delle risultanze della sentenza emessa dal Tribunale di
Genova
in data 16 settembre 2010 di non doversi procedere in
destinazione finale delle merce dopo lo sdoganamento. In più, la
relazione all’intervenuta prescrizione del reato di contrabbando,
fosse motivata dall’esigenza della seconda di tutelarsi per l’uso
di certificati falsi che potevano essere oggetto di contestazioni
attraverso la formale importazione eseguita da Socoba, risultata
sostanzialmente una scatola vuota, priva di consistenza
patrimoniale ed organizzativa.
19.5 Le circostanze che la società contribuente ha prospettato
non aggiungono, per vero, alcunchè rispetto alla compiuta
disamina esposta dalla CTR né mettono in evidenza lacune che sole
possono giustificare il controllo di legittimità, non apparendo in
alcun modo in grado di anche solo scalfire la compiuta ed
articolata decisione di secondo grado.
19.6 Le censure esposte dalla società contribuente, invero, non
sembrano cogliere il reale significato che il giudice di appello
ha dato alla riferibilità delle due società ad un unico gruppo che
la CTR ha indicato per giustificare ulteriormente il carattere
fittizio delle triangolazioni operate tra le due società all’atto
della cessione della merce allo stato estero dalla Chiquita alla
Socoba, tenutaria dei titoli falsi e della successiva rivendita,
dopo lo sdoganamento alla Chiquita.
19.7 In conclusione, risultando la motivazione corretta immune da
vizi logici o giuridici, le censure esposte vanno disattese.
20. Con l’ottavo motivo
la società contribuente ha lamentato la
violazione e falsa applicazione dell’art.13 Reg.CE 1442/93 e
dell’art.21 Reg.CE n.2362/98, in relazione all’art.360 comma l n.3
c.p.c.,
essendo la CTR partita dal convincimento che il
trasferimento dei certificati Agrim fra Socoba e Chiquita Italia
fosse vietato, ancorchè le disposizioni suindicate lo rendessero
pienamente legittimo fra operatori tradizionali, considerato quali
operatori di categoria A e B, vietando invece detto trasferimento
dei titoli dai nuovi operatori – classificati nella categoria C- a
quelli delle categorie A e B. Ciò che escludeva il carattere
elusivo dell’operazione ritenuta dalla CTR.
come decisive per giustificare l’insufficienza della motivazione
*
21.
L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza della
censura, in ragione della fittizietà dei rapporti intercorsi fra
Socoba e Chiquita all’atto della vendita delle banane prima
dell’importazione ed alla successiva rivendita dopo lo
sdoganamento.
22. Tale censura è inammissibile.
22.1 Come si è già visto esaminando il quinto ed il settimo
ritenere fittizia l’operazione architettata dalla Socoba e dalla
Chiquita Italia per importare banane con pagamento di dazi
agevolati sulla base di certificazioni Agrim false non è stata
quella di ritenere che si fosse realizzato un illecito
trasferimento di licenze fra operatori delle diverse categorie
indicate nell’art.13 Reg.CE n.1442/93, piuttosto traendo origine
dalla condotta posta in essere dalle due società per realizzare
indebiti benefici daziari attraverso l’uso di certificati falsi.
22.2 La doglianza è quindi inammissibile, ipotizzando una
ratio
decidendi diversa da quella esposta nella sentenza impugnata.
23.
Con il
nono motivo
la società contribuente ha dedotto
violazione degli artt.2384 c.c. e 5 d.lgs.n.231/2001, in relazione
all’art.360 comma l n.3 c.p.c.
2.31 Lamenta la società ricorrente che la CTR, affermando la
riferibilità alla stessa degli atti compiuti dall’amministratore
Cortesi, aveva attribuito in via oggettiva tale responsabilità ad
essa società, senza cogliere la diversità delle posizioni, pure
evidenziata nel procedimento penale dal Tribunale di Genova,
essendo il Cortesi portatore di un interesse personale(correlato
alla partecipazione dei familiari nel possesso di quote della
Socoba ) che impediva di individuare una responsabilità dell’ente
alla stregua dell’art.5 ult.cit.
24.
L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza della
censura, dovendo la società Chiquita Italia, reale ed unica
proprietaria delle merce importata, rispondere degli atti compiuti
dal suo amministratore.
25. La censura è infondata.
motivo del ricorso, le ragioni che hanno indotto il giudicante a
- 25.1 Ad onta di quanto prospettato dalla società contribuente, la
responsabilità che la CTR ha fatto derivare dal fatto che Cortesi
Franco era amministratore della società è pienamente conforme
all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, alla cui
stregua né il dolo, né l’abuso di potere dell’amministratore
riescono ad interrompere il rapporto di immedesimazione che lega
il primo alla società, risultando essenziale unicamente che
dell’attività propria dell’ente-cfr. Cass. 3 dicembre 1984, n.
6300 e, da ultimo, Cass.n.25496/2011;cfr. anche, con specifico
riferimento a questione tributaria Cass.20113/2012-.
25.2 Orbene,
la circostanza che il Cortesi controllasse,
indirettamente, le quote della Socoba non deponeva affatto per
ritenere sussistente un conflitto d’interessi fra lo stesso e la
Chiquita Italia, anzi denotando ulteriormente l’esistenza di
un’intesa illecita che coinvolgeva a pieno titolo le due società,
accomunate, secondo gli accertamenti compiuti dalla CTR nel fine
illecito di frodare le dogane attraverso l’uso di certificazioni
false in modo attraverso una società paravento(Socoba)
nell’esclusivo interesse della Chiquita.
25.3 Circostanze, queste ultime,
che la CTR ha desunto dal
giudizio penale nel quale furono coinvolti i vertici societari di
Socoba e Chiquita, ove si diede atto dell’intento della Chiquita
Italia spa di creare, attraverso la Socoba, una scatola vuota,
priva di consistenza patrimoniale ed organizzativa per effettuare
gli acquisti estero su estero con l’intento elusivo dei diritti
di confine.
26. Con il
decimo motivo
la società contribuente ha dedotto
violazione dell’art.288 TFUE, in relazione all’art.360 comma l n.3
c.p.c., rilevando che il giudice di appello, tenuto conto della
decisione resa 1’8 aprile 2010 dalla Commissione europea in
fattispecie analoga a quella che vedeva coinvolta essa società,
avrebbe dovuto riconoscere lo sgravio ai sensi dell’art.239 CDC,
tanto per le operazioni compiute nel 1998 che per quelle,
successive, realizzate negli anni 1999 e 2000 oggetto della
l’attività dell’agente si configuri come esplicazione
s
presente controversia che presentavano elementi di fatto e diritto
identici, non potendo in ogni caso valere per essa società la
preclusione allo sgravio evocata dalla Commissione per le
–
diverse- società cessionarie dei titoli ai quali la decisione
aveva fatto riferimento.
27. Con
l’undicesimo motivo
la società contribuente ha dedotto
violazione degli artt.220 e 239 Reg.CE n.2913/1992 e 871 Reg.CE
8.4.2010, in relazione all’art.360 comma l n.3 c.p.c. Lamenta che
la CTR senza considerare l’assenza di mala fede in capo ad essa
società ed invece valutando il contegno di soggetti diversi, aveva
erroneamente escluso il diritto allo sgravio previsto dalle
disposizioni del codice doganale comunitario. In subordine la
società ha chiesto di formulare richiesta di rinvio pregiudiziale
alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art.267 TFUE in ordine
all’esistenza di
un obbligo a carico del giudice nazionale di
applicare lo sgravio ai casi comparabili in fatto e in diritto a
quello definito dalla Decisione della Commissione reso il 8 aprile
2010.
28.
L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza delle
censure, risultando l’esistenza di una manovra fraudolenta che
impediva la sovrapponibilità
della vicenda, peraltro insorta
nell’anno 1999, a quella decisa dalla Commissione, concernente
importazioni dell’anno 1998.
29.
Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono
inammissibili e comunque infondate.
29.1 Ancorchè la parte ricorrente abbia ipotizzato, nella rubrica
dell’undicesimo motivo, la violazione dell’art.288 TFUE, -nella
rubrica del motivo 11, norma che disciplina gli atti giuridici
dell’Unione, all’evidenza inconferente rispetto all’odierno
procedimento- è chiaro che il quadro normativo di riferimento in
cui si colloca la richiesta di “estensione” degli effetti della
decisione resa dalla Commissione europea 1’8 aprile 2010 e
richiamata nelle due censure si rinviene all’interno del
Regolamento di attuazione del codice doganale comunitario e,
n.2454/1993, nonché della Decisione della Commissione europea
a
segnatamente, nelle disposizioni di cui agli artt.905 e 908. Ciò
si evince direttamente dall’esposizione della censura operata
dalla stessa società che, a pag.45 del ricorso, fa testualmente
riferimento alla decisione della Commissione europea resa 1’8
aprile 2010 ove era stata riconosciuta alle società importatrici
di banane l’esistenza <
cit.) “Quando l’autorità doganale di decisione, alla quale è
stata presentata la domanda di rimborso o di sgravio in virtù
dell’articolo 239, paragrafo 2 del codice, non sia in grado di
decidere, sulla base dell’articolo 899, e la domanda sia corredata
di giustificazioni tali da costituire una
situazione particolare
risultante da circostanze che non implicano alcuna manovra
fraudolenta o negligenza manifesta da parte dell’interessato, lo
Stato membro da cui dipende tale autorità trasmette il caso alla
Commissione affinché sia evaso conformemente alla procedura di cui
agli articoli da 906 a 909.”
29.3 Quanto all’art.908 3^ par.Reg.CE n.2454/1993, lo stesso
prevede che “… Quando la decisione di cui all’articolo 907
stabilisca che la situazione particolare esaminata giustifica la
concessione del rimborso o dello sgravio, la Commissione può, alle
condizioni da esse determinate, abilitare uno o più Stati membri a
rimborsare o ad abbuonare i dazi quando si sia in presenza di
elementi di fatto o di diritto comparabili.”
29.4 Così inquadrata la censura in esame la stessa deve ritenersi
inammissibile, in quanto rivolta ad ottenere una statuizioni
giudiziaria sul reclamato sgravio al di fuori dell’ambito della
giurisdizione riservata al giudice tributario.
29.5 Diversamente dalla prospettiva prescelta dalla società
contribuente in grado di appello, ove la Chiquita Italia aveva
richiamato la decisione della Commissione a sostegno dell’assenza
dei presupposti per procedere alla contabilizzazione a posteriori
, le censure sopra ricordate intendono, per converso, affermare
l’esistenza del diritto allo sgravio da parte della società
29.2 Orbene secondo la prima disposizione sopra ricordata(art.905
contribuente.
29.6 Ma tale prospettiva cozza, per un verso, con evidenti
impedimenti in rito, risultando dette censure prive di specifica
attinenza al deciso della sentenza (Cass.:U3″, 29 febbraio 2008 n.
5507Cass., 3 agosto 2007 n. 17125).
29.7 Ma anche a voler superiore i superiori rilievi resta
il
fatto, parimenti tranciante, che in riferimento all’invocata
all’esame della Corte si e’ in presenza di difetto assoluto di
giurisdizione perche’ nel caso non si e’ prospettata una delle
situazioni fattuali di cui alle ipotesi previste dagli artt. 900 903 del Regolamento CEE 2454/93 cit. attributive all’importatore
di un vero e proprio diritto soggettivo, tutelabile innanzi
all’autorita’ giudiziaria ma, piuttosto, la buona fede invocata in
riferimento ad una delle ipotesi di
situazione particolare
risultante da circostanze che non implicano alcuna manovra
fraudolenta o negligenza manifesta dell’interessato -Cass.S.U. 4
novembre 2004 n. 15381, Cass. s.u.n.18360 2009-.
29.8 Né a diversa prospettiva potrebbe pervenirsi valorizzando il
richiamo, pure operato dalla società contribuente, alla necessità
che gli Stati adottino decisioni conformi a quelle rese nella
decisione appena ricordata in caso analoghi in relazione alla
particolare statuizione contenuta al punto 49 della medesima
decisione, in tal modo prospettando l’esistenza di un “diritto”
allo sgravio sul quale residuerebbero degli ambiti di tutela
giurisdizionale innanzi al giudice nazionale, avendo sul punto
correttamente statuito il giudice di appello in ordine
all’inesistenza dei presupposti per “estendere” la portata della
decisione alla Chiquita Italia in relazione al quanto precisato al
punto 49 della decisione.
29.9 Ma proprio nella decisione richiamata dalla società
contribuente -e prodotta in copia tradotta in lingua italiana,
si legge, nel testo originale della decisione reperibile sul sito
Eurlex, che “Cases comparable in fact and law to this one are
repayment or remission requests lodged within the legal time
applicazione dell’art. 239 cit. nell’ambito delle censure qui
limits in respect of imports of bananas originating in non-ACP
third countries carried out
before 1 January 1999
for which the
licences presented were supposed to have been issued by the
Spanish authorities.
The request must not have been submitted by
either of the two Italian firme entered as transferee on the
licences presented in this case. There must have been no deception
or obvious negligence on the part of the persons liable for
29.10 Ora, proprio l’esame del contenuto di
detta decisione
rende evidente che la stessa venne resa su richiesta dello Stato
del Belgio e per importazioni compiute prima dell’i gennaio
1999.Data,
quest’ultima,
indicata
non
casualmente
dalla
Commissione se si considera che, in relazione al sistema di
approvvigionamento di banane con dazi agevolati il Reg. (CE) n.
2362/98 recante modalità d’applicazione del regolamento (CEE) n.
404/93 del Consiglio, con riguardo al regime d’importazione delle
banane nella Comunità introdusse modalità assolutamente nuove per
le importazioni a partire dall’anno 1999 dando atto, nel
considerando n.1 che
il Consiglio aveva modificato, con il
regolamento (CE) n. 1637/98, il regime d’importazione delle banane
istituito dal titolo IV del regolamento
(CEE)
n.
404/93,
sopprimendo le categorie di operatori definite all’articolo 19
nella sua versione originaria ed introducendo una disciplina
specifica in ordine al quantitativo di riferimento sul quale
ciascun operatore poteva fondare l’acquisizione per il periodo
successivo di banane -cfr.art.5 Reg. cit.- ed alle modalità di
cessione dei titoli di importazione-artt.21 e 22 reg. cit.-.
29.11 Ma quel che più rileva per escludere la correttezza della
prospettiva invocata dalla Chiquita è,
in ogni caso,
la
circostanza che la decisione della Commissione si riferiva
specificamente ad ipotesi in cui non fosse riscontrabile un
intento fraudolento o una negligenza evidente
da parte dei
soggetti che avevano venduto la licenza falsa. Ciò che si
comprende proprio collegando tale statuizione all’art.905 cit.
29.12 Ma sul punto, pienamente corretta è risultata la decisione
payment”.
resa dalla CTR
che, proprio sulla base degli accertamenti
compiuti dal giudice di appello in ordine alla piena intesa
illecita intercorsa fra Socoba e Chiquita, peraltro scrutinata dal
giudice penale che ha assolto il Cortesi per intervenuta amnistia
rispetto al reato di contrabbando senza escludere, tuttavia,
l’elemento soggettivo del reato, ha palesato l’impossibilità per
l’autorità statale di riconoscere lo sgravio ancorchè il divieto
stato
esplicitato,
all’interno
della
decisione
specificamente posto dalla decisione a carico della Socoba.
29.13 Tanto è sufficiente per escludere la fondatezza delle
censure esposte dalla Chiquita Italia, non ricorrendo nemmeno i
presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale della questione
alla Corte di Giustizia, risultando il quadro dei principi
risultanti dalla legislazione comunitaria estremamente chiaro.
30. Con il dodicesimo motivo
la società contribuente ha dedotto
violazione dell’art.220 secondo par.lett.b) Reg.CE n.2913/1992, in
relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., per avere il giudice di
appello erroneamente escluso l’applicazione dell’esimente in tema
di contabilizzazione a posteriori dei dazi sul presupposto che
essa società si era costantemente avvalsa di certificati Agrim
falsi, omettendo di considerare l’atteggiamento delle autorità
spagnole che aveva integrato un “errore” i sensi della cennata
disposizione.
31.
L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza della
censura.
32. La doglianza è infondata.
32.1 Ed infatti, premesso che la falsità dei
certificati AGRIM
non risulta posta in discussione e che è incontestato, alla
stregua di quanto appena evidenziato, che la Chiquita Italia, per
mezzo dei suoi agenti, ha consapevolmente utilizzato, per il
tramite della Socoba, le certificazioni anzidette per come
acclarato dalla CTR al fine di diventare destinataria finale delle
operazioni di importazione, occorre precisare, in ordine alla
violazione e falsa applicazione dell’art. 220 Reg.CE n.2913/1992,
che “in tema di imposizione fiscale delle importazioni,
fosse
•
l’esenzione prevista dall’art. 220, secondo comma, lett. b), del
Reg. CEE n. 2913/1992, che preclude la contabilizzazione a
posteriori dell’obbligazione doganale in presenza di un errore
dell’autorità doganale e della buona fede dell’operatore, intende
tutelare il legittimo affidamento del debitore circa la fondatezza
degli elementi che intervengono nella decisione di recuperare o
meno i dazi
parte del giudice sulla ricorrenza della buona fede che deve
essere
dimostrata
dell’agevolazione,
dal
soggetto
attraverso
la
che
prova
intende
della
avvalersi
sussistenza
cumulativa di tutti i presupposti indicati dalla norma, perchè
resti impedito il recupero daziario, ed in particolare: a) un
errore imputabile alle autorità competenti; b) un errore di natura
tale da non poter essere riconosciuto dal debitore in buona fede,
nonostante la sua esperienza e diligenza, ed in ogni caso
determinato da un comportamento attivo delle autorità medesime,
non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte
dell’operatore; c) l’osservanza da parte del debitore di tutte le
disposizioni previste per la sua dichiarazione in dogana dalla
normativa vigente. (Sez. 5, Sentenza n. 15297 del 10/06/2008).
32.4 Orbene, l’errore dell’autorità non può consistere nella mera
ricezione di dichiarazioni inesatte dell’esportatore, dato che
l’Amministrazione non deve verificarne o valutarne la veridicità,
ma richiede un comportamento
attivo,
perché il legittimo
affidamento del debitore è protetto solo se le autorità competenti
hanno determinato i presupposti su cui si basa la sua fiducia,
mentre la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze
pregiudizievoli di comportamenti scorretti dei fornitori degli
importatori
(Cass.
2012/4022).
Inoltre
l’esenzione prevista
dall’art. 220, secondo comma, lett. b), del Codice doganale
comunitario, che preclude la contabilizzazione a posteriori
dell’obbligazione doganale in presenza di un errore dell’autorità
doganale e della buona fede dell’operatore, presuppone la
genuinità del certificato di origine, cioè la sua regolarità
32.3 Per essere applicata, essa richiede un compiuto esame da
•
•
formale e sostanziale, restando irrilevante che il dichiarante
abbia agito in buona fede ed in modo diligente, ignorando
un’irregolarità che ha comportato la mancata riscossione dei dazi
che egli, altrimenti, avrebbe dovuto pagare. (cfr. Cass.1583/12).
32.5 Di conseguenza spetta all’importatore che intende usufruire
dell’esenzione dimostrare l’origine della merce che importa e, in
ogni caso, il suo stato soggettivo di buona fede, mediante la
prova della sussistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati
dalla citata norma, mentre all’Autorità doganale incombe
esclusivamente l’onere di dare dimostrazione delle irregolarità
delle certificazioni presentate, atteso che qualsiasi certificato
che risulti inesatto autorizza il recupero a posteriori, senza
necessità di alcun procedimento intermedio che convalidi la non
autenticità, provvedendo gli stessi organi dell’esecutivo
comunitario a fornire tramite le disposte commissioni di inchiesta
le conclusioni cui debbono attenersi le Autorità nazionali (Cass.
2009/13680).
32.6 Ora, dagli elementi offerti dalla società contribuente non è
stato in alcun modo evidenziato alcun errore attivo da parte delle
autorità doganali, ragion per cui la decisione impugnata che ha
rigettato la doglianza relative all’art.220 cit., integrate nella
motivazione alla stregua dei principi sopra esposti, va disattesa.
33. Con il tredicesimo motivo
la società contribuente ha dedotto
violazione dell’art.112 c.p.c., in relazione all’art.360 comma 1
n.4 c.p.c. la CTR non avrebbe emesso alcuna statuizione in ordine
alla pretesa fiscale che essa società aveva prospettato in
relazione alla richiesta, formulata dall’Agenzia delle Dogane, di
risarcimento del danno in sede civile, parametrate sull’importo
dei dazi non riscossi contestati nel giudizio innanzi al giudice
tributario, dovendo applicarsi
il disposto di cui all’art.75
c.p.p.
34. La censura è inammissibile
per difetto di specificità, non
avendo la società ricorrente dimostrato, che la dedotta omessa
pronunzia rispetto alla questione esposta nel motivo era stata
ritualmente esposta nel ricorso introduttivo del processo
_
tributario di primo grado, nemmeno risultando dalla sentenza qui
appellata.
35. Il ricorso va per l’effetto rigettato.
36. Le spese seguono la soccombenza
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese
processuali che liquida in euro 7500,00 per compensi, oltre spese
prenotate a debito.
Così deciso il 29 gennaio 2013 nella camera di consiglio della V
sezione civile in Roma.
_
SENTE DA REGISTItAZIONT
AI SENSI DEL D.?.R. 2(W*019.96
N. 131 TAD. ALL. – N. 5
MATERIA TRIBUTARIA