Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20743 del 20/07/2021

Cassazione civile sez. III, 20/07/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 20/07/2021), n.20743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34374/2019 proposto da:

M.B., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria

della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato

STEFANIA MARIANI;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 619/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 03/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.B., cittadino del Gambia, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il richiedente dedusse a fondamento delle proprie ragioni di aver lasciato il Gambia per paura delle possibili ritorsioni da parte di alcuni componenti del suo villaggio e dalla famiglia della moglie. Egli, infatti, aveva portato via la figlia nell’intento di sottrarla dalla pratica della infibulazione, cui invece voleva sottoporla la moglie.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento M.B. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Ancona, che con ordinanza del 28 agosto 2017 rigettò il reclamo.

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Ancona con sentenza n. 619/2019 pubblicata il 3 maggio 2019. La Corte ha ritenuto:

a) non credibili le dichiarazioni rese dal richiedente;

a) infondata la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, perché il richiedente non aveva dedotto alcun fatto di persecuzione grave e personale;

b) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione sussidiaria, perché nella regione di provenienza non era in atto un conflitto armato;

c) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria, poiché l’istante non aveva né allegato, né provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per sé dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da M.B. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce senza presentare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 4 della direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nonché art. 10 direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27”. Assume che la Corte d’appello non avrebbe attivato i poteri ufficiosi per colmare le eventuali lacune del racconto del richiedente ed, in particolare, mancherebbe l’acquisizione di informazioni precise e aggiornate sulla situazione del paese di origine del richiedente.

5.1. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7,14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27” in quanto i giudici di merito non avrebbero proceduto a una verifica officiosa sull’attuale situazione del Gambia con particolare riferimento alla effettiva tutela prestata dalle Autorità locali.

I due motivi congiuntamente esaminabili sono inammissibili sia per la loro genericità, sia perché non colgono la ratio decidendi della sentenza.

Il racconto del ricorrente è stato esaminato in modo complessivo e non atomizzato come denuncia il ricorrente.

La valutazione di (non) credibilità del ricorrente appare, difatti, rispettosa dei criteri predicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e dei principi affermati dalla oramai consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. 8819/2020), essendo stata puntualmente condotta alla luce della necessaria disamina complessiva dell’intera vicenda riferita dal richiedente asilo, che lo ha visto, secondo quanto da lui dettagliatamente esposto, contraddire ripetutamente e irrimediabilmente se stesso, a far data dalle dichiarazioni rese in sede di audizione. Infatti il giudice dell’appello ha ritenuto che il ricorrente non sia stato in grado di indicare fondate e documentate ragioni che gli impedirebbero di fare rientro nel suo paese (cfr. sentenza impugnata pag. 7 e 8). Come risulta dalla motivazione è apparso inverosimile che il ricorrente conduca la figlia dalla sorella per poi abbandonarla e partire alla volta dell’Italia.

L’analisi, analitica e approfondita, di tutti gli elementi del racconto compiuta dal giudice di merito sottraggono la relativa motivazione alle censure mosse da parte ricorrente.

Conforme a diritto risulta per altro verso la pronuncia impugnata sotto il profilo del dovere di cooperazione del giudice che ha ritenuto che nel Gambia, sulla base delle fonti aggiornate consultate, non si rilevano conflittualità tali da giustificare la concessione della protezione sussidiaria, non essendo presente una violenza indiscriminata e diffusa sul territorio d’interesse (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).

5.2. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per violazione o falsa applicazione dell’art. 4 della direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nonché art. 10 direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e art. 2 Cost.”. Lamenta che i giudici dell’appello nello scrutinare la domanda volta al riconoscimento della protezione umanitaria, avrebbero erroneamente disapplicato i presupposti del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari quali l’integrazione sociale dello straniero da valorizzare unitamente allo specifico e concreto rischio di compromissione dei diritti umani cui egli sarebbe esposto il caso di rientro in Gambia.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza. La Corte territoriale ha affermato che il signor M.B. non ha dimostrato, neppure sulla base del meno rigoroso onere probatorio vigente in materia, di rientrare nelle categorie soggettive in relazione alle quali sono ravvisabili lesioni di diritti umani di particolari entità, né gli stessi possono desumersi dalla generica allegazione riferita alla situazione del paese di provenienza (cfr. pag. 10 sentenza). Tale ratio non è stata impugnata in quanto il ricorrente, nemmeno in questa sede, indica le condizioni di vulnerabilità soggettiva che il giudice di appello non avrebbe preso in considerazione né tantomeno indica come e dove esse sarebbero state allegate nel ricorso in appello in assolvimento dell’onere previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

6. Pertanto la Corte dichiara inammissibile il ricorso. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.

7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

 

 

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