Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20755 del 10/10/2011

Cassazione civile sez. I, 10/10/2011, (ud. 19/07/2011, dep. 10/10/2011), n.20755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23263/2008 proposto da:

P.O. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA FILIPPO CORRIDONI 23, presso l’avvocato GIOVANNI

SABATELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato RENNA Alessandro,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositato il

15/07/2008; n. 90/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/07/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato, depositato il 5 luglio 2008, la Corte d’appello di Potenza ha rigettato la domanda proposta da P. O., per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione nell’importo meglio visto, per i danni non patrimoniali conseguenti alla violazione del termine di durata ragionevole del procedimento penale per truffa, di cui la parte aveva avuto per la prima volta cognizione con il verbale di identificazione dei C.C. del 20/12/2000, definito dal Tribunale di Taranto in 1^ grado con la sentenza del 12/12/2005, e dalla Corte d’appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, con la sentenza emessa il 25/11/07, depositata il 27/11/07.

La Corte territoriale ha respinto la domanda del P., rilevando che non vi era alcuna prova certa che il verbale di identificazione in atti si riferisse al procedimento in oggetto, ed inoltre, risultava alla Corte la pendenza di diversi procedimenti penali a carico del P.; che pertanto, doveva aversi riguardo all’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 c.p.c., notificato il 30/4/2002, quale atto che aveva determinato una ripercussione importante nella sfera personale e giuridica del ricorrente; che, partendo da tale data, la durata complessiva del processo penale andava individuata in anni cinque, mesi sei e giorni ventisette, dai quali andava defalcato il periodo di mesi sette e giorni diciassette, corrispondente alla durata della sospensione del dibattimento di primo grado su richiesta dell’interessato, L. n. 134 del 2003, ex art. 5,; che il restante periodo di cinque anni era da ritenersi ragionevole per i due gradi di giudizio.

Ricorre per cassazione il P., sulla base di quattro motivi.

Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, comma 1 della CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè difetto di motivazione del decreto, dovendo ritenersi ricompresa nella tutela dell’art. 6 par. 1 della CEDU, alla stregua della giurisprudenza del S.c. e della Corte EDU, la fase delle indagini preliminari, a partire da quando perviene la notitia criminis alla procura ed il soggetto viene iscritto nel registro degli indagati;

nel caso, l’iscrizione è avvenuta nell’anno 2001, come risulta dal RGNR al di là della identificazione avvenuta il 20/12/2000, e la parte ha avuto notizia del processo a suo carico ancora prima della iscrizione, e precisamente nel dicembre 2000.

1.2.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dei criteri di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, in particolar modo quello riguardante il comportamento delle parti e la valutazione del procedimento nella sua interezza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e difetto di motivazione, per avere la Corte territoriale valutato nel complesso il processo, ma operato una selezione tra i due gradi, defalcando dal processo di primo grado il periodo corrispondente alla durata della sospensione del dibattimento L. n. 134 del 2003, ex art. 5, mentre l’uso legittimo degli strumenti processuali non può valere quale causa di allungamento del processo;

inoltre, la durata del processo va valutata nella sua unitarietà, e non solo per il periodo eccedente la durata ragionevole.

1.3.- Con il terzo motivo, la parte lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la sussistenza del danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole, ex art. 360 c.p.c., n. 5: è indubitabile che il P. per il protrarsi del giudizio si sia trovato in uno stato di angoscia, incertezza, frustrazione.

1.4.- Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c. , n. 3, in riferimento alla L. n. 89 del 2001, artt. 4 e 5, per essere stata pronunciata la condanna alle spese del ricorrente, in violazione dei principi della Corte EDU. 2.1.- I motivi primo, secondo e quarto sono da ritenersi inammissibili, per quanto di seguito rilevato, ed il terzo motivo va ritenuto assorbito.

Come affermato dalle S.U. nella sentenza 2658/2008, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile ratione temporis, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso nel quale il quesito di diritto si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, poichè la citata disposizione è finalizzata a porre il giudice della legittimità in condizione di comprendere – in base alla sola sua lettura – l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una “regula iuris”.

E’ agevole rilevare che i tre motivi indicati si risolvono in una mera domanda alla Corte sulla fondatezza di quanto sostenuto nel motivo, peraltro, formulata in maniera del tutto generica, senza alcun riferimento alle specifiche argomentazioni del decreto impugnato, e quindi anche inconferente.

Quanto alle denunce di vizio di motivazione, va rilevata altresì l’inammissibilità, alla stregua del principio secondo il quale in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (in tali termini la sentenza delle S.U., n. 20603/07, nonchè le successive pronunce 4309/08, 8897/08 e 11019/2011, tra le tante).

Tale momento di sintesi è nel caso insussistente.

3.1.- Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente grado del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1000,00, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2011

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