Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20752 del 10/10/2011

Cassazione civile sez. I, 10/10/2011, (ud. 19/07/2011, dep. 10/10/2011), n.20752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32168/2005 proposto da:

MARINA DI CHIOGGIA S.N.C. DI MAGRO ANTONIA (c.f. (OMISSIS)), in

persona dell’Amministratore Unico pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ARNO 38 (PIANO 3-INT.14), presso l’avvocato

DI MARIA Franco, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BUCCI RAFFAELE, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1448/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 17/08/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/07/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la s.n.c. Marina di Chioggia di Magro Antonia, con citazione del 9 maggio 1996, convenne il Ministro dell’economia e delle finanze dinanzi al Tribunale di Venezia, esponendo che: a) essa era stata concessionaria – per la durata di dieci anni a far data del 1975 – di uno specchio d’acqua ad uso darsena natanti in località (OMISSIS); b) scaduta la concessione nel 1985r essa ne aveva chiesto inutilmente il rinnovo; c) l’Amministrazione le aveva comunicato la pretesa al pagamento delle somme di L. 115.000.000, quale indennità per l’occupazione dal 1985 al 1991, e di L. 20.400.000 annue dal 1992, allo stesso titolo;

che, tanto esposto, la Società chiese che il Tribunale accertasse la prescrizione dei canoni scaduti anteriormente all’anno 1992 o, in subordine, all’anno 1990, nonchè la misura del canone dovuto;

che la Amministrazione convenuta: eccepì l’incompetenza per materia del Giudice adito, competente essendo il tribunale regionale delle acque pubbliche, e chiese che, trattandosi di occupazione di area demaniale senza titolo, le somme richieste alla Società dovevano intendersi dovute a titolo di indennizzo per arricchimento senza causa e non già di tributo;

che il Tribunale adito – dichiarata la propria competenza, disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio -, con la sentenza n. 251/02 del 6 marzo 2002, accolse parzialmente la domanda dell’Amministrazione ed accertò che il credito di quest’ultima per il periodo dal 1990 al 1996 ammontava a L. 55.440.000;

che, in particolare, il Tribunale ritenne che: a) la domanda della Società – volta ad ottenere la dichiarazione di infondatezza della pretesa dell’Amministrazione per carenza del presupposto dell’esistenza del danno – era inammissibile in quanto formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni definitive;

b) la fattispecie era pacificamente quella di occupazione senza titolo di area demaniale, la concessione essendo scaduta nell’anno 1985 senza successivo rinnovo; c) trattandosi di domanda risarcitoria da illecito extracontrattuale, il corrispondente credito dell’Amministrazione doveva considerarsi prescritto relativamente all’occupazione attuata fino all’anno 1989, la prima richiesta di indennizzo essendo stata formulata nel 1995;

che avverso tale sentenza proposero appello dinanzi alla Corte di Venezia: principale l’Amministrazione, deducendo che l’obbligazione de qua era riconducibile non già alla categoria dell’illecito extracontrattuale, bensì a quella dell’arricchimento senza causa;

incidentale la Società, deducendo che, qualificata la fattispecie come arricchimento senza causa, mancava il presupposto del depauperamento in concreto dell’Amministrazione;

che la Corte adita, con la sentenza n. 1448/05 del 17 agosto 2005, in parziale riforma della decisione impugnata, dichiarò tenuta la Società al pagamento in favore dell’Amministrazione della somma di Euro 65.165,82, oltre interessi;

che in particolare, per quanto in questa sede rileva, la Corte di Venezia ha affermato che: a) anche a fronte dell’argomentazione difensiva della Società, per cui mancava il presupposto del depauperamento in concreto dell’Amministrazione, la fattispecie in questione occupazione senza titolo di area demaniale a seguito della scadenza della concessione non più rinnovata – va ricondotta all’istituto dell’arricchimento senza causa; b) “In tale stato delle cose, non vi era, per l’Amministrazione titolare del diritto demaniale, altra azione sperimentabile al di fuori dell’azione generale di arricchimento …, in ordine alla quale era, altresì, riconoscibile il concorso simultaneo dell’arricchimento di un soggetto (la Marina di Chioggia s.n.c.) e della corrispondente diminuzione patrimoniale dell’altro soggetto (Pubblica Amministrazione), con la riconduzione dell’uno e dell’altro accadimento allo stesso fatto causativo (occupazione del bene senza titolo e quindi senza una giuridica giustificazione) di talchè non potevano non ritenersi sussistenti i presupposti del dedotto arricchimento senza causa viene richiamata la sentenza dea Corte di cassazione a sezioni unite n. 12313 del 2002”; c) il diritto dell’Amministrazione all’indennizzo si prescrive nell’ordinario termine di dieci anni, con la conseguenza che, nella specie caratterizzata dalle circostanze incontestate tra le parti secondo cui la concessione era scaduta in data 3 giugno 1985, e secondo cui la prima richiesta di indennizzo era stata formulata in data 31 dicembre 1991, prima del decorso di detto termine decennale di prescrizione -, la misura dell’indennizzo va calcolata con riferimento al periodo dal 1985 al 1996;

che avverso tale sentenza la s.n.c. Marina di Chioggia di Magro Antonia ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;

che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con il primo (con cui deduce: “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, per falsa applicazione del disposto dell’art. 2041 c.c., in ordine alla mancata valutazione del difetto di danno in capo all’Amministrazione Finanziaria – Violazione dell’art. 116 c.p.c., per omessa valutazione di risultanze istruttorie – la CTU -, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Contraddittorietà intrinseca della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”) e con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su eccezione essenziale dell’appellato – Omessa o comunque insufficiente motivazione su un punto essenziale della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, la ricorrente critica la sentenza impugnata,, nella parte in cui ha ritenuto fondata la pretesa dell’Amministrazione (il diritto all’indennizzo ex art. 2041 c.c.) in mancanza della prova dell’esistenza di un danno, sostenendo che i Giudici dell’appello: a) non hanno tenuto in alcun conto la valutazione formulata dal consulente tecnico d’ufficio, secondo la quale – posto che lo spazio demaniale occupato dalla Società distava circa dieci chilometri dal mare aperto, e che non era ipotizzatale il trasferimento della concessione della stessa area demaniale a terzi, in quanto la darsena da riporto gestita dalla Società era supportata da infrastrutture collocate su area di proprietà della stessa Società – non era individuabile alcun parametro per determinare il danno patito dall’Amministrazione; b) cadono in contraddizione, laddove affermano, da un lato, che la deduzione della mancanza di depauperamento non è nè domanda nè eccezione ma mera argomentazione difensiva e, dall’altro contraddittoriamente appunto, respingono nel merito tale deduzione; c) hanno omesso di motivare sulla circostanza decisiva del depauperamento dell’Amministrazione;

che con il terzo motivo (con cui deduce: “Falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. e art. 2948 c.c., n. 3, e comunque ex art. 2947 c.c., comma 1, per la ritenuta non prescrizione del credito ex adverso azionato, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”), la ricorrente critica ancora la sentenza impugnata e, subordinatamente al mancato accoglimento dei primi due motivi, sostiene che, nella specie, trattandosi di indennità annuale oppure di risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, avrebbe dovuto applicarsi il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 cod. civ., ovvero di cui all’art. 2947 c.c., comma 1;

che il ricorso non merita accoglimento;

che i primi due motivi del ricorso sono palesemente infondati;

che, quanto al primo, è sufficiente osservare che la critica – la quale si fonda, aderendovi, su una valutazione espressa dal consulente tecnico d’ufficio nominato dai Giudici di primo grado, secondo cui non era ipotizzabile il trasferimento della concessione della stessa area demaniale a terzi, in quanto la darsena da riporto gestita dalla Società era supportata da infrastrutture collocate su area di proprietà della stessa Società – si basa su una mera supposizione che, comunque, attiene a valutazioni di merito insindacabili in questa sede;

che, quanto al secondo (mancanza di prova del depauperamento dell’Amministrazione), è altrettanto sufficiente osservare che – qualificata la fattispecie di persistenza dell’occupazione di area demaniale marittima dopo il termine di scadenza della concessione come occupazione senza titolo, perciò suscettibile di essere indennizzata secondo le regole dell’istituto dell’arricchimento senza causa – è del tutto evidente che i Giudici a quibus hanno correttamente, anche se implicitamente, ritenuto, com’è del resto giuridicamente intuitivo, che il depauperamento dell’Amministrazione coincide quantomeno con la perdita dei canoni concessori precedentemente stabiliti per il periodo di occupazione legittima (cfr., ad esempio, la sentenza n. 15301 del 2000);

che il terzo motivo è inammissibile;

che tale motivo infatti, da un lato, presuppone una qualificazione giuridica della fattispecie, come illecito extracontrattuale, che si pone in radicale contrasto con quella di arricchimento senza causa affermata dalla Corte di Venezia – qualificazione, del resto, mai seriamente contestata dalla ricorrente e che, anzi, è evidentemente presupposta e condivisa nel primo motivo – e, dall’altro, contiene una prospettazione del tutto nuova, nella misura in cui presuppone la continuazione del rapporto concessorio anche dopo la scadenza della concessione decennale, l’obbligo di pagamento dei canoni e la prescrizione quinquennale del corrispondente credito dell’Amministrazione, ai sensi dell’art. 2948 cod. civ.;

che le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2011

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