Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20764 del 20/07/2021

Cassazione civile sez. I, 20/07/2021, (ud. 14/07/2021, dep. 20/07/2021), n.20764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15041/2019 r.g. proposto da:

L.G.P.G., rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato Luigi Leone, con

il quale elettivamente domicilia in Roma, alla via Properzio n. 27,

presso lo studio dell’Avvocato Valentina Angeli.

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A., in persona del curatore Avv.

A.L.E., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al

controricorso, dall’Avvocato Antonino Artale, presso il cui studio

elettivamente domicilia in Patti (ME), alla via Fontanella n. 22.

– controricorrente –

e

LU.FE.; D.M., e D.P., quali eredi di

D.A.; D.C.L.; S.G.;

SA.SE.; LE.SA.; P.S.; G.A.;

PA.PA.; M.S..

– intimati –

avverso la sentenza, n. cronol. 228/2019, della CORTE DI APPELLO DI

MESSINA depositata il 26/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/07/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto ritualmente notificato il 6/7 giugno 2000, il Fallimento (OMISSIS) s.p.a. citò in giudizio, innanzi al Tribunale di Patti, L.G.P.G. e Lu.Fe. invocandone la condanna al risarcimento dei danni causati alla società fallita dalle condotte illecite agli stessi ascritte, in concorso con altri, nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta iscritto al n. 1502/96 r.g.n. r. presso la Procura della Repubblica di Patti e definito, nei loro confronti, con sentenza di applicazione della pena, ex art. 444 c.p.p., n. 105/97.

1.1. Nel costituirsi, il L. chiese ed ottenne di chiamare in causa Lu.Fe. (già citato dalla parte attrice), Dr.An., D.C.L. e S.G., quali altri amministratori e/o comunque dirigenti di fatto della menzionata società in bonis nel periodo in contestazione, onde essere manlevato, in caso di condanna, in relazione alle domande contro di lui proposte dalla curatela.

1.2. Il D. ed il D.C. si costituirono confutando gli assunti e le pretese dell’attrice e, in ogni caso, quanto sostenuto dal L. nell’atto di loro chiamata in causa.

1.3. Intervennero volontariamente, poi, anche Sa.Se., Le.Sa., P.S., G.A., Ma.Pa. e M.S., lavoratori dipendenti della fallita, chiedendo, a loro volta, il risarcimento dei danni asseritamente subiti da ciascuno di essi in conseguenza delle condotte delittuose per le quali il L. ed il Lu. avevano patteggiato la pena.

1.4. Il processo, interrotto per la morte del D., fu riassunto dalla curatela anche nei confronti degli eredi di quest’ultimo, D.P. e M. e, dopo l’avvenuta costituzione pure dello S., l’adito tribunale, in composizione monocratica, pronunciò la sentenza parziale n. 385/2012, con la quale rigettò tutte le diverse eccezioni preliminari articolate dai convenuti, dichiarò l’estinzione del rapporto processuale tra il L. e lo S. e rimise la causa sul ruolo per il prosieguo dell’istruttoria.

1.5. Successivamente con la sentenza n. 375/2013, il medesimo tribunale: i) accolse parzialmente le domande del Fallimento e condannò il L. ed il Lu., previa declaratoria di loro responsabilità, al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 266.339,34, oltre interessi e rivalutazione monetaria; ii) rigettò la domanda degli intervenuti; iii) dichiarò Lu.Fe., D.C.L. e D.M. e P. (questi ultimi quali eredi di D.A.), tenuti a manlevare il L. di quanto da lui corrisposto al Fallimento per capitale, interessi e spese, condannandoli al relativo pagamento; iv) regolò le spese di lite e quelle della espletata c.t.u..

2. La Corte di appello di Messina, con sentenza del 26 marzo 2019, n. 228, ha respinto i gravami autonomamente promossi dal L. e dal Lu. contro entrambe quelle decisioni.

2.1. In estrema sintesi, e per quanto qui di residuo interesse, quella corte: i) ha disatteso, richiamando pure alcune pronunce di legittimità, la doglianza con cui il L. aveva contestato la possibilità di attribuire valenza probatoria assimilabile all’ammissione di responsabilità alla sentenza di patteggiamento da lui ottenuta, così ingiustamente ed illegittimamente respingendo le sue richieste istruttorie e violando il suo diritto di difesa. In particolare, ha opinato, “…in adesione anche alla decisione recentissima della Corte di cassazione n. 20170/2018, che la sentenza di patteggiamento va valutata alla stregua di un normale indizio che diviene prova se grave, concordante e preciso ed in linea con le altre prove acquisite nell’ambito del procedimento civile. Nel caso di specie, la sentenza di patteggiamento, attraverso la non contestata individuazione del fatto storico e l’implicito riconoscimento del fatto-reato, unitamente alle risultanze della consulenza collegiale in atti, hanno consegnato un quadro probatorio rilevante ed analiticamente evidenziato dal primo giudice nella sentenza definitiva, alle cui motivazioni, esaustive e condivise, si rimanda. Ne’ assume valenza il lamentato, ingiusto rigetto delle istanze istruttorie, avanzate dalle parti, ove si consideri che dette richieste non sono state reiterate in maniera analitica, in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, se non con un richiamo generico e, soprattutto, non è stata chiesta la revoca della ordinanza di rigetto”; ii) ha respinto i motivi di gravame con cui il L. aveva inteso contestare la sua responsabilità come accertata in primo grado. In proposito, ha ritenuto, innanzitutto, che “parte appellante ripropone rilievi già respinti dal primo giudice con motivazione esaustiva e con l’indicazione di riferimenti sui quali è stata fondata la valutazione, pienamente condivisi dal collegio, al quale non ha offerto nuovi spunti di riflessione. Non vi sono ragioni per discostarsi da tale decisione, né i rilievi opposti dagli appellanti servono a scalfire la motivazione corretta, che qui si intende riportata”. Ha rilevato, poi, che “il giudice di primo grado, nella sentenza impugnata, non va ultra petita attraverso l’individuazione della macroscopica “culpa in vigilando”, ma semplicemente specifica la natura e le modalità del concorso contestato ai due odierni appellanti nel procedimento penale chiarendo che proprio la condotta omissiva di controllo ha consentito il libero agire di S. ai danni della società. L. è stato consigliere del c.d.a. dal 2.8.1985 al 12.3.1986 e Lu. dal 2.8.1985 all’11.3.1987, con ampie deleghe dal consiglio di amministrazione e con funzioni dirigenziali e ruoli tecnici nell’azienda. Ulteriore dato non contestato è che entrambi conoscevano l’operato di S., quantomeno dopo la riunione del c.d.a. del 5.2.1986. La loro condotta omissiva, così come evidenziato dal primo giudice, ha consentito a S. di portare avanti un programma aziendale dannoso per la società, in alcuni casi del tutto incompatibile con la grave situazione d’indebitamento della società col sistema bancario nel periodo 1985-1986, per come evidenziato dagli stessi consulenti tecnici nella loro relazione. E’ del tutto evidente, quindi, che la responsabilità degli appellanti nell’ambito civile vada riconnessa alla violazione del dovere di vigilanza sulla gestione sociale previsto dall’art. 2392 c.c., comma 2. Ne’ è dato riscontrare alcun travisamento dei fatti e delle prove (…) ove si ponga attenzione al fatto che il primo giudice ha correttamente evidenziato che la mala gestio di S. e la complicità omissiva di L. e Lu. risultano provate attraverso la cosiddetta operazione (OMISSIS) (acquisto dei torni), non solo non prevista nel piano di investimento aziendale ma anche del tutto priva di utile, considerato che i due torni non sono mai pervenuti presso lo stabilimento della (OMISSIS). Tali dati sono estremamente eloquenti. Ne’ può avere forza dirimente della responsabilità di L. il semplice avvio di una ispezione sindacale, in quanto si è trattato di un fatto formale, tanto che gli esiti della ispezione non hanno comportato alcuna forte reazione di dissenso da parte di chi, come L. e Lu., erano tenuti al controllo. Le argomentazioni evidenziate consentono di ritenere assorbiti sia l’ottavo motivo, con il quale il L. lamenta la mancata valutazione di ulteriori circostanze di fatto che ben avrebbero dovuto suggerire una diversa determinazione del giudice di prime cure, sia il nono, con il quale viene ribadita l’estraneità dei fatti contestati”; iii) ha escluso, infine, la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato denunciata dal L. sull’assunto che il giudice di prime cure aveva disatteso la domanda di garanzia propria da lui formulata in luogo della diversa manleva disposta e statuita in sentenza. Ha osservato, sul punto, che, “con la sentenza definitiva impugnata, (…), il tribunale ha condannato il convenuto Lu. ed i terzi chiamati in causa a manlevare L. di quanto da questi pagato alla curatela. Secondo l’appellante è documentale che L. ha richiesto la chiamata in causa dei terzi “imputati degli stessi fatti”, rientranti pertanto sul medesimo titolo fatto valere dalla curatela nei confronti del L. e non su un titolo autonomo, cd. garanzia propria, al fine di vederli condannati in sua vece, per l’ipotesi in cui il tribunale avesse individuato una qualche responsabilità dello stesso L.. In realtà, le espressioni letterali contenute nella richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa di terzi (perché ognuno di essi rivalga in solido con i chiamati in causa il L.), avanzata da L., depongono nel senso che non vi è stata una richiesta di condanna diretta dei terzi, ma – come correttamente accertato e disposto dal primo giudice – una valutazione della responsabilità di L. per i fatti di bancarotta ed una individuazione della misura della rivalsa del L. verso gli altri coobligati”.

3. Avverso la fin qui descritta sentenza ricorre per cassazione il L., affidandosi a sei motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Resiste, con controricorso, la curatela fallimentare, mentre sono rimasti solo intimati Lu.Fe., D.M. e P. (eredi di D.A.), D.C.L., S.G., Sa.Se., Le.Sa., P.S., G.A., Ma.Pa. e M.S..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva, pregiudizialmente, il Collegio che la notificazione dell’odierno ricorso del L. come avvenuta nei confronti di Sa.Se., Le.Sa., P.S., G.A., Ma.Pa. e M.S., deve considerarsi nulla perché eseguita presso il loro difensore in primo grado, Avv. Carmela Teresa Amata, malgrado gli stessi fossero rimasti contumaci in appello (cfr. Cass. n. 11485 del 2018).

1.1. Nella specie, però, non vi è necessità di disporne la rinnovazione, posto che le domande risarcitorie formulata dai predetti soggetti, volontariamente intervenuti in primo grado, nei confronti del L. e del Lu. sono state respinte dal tribunale, con statuizione divenuta definitiva per mancanza di loro gravame. Deve trovare applicazione, pertanto, il principio secondo cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti (cfr., ex multis, Cass. n. 5874 del 2020; Cass. n. 12515 del 2018; Cass. n. 11287 del 2018; Cass. n. 15106 del 2013).

2. Il terzo motivo del ricorso del L., il cui esame si rivela prioritario, denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 preleggi, in relazione all’art. 2392 c.c., per mancata corretta applicazione del contenuto normativo del citato articolo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Successione delle leggi nel tempo”. Esso censura la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile all’odierna controversia l’art. 2932 c.c., nel testo anteriore alla modifica apportatagli dal D.Lgs. n. 6 del 2003, in luogo di quello da quest’ultimo novellato.

2.1. Tale doglianza è infondata, atteso che le norme sulle azioni di responsabilità contro gli amministratori di s.p.a. e di s.r.l. di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, entrate in vigore il 1 gennaio 2004, hanno introdotto una nuova normativa di diritto sostanziale, la quale, non avendo natura interpretativa, né processuale, è inapplicabile, in mancanza di una diversa disciplina sull’efficacia della legge nel tempo che deroghi all’art. 11 preleggi, alle azioni di responsabilità esercitate dal curatore per fatti – come quelli contestati al L. dalla curatela fallimentare originaria attrice – anteriormente commessi (cfr. Cass. n. 13907 del 2014).

3. Il primo, il secondo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2392 c.c., comma 2, artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omessa motivazione su fatti e circostanze decisive per il giudizio”. Si assume che, “nel decidere la controversia sottoposta all’odierno vaglio di legittimità, i giudici di merito hanno focalizzato l’attenzione sulle condotte contestate agli amministratori e sui conseguenti danni derivati. Di contro, l’esame di merito si sarebbe dovuto preliminarmente basare sull’individuazione dei singoli e concreti poteri degli amministratori convenuti e di quelli chiamati in garanzia, onde confutare l’assunto del L. che da sempre ha asserito e documentato di essere un tecnico privo di funzione amministrative, esecutive e di vigilanza. (…). Detta indagine, alla quale era peraltro diretta, in buona parte, la rituale richiesta di prova testimoniale formulata dal L., inspiegabilmente ignorata dal primo giudice e, successivamente, illegittimamente rigettata dal secondo (…), appare necessaria e comunque prioritaria rispetto all’accertamento delle condotte, atteso che, in mancanza di un concreto potere di impedire e/o attenuare l’evento di danno, diverrebbe persino superfluo l’accertamento dei fatti contestati”;

11) “Violazione dell’art. 2392 c.c., commi 1 e 2, art. 40 c.p., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Error in iudicando”. Si afferma che, “per quanto dal L. dedotto sin dalla sua costituzione in giudizio di primo grado, ed ormai pacifico agli atti del giudizio, tutte le attività dannose incriminate non risultano in nessun modo direttamente collegabili ad alcun titolo e/o attività del ricorrente, che risulta essere estraneo a detti fatti, essendo emerso come i diretti responsabili fossero lo S. e tutti i suoi parenti, affini ed accoliti tra i quali non figura il L.. (…). Sebbene per entrambe le corti di merito sia chiara la non riferibilità delle azioni incriminate all’attività del L. (e ciò a prescindere dalla dedotta impossibilità di esercitare detti poteri in quanto non rientranti nelle funzioni del L.), lo stesso giudice del merito ritiene comunque il L. responsabile in applicazione di un insieme di precetti normativi e secondo un iter logico-giuridico che non è esente da vizi, rimanendo sostanzialmente il L. responsabile per il mero dato oggettivo e di fatto di appartenere al c.d.a. della (OMISSIS)”;

IV) “Violazione degli artt. 2697,2698 c.c. e art. 115 c.p.c. – Violazione degli artt. 6 e 13 CEDU, in relazione all’art. 24 Cost., artt. 115 e 177 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione del diritto di difesa – Mancata ammissione della prova testimoniale – Omessa pronuncia sul rigetto”. Si censura la mancata ammissione dei mezzi istruttori (prova testimoniale, i cui capitoli sono stati ritrascritti in ricorso) invocati dal L. in entrambi i gradi di merito al fine di dimostrare l’effettivo ruolo da lui rivestito nella (OMISSIS) s.p.a. ed i poteri concretamente attribuitigli, giustificata dalla corte distrettuale con l’affermazione che le corrispondenti richieste “non sono state reiterate in maniera analitica, in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, se non con un generico richiamo e, soprattutto, non è stata chiesta la revoca dell’ordinanza di rigetto”. Si assume che, così opinando, “il Giudice di secondo grado omette incontestabilmente qualsiasi concreta e fattuale motivazione sulla valutazione del valore probatorio delle circostanze articolate che vengono rigettate senza alcuna concreta motivazione che possa giustificare l’iter logico giuridico che ha comportato, nella specie, l’implicito rigetto”. La riportata argomentazione della corte di appello, inoltre, nemmeno è condivisibile, “atteso il chiaro ed evidente intento del L. di avvalersi del relativo mezzo istruttorio manifestato in ogni singolo momento processuale, dall’introduzione del giudizio fino al deposito dell’ultima comparsa conclusionale, ivi inclusa l’udienza di p.c.”;

V) “Violazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omessa, errata, illogica e/o contraddittoria motivazione in relazione all'”iter logico giuridico posto a fondamento della decisione relativamente all’individuazione dei fatti dai quali vengono presunti erroneamente i cd. segnali di allarme”. Si sostiene che “dalla lettura della sentenza impugnata, così come dalle precedenti sentenze di primo grado, proprio in riferimento alla valutazione del materiale probatorio acquisito in atti, emerge, in maniera chiara, tutta una serie di vizi logici e giuridici afferenti allo stesso ragionamento posto alla base della decisione che, in vari punti, appare incompleto, illogico e contraddittorio. Infatti, relativamente alla prova dell’effettiva conoscenza dei fatti pregiudizievoli per la società o dei cd. “segnali d’allarme”, dai quali dovrebbe desumersi l’accettazione del rischio del L. in relazione alle concrete condotte allo stesso attribuite sebbene solo a titolo di dolo eventuale, la corte di appello fornisce una motivazione assolutamente contraddittoria”.

3.1. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano fondate nei limiti di cui appresso.

3.2. Invero, la corte distrettuale – con la motivazione di cui si è dato conto ampiamente nel p. 2.1. dei “Fatti di causa” – è giunta alla conclusione che la valutazione della sentenza di patteggiamento, ex art. 444 c.p.p., ottenuta da L., “unitamente alle risultanze della consulenza collegiale in atti” (cfr. pag. 22 della decisione oggi impugnata), fosse idonea a far ritenere raggiunta la prova della responsabilità di quest’ultimo (componente del c.d.a. della (OMISSIS) s.p.a. in bonis dal 2 agosto 1985 al 12 marzo 1986) per culpa in vigilando, assumendo che la condotta omissiva sua e del Lu., reiteratamente mantenuta, aveva consentito il libero agire dello S. (il cui operato conoscevano almeno dalla riunione del c.d.a. tenutasi il 5 febbraio 1986) ai danni della società.

3.2.1. Va considerato, però, che l’art. 2392 c.c., comma 2, nel testo – qui applicabile ratione temporis – vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 6 del 2003, impone a tutti gli amministratori di società per azioni un dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione, che non viene meno nella ipotesi di attribuzioni proprie di uno o più amministratori, restando anche in tal caso a carico dei medesimi l’onere della prova di essersi diligentemente attivati per porre rimedio alle illegittimità rilevate (cfr. Cass. n. 10751 del 2019; Cass. n. 6998 del 2018, la quale precisa pure che “tuttavia, la responsabilità solidale per le conseguenze delle rilevate illegittimità contabili e di gestione della società non si estende agli amministratori che siano rimasti in carica per un periodo di tempo troppo breve per potersi rendere conto della situazione e per poter così intervenire con utili strumenti correttivi”; Cass. n. 22911 del 2010). In altri termini, la culpa in vigilando ascrivibile ad uno degli amministratori, e la conseguente sua responsabilità solidale con gli altri, postulano la mancata vigilanza del primo sul generale andamento della gestione oppure il non aver fatto quanto in suo potere per impedire il compimento di atti pregiudizievoli degli altri amministratori, di cui sia stato a conoscenza, ovvero il non aver agito per eliminare o attenuare le conseguenze dannose di tali atti.

3.3. Orbene, le doglianze del L. in esame imputano, sostanzialmente, alla corte territoriale la violazione della citata norma proprio in relazione al fatto di non avergli consentito di provare (come era suo onere) le circostanze, da lui ab origine allegate e sulle quali aveva articolato, tempestivamente, pure una prova testimoniale (i cui capitoli sono stati analiticamente riprodotti nell’odierno ricorso. Cfr. pag. 26-27), idonee (cfr., in particolare, quelle concernenti i capi sub m), n), o), p)) ad escludere la sua responsabilità.

3.3.1. In questi limiti, dunque, esse si rivelano fondate, atteso che la corte distrettuale: i) ha focalizzato la propria attenzione solo sulla menzionata sentenza di patteggiamento, ascrivendo al ricorrente di aver reiteratamente serbato una condotta omissiva che aveva consentito il libero agire dello S. ai danni della (OMISSIS) s.p.a. in bonis; ii) non ha però spiegato, concretamente, in cosa consista la “macroscopica” culpa in vigilando attribuita al L., ovvero non ha chiarito se e in qual modo questi (consigliere del c.d.a. della menzionata società dal 2.8.1985 al 12.3.1986) avesse la possibilità di impedire o attenuare le conseguenze dannose delle condotte dello S., di cui era venuto a conoscenza nella riunione del c.d.a. tenutasi il 5 febbraio 1986, nel residuo tempo intercorso fino alla sua cessazione dell’incarico (il 12 marzo 1986); iii) ha erroneamente respinto, applicando un principio giurisprudenziale non inerente alla concreta fattispecie, il puntuale motivo di gravame che aveva investito la mancata ammissione della prova testimoniale, sulle circostanze predette, invocata dal L. in primo grado, assumendo che la corrispondente istanza non era stata reiterata in maniera specifica in sede di precisazione delle conclusioni innanzi al tribunale. Affermazione, quest’ultima, che non può condividersi ove si tenga conto del tenore letterale delle ripetute richieste formulate, sul punto, dal convenuto/appellante nei suoi vari scritti difensivi (fino all’udienza di precisazione delle conclusioni), come oggi riportate in ricorso (cfr. pag. 20-24).

3.3.2. A tanto deve solo aggiungersi, da un lato, che la mancata ammissione di una prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione laddove investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (cfr. Cass. n. 16214 del 2019; Cass. n. 6554 del 2017; Cass. n. 8357 del 2005); dall’altro, che la disposizione di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c. (applicabile per i procedimenti di appello introdotti, come quello concluso dalla sentenza oggi impugnata, dopo l’11.9.2012) in base alla quale non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado che confermano la decisione di primo grado (cd. “doppia conforme”) – presuppone che, nei due gradi di merito, le “questioni di fatto” siano state decise in base alle “stesse ragioni” (cfr. comma 4 del citato articolo): ciò che non avviene quando, come nel caso di specie, l’informazione probatoria (sulle circostanze allegate dall’odierno ricorrente al fine di escludere la propria responsabilità) sia del tutto mancata (cfr. Cass. n. 29222 del 2019).

4. Il sesto motivo di ricorso, infine, rubricato “Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Error in procedendo – Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato”, ascrive alla corte distrettuale di aver violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, laddove ha ritenuto corretta la decisione con cui il tribunale aveva accolto una domanda di manleva mai avanzata dal L. in luogo di quella di garanzia propria da questi effettivamente proposta nei confronti dei terzi chiamati.

4.1. Una siffatta doglianza deve considerarsi assorbita alla stregua di quanto si detto in relazione all’accoglimento dei precedenti motivi e del conseguente nuovo accertamento sulla configurabilità, o meno, della corresponsabilità del L. nella produzione del danno, cui dovrà provvedere il giudice di rinvio.

4.1.1. Tanto, peraltro, non esime il Collegio dal rimarcare che fra più coobbligati solidali non è configurabile una domanda di manleva, residuando in capo a colui che fra di essi è stato condannato al pagamento solo l’esercizio dell’azione di regresso nei confronti di ciascuno degli altri, peraltro esclusivamente in ragione della percentuale di responsabilità (paritaria o accertata in misura diversa dal giudice) che può essergli concretamente attribuita.

5. In definitiva, vanno accolti, nei limiti di cui si è detto, il primo, il secondo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, rigettato il terzo e dichiarato assorbito il sesto. La sentenza impugnata, conseguentemente, deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo, il secondo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, rigetta il terzo e dichiara assorbito il sesto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA