Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20742 del 20/07/2021

Cassazione civile sez. III, 20/07/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 20/07/2021), n.20742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34372/2019 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II, 4,

presso lo studio dell’avvocato MARIO ANTONIO ANGELELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO MARIO PASQUALINO;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 1733/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 04/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. D.M., cittadino del Gambia, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4 :

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il richiedente dedusse a fondamento delle proprie ragioni di esser fuggito dal paese d’origine per paura delle ritorsioni di alcuni proprietari terrieri a cui aveva danneggiato i fondi coltivati. Giunse dapprima in Libia, dove fu rapito

e imprigionato, poi in Italia nel 2014.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento D.M. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Palermo, che con ordinanza del 15 marzo 2017 rigettò il reclamo.

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza n. 1733/2019 pubblicata il 4 settembre 2019. La Corte ha ritenuto: a) non credibile la vicenda narrata dal richiedente;

a) infondata la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, perché il richiedente non aveva dedotto alcun fatto di persecuzione grave e personale;

b) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione sussidiaria, perché nella regione di provenienza non era in atto un conflitto armato;

c) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria, poiché l’istante non aveva né allegato, né provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per sé dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da D.M. con ricorso fondato su tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si costituisce senza presentare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3 e 8, con riguardo alla valutazione di non credibilità della vicenda narrata dal richiedente. Violazione per omessa valutazione in ordine alla veridicità della vicenda documentata dal ricorrente. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Motivazione apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile. Illogicità – omessa valutazione di circostanze decisive. Violazione art. 1 della Convenzione di Ginevra 1951 – art. 8 della direttiva 2004/83/CE; artt. 113,115 e 116 c.p.c., – art. 10 Cost., comma 3 e art. 32 Cost.”. La Corte d’appello avrebbe omesso di eseguire le dovute indagine per valutare l’attendibilità e credibilità del richiedente aderendo automaticamente alle conclusioni del Tribunale senza peraltro considerare la documentazione versati in atti dal ricorrente.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, difetto di motivazione. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, con riguardo alla valutazione di non credibilità della vicenda personale narrata dal richiedente; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b. Violazione dell’art. 3 della CEDU. Artt. 113,115,116 c.p.c. – art. 10 Cost., comma 3 e art. 32 Cost.”. La Corte d’appello non avrebbe adeguatamente motivato la non credibilità della vicenda narrata dal richiedente rigettando immotivatamente la domanda di protezione internazionale e umanitaria.

I primi due motivi, trattati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili in quanto non colgono la ratio decidendi della pronuncia di seconde cure.

I giudici di merito hanno rigettato la domanda di protezione internazionale non per la mancata credibilità della vicenda così come narrata dal richiedente, ma per l’assenza dei presupposti necessari per il suo riconoscimento rilevando come si tratti di una vicenda di diritto privato e sottolineando come il richiedente non avesse chiesto protezione alle autorità locali. La Corte ha correttamente adempiuto anche al dovere di cooperazione istruttoria ricercando informazioni in merito al Gambia e alla sua situazione sociopolitica per valutare i rischi effettivi in cui incorrerebbe il richiedente nel caso di rimpatrio, ritenendo però tali rischi assenti. Alla luce di ciò si ritiene che la motivazione non sia né incomprensibile né contraddittoria ma, anzi, essa risulta al di sopra della sufficienza costituzionale (cfr. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto. Difetto di motivazione. Illogicità. Nullità del decreto. Omessa pronuncia. Statuizione su domanda diversa rispetto a quella formulata in quanto fondata su un fatto costituivo differente. D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 6, par. 4 Direttiva 115/2008; L. n. 881 del 1977, art. 11; artt. 112,113,115,116 c.p.c. – art. 10 Cost., comma 3 e art. 32 Cost.”. Il ricorrente mostrerebbe un grado di vulnerabilità che imporrebbe il riconoscimento dei motivi umanitari tenuto conto anche del livello di integrazione e della compressione dei diritti fondamentali nel paese di provenienza.

Il motivo è fondato.

In tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione” Cass. 13079/2019).

A tal fine il giudice di merito deve osservare il seguente percorso argomentativo:

– non può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano;

– le relative basi normative sono “a compasso largo”: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria “a clausola generale di sistema”, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione.

Deve essere, pertanto, ribadito l’orientamento di questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e seguito, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19, cit., nonché dalla prevalente giurisprudenza di merito) che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

Nel caso di specie i giudici dell’Appello non hanno rispettato i predetti principi. Infatti non risulta nella pronuncia impugnata la valutazione della documentazione prodotta a sostegno della sua integrazione in Italia né risulta la valutazione delle Coi sullo stato del paese d’origine sotto il profilo della violazione dei diritti fondamentali (cfr. pag. 6 sentenza impugnata). Inoltre non è neppure stata valutata la situazione di vulnerabilità soggettiva del ricorrente rispetto ai mesi trascorsi in Libia dove è stato rapito e imprigionato ed è stato erroneamente affermato, in contrasto con i principi di questa Corte (cfr. Cass. 13758/2020; Cass. 1104/2020; Cass. 13096/2019) che tale percorso era del tutto irrilevante.

6. Pertanto la Corte dichiara inammissibile i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo come in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esse e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo come in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

 

 

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