Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20759 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. III, 30/09/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 30/09/2020), n.20759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27810/19 proposto da:

-) K.G., elettivamente domiciliato a Vinovo, via Calvo n. 2,

presso l’avvocato Ibrahim Khalil, che lo rappresenta e difende in

virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino 14.3.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4

marzo 2020 dai Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

K.G., cittadino maliano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008 n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ex D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14.

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse che, rimasto orfano, aveva lasciato il Mali sin dal 2011, per recarsi prima in Algeria e poi in Libia; quivi venne arrestato perchè privo di regolari documenti di soggiorno; riuscito a fuggire, si imbarcò per l’Italia a causa della situazione di particolare instabilità della Libia, nè avendo più alcun legame col proprio paese;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento K.G. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008 n. 25, art. 35, ricorso al Tribunale, che lo rigettò;

la sentenza di primo grado, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza 14.3.2019;

a fondamento della propria decisione la Corte d’appello ritenne che:

-) correttamente il Tribunale aveva escluso il diritto la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), perchè nella regione maliana di provenienza del ricorrente (Kayes) non era in atto una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) nel contrastare tale valutazione, l’appellante “nulla aveva allegato e provato in ordine alla natura, proporzioni, entità e concretezza dei rischi dei danni gravi cui il richiedente sarebbe esposto nel caso di rimpatrio”;

-) correttamente il Tribunale aveva escluso il diritto alla protezione umanitaria, non ricorrente nel caso di specie alcun profilo di vulnerabilità;

-) nell’impugnare tale capo della decisione di primo grado che il ricorrente “non prospetta l’esistenza di particolare il rischio pregiudizi che, al di là dell’ambito giustificato il riconoscimento della protezione internazionale, potrebbero motivare il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, risultando carente, sul piano fattuale, qualsiasi allegazione che possa essere ricondotta alle previsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”.

tale sentenza è stata impugnata per cassazione da K.G. con ricorso fondato su un motivo;

il Ministero dell’Interno non si è difeso;

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo del ricorso, se pur formalmente unitario, contiene in realtà plurime censure, che il ricorrente non inquadra formalmente in alcuno dei vizi elencati dall’art. 360 c.p.c..

1.2. Con una prima censura (pp. 3-10) il ricorrente lamenta che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto insussistente nel Mali una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, e di conseguenza altrettanto erroneamente avrebbe rigettato la domanda di concessione della protezione sussidiaria.

Con una seconda censura (pp. 10-14) il ricorrente lamenta che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto non allegate, da parte dell’appellante, le circostanze di fatto dimostrative dell’esistenza del rischio di un danno grave ed individuale, nel caso di suo rientro in patria.

1.3. La prima delle suesposte censure è inammissibile.

La Corte d’appello ha escluso che nella regione maliana di provenienza del richiedente asilo (Kayes) esista una situazione di guerra.

Il ricorrente, a fronte di questa statuizione, deduce:

a) che la Corte d’appello avrebbe violato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, (il quale stabilisce che il suddetto accertamento vada compiuto assumendo “informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti”): ma tale censura è infondata, perchè la Corte d’appello ha basato il suo giudizio su sei diverse fonti bibliografiche, rappresentate da rapporti delle Nazioni Unite, rapporti dell’EASO, articoli tratti da autorevoli testate della stampa d’opinione britannica e locale, il più recente dei quali dell’anno 2018;

b) che la Corte d’appello avrebbe trascurato di prendere in esame le fonti invocate dall’odierno ricorrente “sin dal primo grado”: ma tale censura è inammissibile, in quanto:

b1) una volta che il giudice di merito abbia rispettato il disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, lo stabilire in concreto se in un determinato paese esista o non esista una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato è un accertamento di fatto, non una valutazione in diritto;

b2) il ricorrente, lungi dall’indicare nel ricorso sotto quale aspetto e per quali ragioni le fonti da lui indicate sarebbero state più attendibili e quindi “decisive”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si è limitato a trascriverle nel ricorso, poggiando la propria censura su una autentica tautologia: e cioè l’essere la sentenza erronea, perchè corretta era la valutazione del ricorrente.

In ogni caso questa Corte non può fare a meno di rilevare che nessuna delle fonti invocate dal ricorrente e trascritte nel ricorso afferma espressamente quanto da lui sostenuto, e cioè esservi nella regione di Kayes una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

1.4. La seconda delle suesposte censure (con la quale il ricorrente impugna il giudizio con cui la Corte d’appello ha ritenuto non assolto, da parte sua, l’onere di allegazione dei rischi cui sarebbe stato esposto nel caso di rientro in patria, per i fini di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), resta assorbita dal rigetto della prima censura.

1.5. Sebbene il ricorso debba essere complessivamente rigettato, la motivazione del provvedimento impugnato deve essere comunque emendata laddove, nell’esaminare e rigettare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha affermato che “la richiesta di protezione umanitaria deve pur sempre fondarsi su un rischio di esposizione a forme di discriminazione (per ragioni di razza, religione, appartenenza, opinioni politiche o tendenze sessuali), oppure a trattamenti inumani o degradanti”.

Tale affermazione non è corretta in punto di diritto.

La concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, infatti, non richiede affatto, quale presupposto, che il richiedente possa essere esposto nel proprio paese al rischio di discriminazione o persecuzioni.

Se, infatti, davvero esistesse questo rischio, la persona interessata avrebbe diritto allo status di rifugiato o alla concessione della protezione, sì che l’istituto del permesso di soggiorno per motivi umanitari diverrebbe inutile, e il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 verrebbe abrogato per via interpretativa: operazione ovviamente non consentita all’interprete.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è invece un istituto di natura residuale ed atipica, i cui presupposti non possono essere stabiliti con valutazione sintetica a priori, ma solo all’esito di un giudizio analitico a posteriori, e quindi dopo aver preso in esame tutte le circostanze del caso. Il rigetto della domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari, pertanto, non può conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione (ex permultis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 21123 del 07/08/2019, Rv. 655294 – 01), e tanto meno può conseguire ipso facto dalla sola circostanza che il richiedente asilo sia stato reputato inattendibile.

Ed infatti presupposto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari è solo la vulnerabilità del richiedente, la quale va accertata con un giudizio di comparazione tra il grado di integrazione raggiunto nel Paese di accoglienza, ed il rischio che il ritorno in patria esponga il richiedente asilo ad una situazione lesiva dei diritti fondamentali che si ponga al di sotto del loro nucleo essenziale e incomprimibile. Una persona oggettivamente vulnerabile – ad esempio, perchè gravemente ammalata ed impossibilita a curarsi nel proprio paese – non potrebbe vedersi negare il rilascio del permesso di soggiorno (nei termini applicabili ratione temporis al presente giudizio) per il solo fatto che abbia esposto, a sostegno della prorpia richiesta, anche altre circostanze non vere.

Il rilevato errore è tuttavia irrilevante nella presente sede, non essendo stato censurato dalla ricorrente.

3. Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

3.1. Il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

Non rileva la circostanza che il ricorrente abbia chiesto l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, poichè in atti non è stata prodotta alcuna delibera di ammissione al suddetto beneficio.

P.Q.M.

La Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di Cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

 

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