Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20764 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. III, 30/09/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 30/09/2020), n.20764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27909/2019 proposto da:

K.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MICHELE CAROTTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2216/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/03/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. K.M., cittadino proveniente dal Senegal, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza dedusse di essere fuggito dal Senegal per sottrarsi al rischio di minacce da parte dei parenti del padre che si opponevano “alla volontà della madre del ricorrente di riconvertirsi al cristianesimo in seguito alla morte del marito. K.M. riferiva che lo zio paterno aveva minacciato e picchiato sua madre in diverse occasioni fino al giorno in cui scoppiata una vera e propria rissa causata dai tentativi di proteggere la madre. In una di queste occasioni M. veniva picchiato e minacciato di morte dai figli dello zio e “decideva di fuggire dal paese per scampare ai familiari”.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza. Avverso tale provvedimento propose opposizione ex art. 702 bis c.p.c., dinanzi al Tribunale di Venezia, che con ordinanza del 16 gennaio 2018 rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) il richiedente asilo non credibile;

b) infondata la domanda di protezione internazionale perchè il richiedente asilo non aveva dedotto a sostegno di essa alcun fatto di persecuzione;

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria perchè nella regione di provenienza del richiedente asilo non era in atto un conflitto armato;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria poichè l’istante non aveva nè allegato, nè provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute veritiere), di per sè dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

3.1. La Corte d’Appello di Venezia con sentenza n. 2216, del 30 maggio 2019, ha confermato la statuizione di primo grado.

4. Avverso tale pronuncia K.M. ricorre per cassazione con 2 motivi. Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente e inesistente e novità del procedimento-violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame di un fatto decisivo, il tutto in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5, comma 6 e D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis: omesso esame della condizione di vulnerabilità – omesso esame di un fatto decisivo e violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., lett. c e e, della norma di cui alla L. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6, in riferimento all’art. 2 Cost. – insufficienza e per ogni applicazione dei criteri interpretativi adottati in riferimento a quegli elaborati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 4455/2018). Lamenta che il giudice del merito ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria non avrebbe adeguatamente considerato l’elevato livello di integrazione socio culturale raggiunto dal signor K. in Italia che si trova in Italia da più di quattro anni. Inoltre non avrebbe neanche considerato che il paese di origine del ricorrente non offrirebbe alcuna prospettiva di un lavoro o una prospettiva di realizzazione personale, senza una situazione familiare e sociale nel paese di origine in grado di assicurare un altrettanto adeguata realizzazione umana e sociale del richiedente.

Il motivo è inammissibile.

Per quanto riguarda la protezione umanitaria, la Corte d’appello ha motivato la sua decisione affermando che il ricorrente non ha prospettato delle particolari ragioni di vulnerabilità, idonee a giustificare la concessione della protezione umanitaria.

In secondo luogo il motivo sarebbe altresì inammissibile perchè puramente assertivo.

Il ricorrente infatti, lamenta “in astratto” che gli sia stata ingiustamente negata la protezione umanitaria, senza minimamente indicare per quale ragione dovesse essergli concessa; in quale atto ed in quali termini introdusse tali ragioni nel giudizio; sulla base di quali elementi le sue ragioni dovevano ritenersi vere e veridiche.

Inoltre una considerazione che riguarda il precedente di questa corte richiamato dal ricorrente (Cass. 4455/18), e l’invocata necessità di “bilanciamento” tra la condizione socioeconomica conseguita in Italia dallo straniero qui irregolarmente soggiornante, e quella che la medesima persona troverebbe nel proprio Paese, se espulsa. Si prescinda pure dalla genericità in facto dell’allegazione del ricorrente (il richiedente è in Italia da più di quattro anni): quel che rileva è che la suddetta allegazione è manifestamente erronea in iure, nella parte in cui vorrebbe sostenere che l’esistenza, nel Paese di origine, di condizioni di benessere non comparabili a quelle italiane, giustifichi di per sè, sempre e comunque, il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Questa Corte per contro, e proprio nella decisione invocata dal ricorrente, ha affermato l’esatto contrario, e cioè che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura “personalizzata” e concreta, e non può mai essere accordato sulla base delle condizioni generali del Paese d’origine del richiedente, in termini del tutto generali ed astratti, ed in violazione della ratio e della lettera della legge (Sez. 1 -, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01).

5.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. – nullità della sentenza per motivazione apparente inesistente nullità del procedimento.

Lamenta “che l’ordinanza impugnata sia piena di affermazioni apodittiche che fanno sorgere il dubbio circa la effettiva valutazione della vicenda personale del ricorrente odierno”.

Il motivo è inammissibile in quanto estraneo alla ratio decidendi della sentenza. Il ricorrente non coglie la ratio della sentenza impugnata, ovvero il fatto che non sia stato allegato qualsiasi elemento idoneo a definire la presumibile durata di una esposizione a rischio (pag. 5 sentenza impugnata). Inoltre per come è strutturato è un non motivo.

6. Non è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, attesa la indefensio della parte pubblica.

6.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), a condizione che esso sia dovuto: condizione che non spetta a questa Corte stabilire. La suddetta norma, infatti, impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

 

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