Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20733 del 10/09/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 20733 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

sentenza con
motivazione semplificata

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via

dei

Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
ricorrente
contro
DEL VECCHIO Emanuela;
– intimata

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato
in data 17 giugno 2011;

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Data pubblicazione: 10/09/2013

Udita

la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 24 aprile 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott.ssa Antonietta Carestia, che ha

Ritenuto che Del Vecchio Emanuela, con ricorso in data 8
luglio 2008, ha chiesto alla Corte d’appello di Roma il
riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi della legge
24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un
giudizio civile svoltosi dinanzi al Tribunale di Napoli,
iniziato in data 22 febbraio 1999 e definito il 30 aprile
2008;
che l’adita Corte d’appello, con decreto in data 17
giugno 2011, determinato in anni sette il periodo di durata
irragionevole del giudizio presupposto, a fronte di una
durata ragionevole stimata in anni due e mesi due, ha
liquidato, sulla base del criterio di 1.000,00 euro per
anno di ritardo, l’importo di euro 7.000,00 a titolo di
equa riparazione del danno non patrimoniale, oltre agli
interessi legali dalla domanda al saldo;
che per la cassazione di questo decreto il Ministero
della Giustizia ha proposto ricorso, con atto notificato il
18 settembre 2012, sulla base di cinque motivi;
che la parte intimata non ha svolto difese.

chiesto il rigetto del ricorso.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di
una motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo (violazione e/o falsa

all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.), che può essere
esaminato unitamente al quarto (motivazione insufficiente
e/o omessa su un fatto decisivo della controversia in
relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.) il ministero
si duole per l’arbitraria decisione della Corte d’appello
di discostarsi dal parametro, elaborato dalla
giurisprudenza sovrannazionale ed accolto da quella
interna, di ragionevolezza del processo di primo grado
stimata in anni tre e di liquidare, sempre difformemente
dagli standards accolti in materia, euro 1.000,00 per anno
di ritardo e non 750,00 per i primi tre e 1.000,00 per i
successivi;
che le censure sono fondate, dal momento che i
parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo, che indicano sia la tendenziale durata
ragionevole di ciascuna fase processuale, fissata, in linea
generale, in tre anni per il giudizio di primo grado, sia
il

quantum da liquidare sono stati ormai recepiti dalla

consolidata giurisprudenza di questa Corte;

3

applicazione art. 2 della legge n. 89 del 2001 in relazione

che per quanto concerne il primo aspetto, si è chiarito
che, benché il concetto di “termine ragionevole” sia un
concetto relativo e non assoluto, ciò nondimeno la
ragionevolezza del processo non può non essere determinata

2001, “con riferimento ai criteri cronologici elaborati
dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo, le cui sentenze in ordine alla interpretazione
dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo, pur non avendo efficacia vincolante per
il giudice italiano, costituiscono, nondimeno, per questi,
la prima e più importante guida ermeneutica, consentendo la
corretta applicazione di un criterio quale quello della
ragionevolezza, che ha in sé insiti indubbi margini di
elasticità” (Cass. n.1094 del 2005);
che il giudice di merito, tuttavia, può discostarsi dai
parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo, purché ne dia compiutamente conto in
motivazione, esponendo le ragioni, ad esempio la
complessità del processo, per le quali non ritiene che la
determinazione della durata irragionevole del processo con
i parametri menzionati possa condurre ad un indennizzo
pienamente satisfattivo per la parte (Cass. n. 21840 del
2009);

avendo riguardo ai criteri previsti dalla legge n. 89 del

che, nel caso in esame, non solo i giudici di merito
non hanno fornito motivazione alcuna a suffragio della loro
decisione di ritenere ragionevole un termine diverso (nella
specie, inferiore) rispetto a quello previsto dagli
standards

nazionali ed internazionali, ma addirittura,

hanno esplicitamente richiamato gli

standards

elaborati

dalla Corte di Strasbugo;
che anche per quel che concerne il secondo aspetto,
relativo al

quantum

dell’indennizzo, la giurisprudenza di

questa Corte ha avuto modo di affermare che “ove non
emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la
peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza
di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un
danno e non indebitamente lucrativa comporta che la
quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di
regola, non inferiore a euro

750,00

per ogni anno di

ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata
ragionevole, e non inferiore a euro

1.000,00

per quelli

successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale
periodo da ultimo indicato comporta un evidente
aggravamento del danno” (Cass. n. 17922 del 2010);
che, nel caso in esame, l’adita Corte d’appello non ha
fornito motivazione alcuna in ordine alla sua decisione di
liquidare euro 1.000,00 per anno, né sono stati illustrati

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nella premessa della motivazione del decreto impugnato,

gli elementi che hanno indotto i giudici capitolini a
ritenere che il riconoscimento di euro 750,00 per i primi
tre anni di ritardo non fosse adeguatamente satisfattivo
per la parte ricorrente, sicché le puntuali censure del

indurre la Corte d’appello a non riconoscere euro 1.000,00
anche ai primi tre anni di ritardo, colgono nel segno;
che con il secondo motivo (motivazione omessa e/o
insufficiente su un fatto decisivo della controversia in
relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.) il Ministero
ricorrente si duole per la errata individuazione del dies a
quo del processo presupposto, che non avrebbe tenuto conto
del differimento dell’udienza di prima comparizione per
rinotifica dell’atto di citazione ad uno dei due convenuti;
che la doglianza è infondata, giacché alcun rilievo può
assumere la circostanza che l’udienza di prima comparizione
debba essere rinviata per rinnovo della notificazione
dell’atto introduttivo, per mancata comparizione del
convenuto, atteso che, ai fini della individuazione del
dies a quo del processo presupposto, il rinvio dell’udienza
di prima comparizione può assumere rilevanza ”solo nella
ipotesi in cui si accerti l’intento dilatorio della parte
sotteso alla indicazione di un intervallo abnorme” (Cass.
n. 6322 del 2011); ipotesi, questa, non ricorrente nel caso
di specie;

6

ricorrente, che ha indicato i motivi che avrebbero dovuto

che con il terzo motivo (motivazione omessa e /o
insufficiente su un fatto decisivo della controversia in
riferimento all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.) il
Ministero ricorrente si duole perché, nella determinazione
del periodo di durata irragionevole, l’adita Corte

comportamento processuale delle parti, nel senso di porre a
loro carico taluni dei numerosi rinvii che hanno cadenzato
il processo presupposto;
che la doglianza è fondata;
che, infatti, in considerazione del già richiamato
carattere relativo e non assoluto della ragionevolezza
della durata dei processi, non può non rilevarsi come detta
relatività imponga al giudice di merito di tenere conto di
diversi fattori, tutti concorrenti nella determinazione
della durata ragionevole del processo ai fini
dell’indennizzo (si veda, sul punto, tra le altre, Cass. n.
21020 del 2006);
che uno di tali fattori è, appunto, il comportamento
processuale delle parti, che deve essere tenuto presente
dal giudice di merito allorché, in casi come quello in
esame, vi siano stati numerosi rinvii delle udienze, con la
precisazione che devono tuttavia essere evitate soluzioni
che troppo semplicisticamente pongano tutti i rinvii che
hanno cadenzato il processo presupposto a carico

d’appello ha omesso di attribuire rilevanza al

dell’amministrazione della giustizia, ovvero che imputino
alla parte tutto il lasso di tempo intercorsi tra
un’udienza quella successiva, allorquando si ritenga che il
rinvio non sia giustificato da esigenze difensive;
che, quindi, il giudice di merito deve vagliare

processo presupposto, onde verificare se parte di essi sia
conseguita a comportamenti dilatori della parte, sì da
poterli defalcare dal termine di durata ragionevole (Cass.
n. 22404 del 2008);
che, pertanto, in accoglimento del primo, del terzo e
del quarto motivo, rigettato il secondo e assorbito il
quinto, il decreto impugnato va cassato con rinvio alla
Corte d’appello di Roma, che, in diversa composizione,
provvederà a nuovo esame della domanda di equa riparazione
adeguandosi ai principi prima indicati, nonché alla
regolamentazione delle spese del presente giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il primo, il terzo e il quarto motivo
di ricorso, rigetta il secondo, assorbito il quinto;
il decreto impugnato;

rinvia,

cassa

anche per le spese del

giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in
diversa composizione.

criticamente la serie di rinvii che ha caratterizzato il

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,

il 24 aprile 2013.

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