Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20757 del 10/10/2011

Cassazione civile sez. I, 10/10/2011, (ud. 19/07/2011, dep. 10/10/2011), n.20757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.P., (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in Roma, alla

Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, unitamente all’avv. MARRA Alfonso Luigi, dal quale è

rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente

p.t., e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del

Ministro p.t., domiciliati in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale sono

rappresentati e difesi per legge;

– controricorrenti –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato il 18

marzo 2008, n. 508/07 V.G.;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

luglio 2011 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. APICE Umberto, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 18 marzo 2008, la Corte d’Appello di Napoli ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di B.P. della somma di Euro 7.660.00, oltre interessi legali dalla domanda, a titolo di equa riparazione per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, promosso dall’istante nei confronti del Comune di Napoli, ed avente ad oggetto l’annullamento di una delibera con cui la Giunta municipale aveva determinato in misura ridotta il trattamento di fine rapporto, nonchè la restituzione delle somme trattenute ai fini dell’iscrizione all’INADEL. Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1997, era ancora pendente in primo grado, e tenuto conto dell’oggetto della domanda nonchè della natura delle questioni trattate, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ne ha determinato la ragionevole durata in due anni. Rilevato inoltre che l’Amministrazione non aveva fornito la prova di circostanze idonee ad escludere la configurabilità del disagio e del patema d’animo normalmente ricollegabili alla durata eccessiva del processo, ha liquidato il danno non patrimoniale in Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo, avuto riguardo ai criteri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed alla condotta del ricorrente, che aveva omesso di presentare l’istanza di prelievo. Per lo stesso motivo, la Corte ha negato il bonus richiesto dall’istante in ragione della natura retributiva del credito azionato nel giudizio presupposto.

2. – Avverso la predetta sentenza il B. propone ricorso per cassazione, articolato in tredici motivi. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi tre motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 1 e 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha liquidato il danno non patrimoniale in misura inferiore agli standards europei, senza fornire un’adeguata motivazione.

1.1. – Le censure sono infondate.

Questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1^, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

I predetti parametri sono stati sostanzialmente rispettati dalla Corte d’Appello, la quale ha anzi assunto quale valore di base, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, un importo annuo di Euro 1.500,00, più elevato di quello ritenuto congruo dalla Corte EDU, riducendolo poi ad Euro 1.000,00 nell’ambito di una valutazione complessiva che ha tenuto conto dello scarso interesse del ricorrente per la definizione del giudizio, manifestatosi attraverso la mancata presentazione dell’istanza di prelievo.

Tale apprezzamento appare perfettamente in linea con l’orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità con riferimento alla disciplina dell’equa riparazione anteriore all’entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, che ha escluso la proponibilità della domanda ove nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo, nel quale si assume essersi verificata la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, non sia stata presentata l’istanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51. Secondo tale orientamento, infatti, la previsione di strumenti sollecitatori non sospende nè differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, nè implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per la predetta lesione, la quale va riscontrata, anche per il giudizio amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che la decorrenza del termine di ragionevole durata possa subire ostacoli o slittamenti in ragione della mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo, la quale può tuttavia essere presa in considerazione ai fini della valutazione dell’entità del lamentato pregiudizio, nella misura in cui l’inerzia del ricorrente appaia idonea ad evidenziare il suo disinteresse per la definizione della lite (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1^, 18 giugno 2010, n. 14753; 16 novembre 2006, n. 24438).

2. – Sono parimenti infondati il quarto, il quinto ed il sesto motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, rilevando che la Corte d’Appello ha rigettato la domanda di riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 dovuto in relazione alla natura del giudizio presupposto, avente ad oggetto un credito retributivo, senza fornire un’adeguata motivazione.

2.1. – L’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa infatti che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass., Sez. 1^, 3 dicembre 2009, n. 25446; 29 luglio 2009, n. 17684); dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate (cfr. Cass., Sez. 1^, 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869).

3. – Sono invece inammissibili i motivi dal settimo al decimo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, dell’art. 1 del relativo protocollo aggiuntivo e degli artt. 91, 92, 112 e 132 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente o incongrua motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che la Corte d’Appello, senza fornire un’adeguata motivazione, ha liquidato le spese processuali in misura non conforme alla natura del procedimento, il quale, pur svolgendosi nelle forme del rito camerale, non costituisce espressione di volontaria giurisdizione ma ha carattere contenzioso.

3.1. – Il ricorrente si limita infatti a criticare astrattamente il riferimento, contenuto nella motivazione del decreto impugnato, agli onorari previsti dall’art. 50, lett. b) della tabella A allegata al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, per i procedimenti speciali davanti alle corti d’appello, il cui richiamo appare di per sè insufficiente a giustificare l’affermazione dell’avvenuta violazione della tariffa professionale, in assenza della dimostrazione che l’applicazione di tale disposizione ha condotto in concreto al riconoscimento di compensi inferiori a quelli minimi inderogabilmente previsti dalla tabella relativa ai procedimenti contenziosi.

4. – Sono infine in parte infondati, in parte inammissibili l’undicesimo, il dodicesimo ed il tredicesimo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24 e degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, osservando che, nella liquidazione delle spese processuali, la Corte d’Appello si è discostata dagli standards europei e dalla nota specifica da lui depositata, senza fornire alcuna motivazione.

4.1. – Nei giudizi di equa riparazione promossi ai sensi della L. n. 89 del 2001, che si svolgono dinanzi al giudice italiano secondo le disposizioni processuali dettate dal codice di rito, la liquidazione delle spese processuali deve essere infatti effettuata applicando le tariffe professionali vigenti nell’ordinamento italiano, e non già in base agli onorari liquidati dalla Corte EDU, i quali attengono esclusivamente al regime del procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di Strasburgo, dal momento che la liquidazione del compenso per l’attività professionale prestata dinanzi ai giudici dello Stato deve aver luogo secondo le norme che disciplinano la professione legale davanti alle corti ed ai tribunali di quello Stato (cfr.

Cass., Sez. 1^, 11 settembre 2008, n. 23397).

Il ricorrente, peraltro, pur dolendosi del mancato riconoscimento delle prestazioni indicate nella nota specifica asseritamente depositata nel giudizio dinanzi alla Corte d’Appello, si è astenuto dal riportarne il contenuto nel ricorso, limitandosi ad includervi alcune tabelle estratte dalla tariffa professionale, la cui trascrizione non appare sufficiente a consentire a questa Corte la necessaria verifica in ordine alla denunciata violazione, in mancanza di una specifica indicazione delle voci e degl’importi di cui si contesta l’omessa liquidazione (cfr. Cass., Sez. 3^, 19 aprile 2006, n. 9082; Cass., Sez. 1^, 16 marzo 2000, n. 3040).

5. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna B.P. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 1.500,00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2011

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